I Condoni Fiscali in Italia
Dal 2001 ad oggi, diverse misure hanno permesso ai contribuenti con debiti fiscali di sanare la propria posizione attraverso il pagamento di una somma ridotta rispetto al totale dovuto, noti come “condoni”. Questi interventi, se da un lato hanno immediatamente aumentato le entrate fiscali, dall’altro hanno compromesso la credibilità del sistema fiscale, incoraggiando comportamenti evasivi attraverso un “premio” agli evasori. Nonostante tali criticità, è stato recentemente approvato un nuovo condono, previsto nel Decreto Omnibus, con l’obiettivo di incentivare l’adesione al Concordato Preventivo Biennale. Questo documento ripercorre i condoni principali introdotti negli ultimi venticinque anni, classificandoli in base al livello di agevolazione offerto.
I Condoni Fiscali dal 2001 ad oggi
Nel corso degli anni, sono state introdotte varie misure per facilitare la regolarizzazione fiscale, spesso indicate con espressioni come “scudo fiscale”, “voluntary disclosure” o “rottamazione delle cartelle”, evitando il termine “condono fiscale” per ragioni politiche. Nel 2001, il governo Berlusconi II varò un “Scudo fiscale” mirato a far rientrare in Italia capitali o investimenti detenuti all’estero e non dichiarati. Gli aderenti potevano regolarizzare la loro posizione con un’imposta sostitutiva del 2,5% e senza incorrere in sanzioni amministrative. L’adesione garantiva l’anonimato, con le banche che fornivano un certificato da utilizzare come “scudo” in eventuali controlli futuri. Inoltre, lo Scudo offriva una vasta immunità penale per reati di natura fiscale.
Nella legge di bilancio per il 2003, il governo Berlusconi II introdusse una sanatoria di più ampio respiro, che permetteva di regolarizzare debiti fiscali legati a Irpef, Iva e altre imposte non versate fino al 31 ottobre 2002.
La sanatoria prevedeva un’imposta sostitutiva con aliquote decrescenti: 8% fino a 10.000 euro, 6% tra 10.000 e 20.000 euro e 4% sulla parte eccedente. Un ulteriore condono, anch’esso denominato “Scudo fiscale”, fu poi approvato nel 2009 dal governo Berlusconi IV.
Il condono del 2009, simile a quello del 2001, consentiva il rimpatrio di capitali non dichiarati detenuti all’estero prima del 31 dicembre 2008. Gli aderenti dovevano versare un’imposta del 50% sul “rendimento lordo presunto” delle attività non dichiarate, calcolato come il 2% annuo per cinque anni. Tale imposta si traduceva in un’aliquota elevata su una base ridotta del capitale potenzialmente frutto di evasione. Anche questa misura garantiva l’anonimato e l’esenzione da reati penali e fiscali, purché non fossero stati avviati procedimenti penali prima dell’autodenuncia. Tuttavia, alcuni osservatori hanno espresso preoccupazioni, come già per il 2001, sul rischio che la misura potesse favorire la “pulizia” di capitali da attività illecite.
Nel 2015, il governo Renzi introdusse la “voluntary disclosure”, poi estesa con la “voluntary disclosure-bis” nel 2017. Questa iniziativa spingeva i contribuenti a denunciare volontariamente attività finanziarie all’estero o imposte non versate. A differenza dei precedenti condoni, chi aderiva doveva saldare l’intera somma dovuta senza anonimato, ma con uno sconto sulle sanzioni amministrative e l’esclusione da eventuali procedimenti penali, purché l’autodenuncia precedesse qualsiasi accertamento.
Sempre il governo Renzi, nel 2016, avviò la prima di diverse “rottamazioni delle cartelle esattoriali” o “definizioni agevolate”. Questa misura riguardava debiti fiscali noti all’Agenzia delle Entrate ma non ancora riscossi, e permetteva di sanare debiti accumulati tra il 2000 e il 2016 senza sanzioni o interessi di mora. L’obiettivo era accelerare il recupero dei crediti fiscali, riducendo pendenze e contenziosi con un incentivo per i contribuenti. Le scadenze per aderire furono prorogate più volte, dapprima con la “rottamazione-bis” del governo Gentiloni nel 2017 e poi con la “rottamazione-ter” del governo Conte I nel 2018. Nel 2018, il governo Conte I introdusse anche il “Saldo e stralcio”, destinato ai contribuenti a basso reddito, che consentiva di saldare una percentuale ridotta del debito fiscale esistente.
Il condono del governo Draghi e le “mini sanatorie” del governo Meloni
Nel 2021, il governo Draghi ha introdotto una misura di stralcio delle cartelle esattoriali per i debiti inferiori a 5.000 euro, risalenti al periodo 2000-2010, destinata ai contribuenti con un reddito annuo sotto i 30.000 euro. A differenza dei precedenti condoni, questa procedura era automatica: l’Agenzia delle Entrate, incrociando i dati sul reddito e sugli importi dovuti, applicava automaticamente lo stralcio. Questa misura nasceva per sostenere i contribuenti in difficoltà nel periodo post-pandemico, eliminando debiti considerati difficilmente esigibili.
Con il governo Meloni sono state introdotte diverse misure di “mini condoni”, come la Rottamazione-quater, che ha esteso le possibilità di regolarizzare i debiti maturati dal 2000 al 2022. Similmente alle precedenti rottamazioni, i contribuenti dovevano pagare l’importo principale senza sanzioni o interessi. La Legge di Bilancio per il 2023 ha inoltre introdotto il “Ravvedimento operoso speciale,” che permetteva il versamento degli importi evasi fino al 2021 con sanzioni ridotte e pagamenti dilazionati. Questa dilazione, sebbene non fosse una novità, ha rappresentato un’agevolazione significativa in un periodo di alta inflazione, poiché i debiti accumulati in precedenza risultavano scontati in termini reali.
L’ultimo condono del 2024 per il Concordato Preventivo Biennale
L’ultimo condono, introdotto l'8 ottobre 2024, ha lo scopo di incentivare l’adesione al Concordato Preventivo Biennale (CPB). L’importo da versare è calcolato su una “base imponibile” moltiplicata per un’aliquota tra il 10% e il 15%, in base al “voto” del contribuente nell’Indice Sintetico di Affidabilità Fiscale (ISA): punteggi più bassi corrispondono a un’aliquota maggiore. Anche la base imponibile è influenzata dal voto: minore è il voto, maggiore è la base imponibile. Sebbene questo sembri penalizzare i grandi evasori, in realtà, chi dichiarava poco finisce per pagare relativamente meno, poiché la base imponibile è calcolata moltiplicando il reddito dichiarato per una percentuale crescente al decrescere dell’ISA.
La generosità dei condoni: un confronto
Per valutare la generosità dei condoni, consideriamo un debito fiscale di 100.000 euro accumulato tre anni prima del condono, con un’aliquota media ipotetica del 40% su un reddito reale di 350.000 euro. Se si assume che gli interessi di mora siano del 4,3% annuo e le sanzioni al 25% del dovuto, l'ultima colonna della Tav. 1 mostra la percentuale da pagare rispetto al totale (compresi interessi e penalità): quanto più basso è questo valore, tanto più generoso è il condono. Le prime tre sanatorie, dei governi Berlusconi, si distinguono per una maggiore generosità rispetto a quelle dal 2014 in avanti, a eccezione dell'ultimo condono per il CPB. Nel caso della sanatoria del 2002, ad esempio, un evasore poteva pagare solo l’1,6% del totale dovuto.
La differenza tra i condoni precedenti e quelli post-2014 si spiega col fatto che i condoni successivi, ad eccezione di quello del 2014, riguardavano cartelle esattoriali, quindi debiti già accertati, per cui forti sconti sarebbero stati politicamente insostenibili. Con il condono del CPB, si torna a pagamenti richiesti molto bassi. La Tav. 2 mostra come è stato calcolato: assumendo un reddito reale di 350.000 euro e un reddito dichiarato di 100.000 euro, si ottiene un’evasione di 100.000 euro. Con un ISA basso (ipotizziamo 2), il reddito dichiarato aumenta del 50%, portando la base imponibile a 50.000 euro e l’aliquota al 15%, per un totale di 7.500 euro, pari al 5,4% del dovuto.
In uno scenario alternativo, se la stessa evasione si fosse verificata con un reddito dichiarato più alto, l’importo dovuto sarebbe proporzionalmente maggiore. Un contribuente che dichiari 200.000 euro su un reddito reale di 450.000 avrebbe un’aliquota di base ridotta del 30% (invece del 50%), portando l’importo dovuto al 6,5% del totale. Questo sistema di aliquote crescenti si rivela quindi insufficiente a penalizzare adeguatamente i grandi evasori, poiché al diminuire del reddito dichiarato, la base imponibile si riduce, abbassando anche l’importo finale da versare.