God save the IT
Da brava studentessa di solida formazione umanistica (prima) e professionista della comunicazione in ambito cultura e intrattenimento (dopo), ho sempre idealmente pensato a "quelli dell' IT" come a delle creature mitologiche inavvicinabili e misteriose. Che diciamocelo, già la parola IT spaventa così, con questa assonanza "spielberghiana" a metà tra personaggio horror e alieno extraterrestre.
Negli ambienti in cui mi muovevo fino a pochi anni fa, "i tizi dell'IT" erano i colleghi che ti venivano presentati semplicemente come "..e poi loro sono Marco e Luca, quelli dell'IT..". Nessuna spiegazione, nessun dettaglio, una sospensione finale che lasciava aperto un varco misterioso, stile Stargate. Non venivano lasciati per ultimi con superiorità o con solida consapevolezza, sia chiaro, ma il velato disagio nel tono della voce del narratore tradiva una sorta di diffidenza verso lo "sconosciuto". Credo fosse davvero una forma di "IT-Fobia", una paura di qualcosa che non si capisce, che si palesava con un'ansia da prestazione che rilevava la debolezza dei "non-IT" nel non sapere spiegare di cosa si occupassero veramente.
"Quando il PC non funziona, oppure quando..beh, ti serve aiuto per cose di questo tipo, cose tecniche, allora aprigli un ticket" - mi dicevano, liquidandoli. Poi si continuava il tour degli uffici e si passava al dipartimento Sales&Marketing, dove mi venivano snocciolate presentazioni fresche di saggio di Kotler, supportate da analisi SWOT disegnate con fervore sui vetri appannati e supportate da teorie così fluide e liquide che anche Bauman avrebbe fatto fatica a descrivere. Alla fine del tour, sull'agendina mi ero appuntata anche il codice fiscale e e la data di nascita del criceto di ognuno, praticamente avevo un Profile completo delle Buyer Personas di riferimento con cui avrei dovuto lavorare fianco a fianco tutti i giorni. Ma non degli IT.
Per conoscere meglio Marco e Luca, dovevo probabilmente "aprire un ticket", qualunque cosa volesse dire.
Guardavo Marco e Luca da lontano, li incrociavo solo alla macchinetta del caffè e li ascoltavo parlare, parlare, parlare. Senza capire nulla. Sembrava avessero un linguaggio tutto loro, in codice, per non farsi capire, come quando a 6 anni con la mia amica Silvia parlavo in "alfabeto farfallino" per non far scoprire ai grandi i nostri super segreti.
Un giorno ho preso coraggio e, infilandomi tra le parole "escalare" e "repository" chiesi loro cosa volesse veramente dire "aprire un ticket". Si sono zittiti e mi hanno guardato con gli occhi fuori dalle orbite, esattamente nello stesso modo in cui gli altri guardavano loro tutti i giorni. Ho fatto dietro-front e, ferita nell'orgoglio, non ho più parlato con "quelli dell'IT".
Fino a 3 anni fa.
Più o meno per caso, infatti, 3 anni fa sono approdata nel settore ICT (o Digital Transformation, che dir si voglia) circondata ovunque da "quelli dell'IT". Il panico.
Ero io ad essere "quella del marketing", quella strana, adesso. E il mio lavoro, first of all, prevedeva un minimo di conoscenza di questo mondo che io credevo fosse talmente distante da dover prendere un master in "Comunicazione Fantascientifica". Ma ancora prima di arrivare a capire di cosa parlare e come farlo, dovevo superare lo scoglio più alto: parlare con le persone che me ne potevano parlare. Per due motivi: innanzitutto, nel mio lavoro, le persone sono la fonte più preziosa che esista, parlarsi è fondamentale. Secondo, io sono una SocioEmpathic di natura: ho necessità di interagire, creare un rapporto, accorciare le distanze, conoscere, farmi conoscere, incrociare, sfumare i confini, creare cose nuove.
Quanto è stato duro quel muro. Ho picchiato la testa talmente tante volte che la parola "resilienza", tanto di moda nel 2020, io già la usavo dall'anno prima tutti i giorni. Giuro, le ho provate tutte:
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Finchè un giorno, stremata e abbattuta, ho risposto in modo totalmente istintivo, alla mail di team di un collega, di cui avevo compreso 1 parola su 5, cosi:
Da qui, è cambiato tutto. Probabilmente il mix tra la mia ignoranza disarmante e la naturalezza della risposta ha fatto capire loro che le mie intenzioni erano davvero buone e che io li volevo conoscere (veramente) e volevo comprendere i loro argomenti (direi disperatamente!). Mi hanno accolta con un calore che non avevo mai conosciuto prima. Un calore vero, disinteressato. Mi hanno consegnato "le credenziali dell'accesso" al loro mondo, professionale e personale. E, nel tempo, ci siamo nutriti a vicenda dei nostri reciproci interessi e avvicinandoci ognuno all'originalità dell'altro ci siamo arricchiti tutti, dentro e fuori le mura dell'ufficio (o dal perimetro di Teams).
Perchè, si, io ero partita prevenuta, dopo Luca e Marco. Ma loro, "quelli dell'IT" erano prevenuti verso di me, quell'essere strano che tanto voleva conoscerli ma che non sapeva come approcciarli. Si chiedevano esattamente in quale parte del dialogo (o inizialmente, del mio monologo), gli avrei rovesciato addosso il mio "problema tecnico", quando tra un sorriso e un caffè gli avrei detto "senti, mi puoi configurare sul telefono tutti gli account social media aziendali, il mio facebook personale bannando mia madre nei post del post sbronza, e già che ci sei anche il tik tok del mio cane?" ; o quando, aspettandoli fuori dal bagno con il blocco in mano, avrei dirottato il discorso su "senti, mia cugina sospetta che il marito la tradisca, mi puoi installare una microspia sul tablet che capta a 360° i movimenti dietro le porte, con termografo a infrarossi, ovviamente tutto super backuppabile con quintuplo recupero password con OTP a caratteri sumeri , meglio se con inserimento da destra a sinistra?".
Perchè fondamentalmente la maggior parte dei non IT pensa che l'IT tutto possa fare e niente voglia fare. Nulla di più sbagliato. Gli IT sono facilitatori: senza di loro le organizzazioni non esisterebbero. Sono dei piccoli Atlante che silenziosamente tengono il mondo (infrastrutturale) sulle spalle, che fanno funzionare quello che noi tutti i giorni pensiamo sia normale che funzioni, ma che in realtà funziona solo perchè ci sono loro, che non hanno orari, che sono sempre reperibili anche senza reperibilità.
Quelli dell'IT sono i registi silenziosi delle organizzazioni, quelli che restano nel retroscena e non vanno mai sul palcoscenico, quelli che parlano meno e agiscono di più, quelli che nessuno ha mai pensato di dover conoscere, se non per "aprire un ticket".
Che poi, diciamocelo: il ticket è importante, non è una scusa. Aprire un ticket serve per tracciare la richiesta affinchè venga risolta il prima possibile in ordine di priorità, serve per registrare la procedura di risoluzione affinchè il "problema" non rimanga tale per chi domani si troverà nella stessa situazione e fare Troubleshootinge formazione, serve per risparmiare tempo e costi, per aumentare la produttività dell'IT e del non IT, per fare in modo che i dirigenti possano analizzare la situazione, riqualificare e prioritizzare.
Quindi, GRAZIE colleghi IT per quello che silenziosamente fate per noi tutti i giorni e scusateci se non vi comprendiamo sempre, così come noi dovremmo scusare voi per lo stesso motivo (perchè in fondo, un pò rigidini all'inizio lo siete, ma in questa condizione, la maggior parte delle volte, vi ci mettiamo noi!): ma se tutti riuscissimo a fare un passo l'uno verso l'altro, ad avere curiosità e maggior sensibilità, tutto il sistema ne trarrebbe un grandissimo beneficio.
E, fidatevi, che, al di là della relazione win-win professionale, scoprirete che è vincente anche lo scambio nella vita privata.
Key Account Manager at Zetes Italia
2 anniGrazie Chiara, ora aprire un ticket ha più senso. Io spesso, con quelli dell'IT ho usato la tattica "ti guardo con gli occhi da cocker, non puoi resistere e mi darai una mano" ma devo ammettere che il ticket è più professionale. 😉
Solution architect, Sales Engineer and Project Manager ITIL Certified
2 anniFantastico Chiara! Fai sembrare "quelli dell'IT" addirittura simpatici 🙂. E ti assicuro, non sono solo i "non-IT" a non saper spiegare cosa fanno "quelli dell'IT", ho avuto spesso lo stesso problema anche io... fino a quando non ho capito che descrivere il nostro lavoro in termini tecnici è sbagliato; possiamo, e dobbiamo, nascondere le complicazioni tecniche e descrivere il nostro lavoro in termini di come possa servire a facilitare quello degli altri; affinché anche "quelli del Marketing" possano fare il loro nel migliore dei modi.
Brava Chiara!!! 👏
CEO and Entrepeneur 4K Followers
2 anniuna serie di considerazioni profondamente vere !
Intellectual Property Manager | Paralegal | Anti-counterfeiting Expert | Open Science | Fair Data| Fluent English and a passion for innovation |
2 anniÈ una riflessione davvero interessante e direi super veritiera. Il mondo dell' It purtroppo è spesso percepito come quello di the “It Crowd”! Grande Ky!