Gentilezza e gratitudine. Il potere del grazie.

Gentilezza e gratitudine. Il potere del grazie.

Quante volte un lavoro fatto bene o un aiuto non viene apprezzato? 

La gentilezza: perché è così importante? Il tornaconto della gentilezza è essere gentili. 

E’ difficile a volte trovare una definizione uguale per tutti e soprattutto è difficile spiegare con precisione gli effetti che sprigiona un gesto gentile.

Nell’ambiente delle risorse umane la gentilezza è un tema ricorrente negli ultimi anni. Nel 2019 InfoJobs, piattaforma digitale per la ricerca e la selezione del personale, aveva condotto uno studio sulla gentilezza intervistando più di 1000 persone. Secondo il 78% degli intervistati la gentilezza dovrebbe far parte delle soft skills, ovvero delle competenze trasversali, indispensabili per poter ottenere un impiego. Per più del 90% di coloro che hanno risposto alla ricerca la gentilezza migliora la produttività perché sprona a dare il meglio di sé. Da cosa lo si può osservare? Dal fatto che le persone si sentono felici, trovano senso in quello che fanno e molta soddisfatto nelle relazioni.

Andrea Colamedici, filosofo e fondatore del progetto Tlon, ha fatto alcuni esperimenti che documentava sui suoi canali social: agiva attacchi di “gentilezza anonima”.

Per esempio, ha raccontato che un giorno ha comprato un vassoio di dolci che ha lasciato nella portineria del suo condominio, chiedendo alla portinaia di distribuirli senza dire chi fosse il condomino che li aveva acquistati. Tutti i condomini hanno cominciato a nutrire sospetti su tutti gli altri, e non per le solite questioni legate allo sporco e al chiasso ma… per individuare colui o colei che potesse aver compiuto quel gesto di gentilezza.

Sospettare atti di gentilezza ha innescato un circolo virtuoso: le persone erano più cordiali. Non ha cambiato il palazzo, ma ha fatto stare bene molti inquilini. In che modo? Facendo provare meraviglia e piacere.

Nel libro “Il potere delle abitudini”, l’autore Charles Duhigg cita l’esperimento del professor Mark Muravern, che all’epoca collaborava con l’University of Albany. Nell’esperimento alcuni studenti erano messi di fronte a un piatto di biscotti appena sfornati. A un gruppo, i ricercatori avevano chiesto gentilmente – ringraziando loro per il tempo dedicato all’esperimento – di ignorare i biscotti e non mangiarli, mentre al gruppo di controllo era stato imposto di non mangiare i biscotti, mostrando fastidio e scortesia. Dopo 5 minuti, senza toccare i biscotti, queste persone dovevano guardare un monitor e schiacciare una barra spaziatrice ogni volta che vedevano una sequenza particolare di numeri. Per farla breve: il compito era noioso e richiedeva molta concentrazione.

Cosa è successo? Il gruppo trattato con gentilezza era andato bene: le persone avevano concluso l’esercitazione e avevano mostrato forza di volontà fino alla fine. Chi era stato trattato sgarbatamente invece aveva abbandonato l’esperimento o, nel migliore dei casi, aveva ottenuto un pessimo risultato.

Che cosa voleva far capire attraverso questo esperimento Muraven? Che la forza di volontà si manifesta nelle persone trattate con gentilezza perché queste percepiscono di fare qualche cosa che richiede loro autocontrollo. E come si alimenta l’autocontrollo? Dal sentire che si sta svolgendo qualcosa di piacevole oppure di utile a qualcun’altro.

Gentilezza e autocontrollo sono strettamente collegati.

Negli ultimi due anni, i rapporti fra le persone potrebbero essere diventati meno autentici e sempre più intermediati. Riprendere a stare insieme richiede sforzo e si può avvertire un certo nervosismo nell’aria.

Con la pandemia, complici la preoccupazione e la distanza, potremmo esserci trovati nella situazione di dimostrare molta ostilità e nervosismo nei confronti dei nostri cari, collaboratori e colleghi.

Ora possiamo rimediare mettendo in campo il nostro autocontrollo e compiendo atti di gentilezza – dichiarata o anonima – che fa star bene gli altri e anche noi.

 

 


 


Federica Cicchelli

Psicologa | Formatrice soft skills | Coach per lo sviluppo professionale | Orientamento professionale | Bilancio di competenze | Politiche Attive del Lavoro | HR | Psicoterapeuta

3 anni

Dire “grazie” a qualcuno per il proprio lavoro significa riconoscerlo come persona e quindi “riconoscere” il valore di ciò che ha fatto, il tempo e l’impegno dedicato. Lo stesso vale negli altri ambiti: relazioni, famiglia, comunità… Funziona come un “rinforzo positivo” pari e direi, più del premio materiale. Gli effetti di sentirselo dire sono significativi: crea motivazione e “alleanza”. Ringraziare è gratis e fa bene.

Mauro mi anno detto che L' Italia e' cambiata e peggiorata e Vero? Io tanti anni fa' so andata al imbasciata Italiana & mi anno dettoche Io no son Italiano! Io ci ho detto che sono nato in Italia a Palermo e' sono piu' Italiane di loro! Mi anno buttato fuori. Ma si fa cosi? Re Charles B

Federica Piccoli

| PR & Comunicazione | Business e wellbeing coach | Turismo enogastronomico sostenibile | Meditazione | Partner @Euprana srl |

3 anni

grazie Mauro Dotta, mi trovi assolutamente d'accordo. Infatti uno degli esercii che amo proporre di più è la "meditazione della gratitudine", che apre a moltissime possibilità.

Simona Battistella

HR Manager - Socia Aidp Piemonte e Valle d'Aosta

3 anni

Come sai Mauro Dotta ho avviato da parecchi mesi una piacevole abitudine, quella di ringraziare un o una collega a settimana. Il potere del #grazie, #saythanksto è forte, tanto per chi ringrazia che per chi è ringraziato

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate