I pensieri di ieri

I pensieri di ieri

Forse ho scoperto l’acqua calda, ma in questi giorni ha preso forma nella mia testa un inedito luogo emotivo. Probabilmente, stava lì da tempo e aspettava solo il momento giusto per farsi teoria.

Una teoria, come dire, senza nulla di teorico. Certo.

Le conversioni (o contorsioni?) della politica di questi giorni l'hanno riaccesa e lei, la pseudo-teoria, si è messa in moto. Andando oltre il perimetro che l’aveva innescata.

Collisioni neurochimiche? Può darsi.

Verosimilmente, lo scenario è più quello di un bilancio o, per meglio dire, una differenza fra i miei pensieri di ieri e quelli di oggi. Così, mi sono accorto che in larga parte coincidono e, sedimentandosi, continuano a determinare ciò che viene ritenuta la coerenza personale.

Il processo è noto. Ciò che pensiamo si trasforma in parole. Le parole hanno poi un potere enorme sulle azioni che facciamo, fino a farle diventare un’abitudine. Ovvero, il nostro percorso riconoscibile nel mondo.

Quindi, da un lato, la notizia è rassicurante, possiamo decidere l’azione attraverso il collaudo storico dei nostri pensieri, ma dall’altro lato la minaccia è altrettanto importante perché, per lo stesso motivo, ci facciamo influenzare anche dai pensieri negativi che, per eccesso di confidenza, non riconosciamo più come tali.

Non ce la farò mai”, “Sicuramente non andrà bene”, “Capitano tutte a me”, sono una parte dei tanti pensieri “bloccanti” che, per effetto dell’invarianza cui ho accennato, ci trasciniamo dietro giorno dopo giorno.

Appartengono alla nostra pratica quotidiana e, insieme alla superficialità di analisi (anche questa si stratifica e diventa “coerenza”), ecco servita la rappresentazione di un mondo soggettivo che invece spacciamo per universale.

Ora, la questione è come riconoscere la cifra tossica di questi pensieri e tentare di espellerli.

Alla ricerca dei filtri perduti

Il fenomeno delle echo-chamber nei social media è prossimo al suo punto di non ritorno. Senza andare tanto in profondità, il loro vantaggio competitivo va inquadrato nella perdita di autorevolezza dei percorsi scolastici, nei pregiudizi che sostengono i bias cognitivi, nel dilagante effetto Dunning-Kruger.

Tuttavia, alla fine è sempre una questione di scelte. Possiamo decidere di trascorrere tutto il nostro tempo libero su Facebook, oppure dedicarci, anche solo in parte, alla lettura di un libro, alla scrittura di un diario, alla contemplazione di un tramonto.

Recentemente, complice una delle serie tv più in voga del momento, ho ripreso a giocare a scacchi. Una passione giovanile che, al pari della pseudo-teoria cui accennavo, si è risvegliata per effetto di una sollecitazione esterna.

Ancora una volta, un gioco di causa ed effetto ha messo in discussione routine arrugginite, seppur consolidate nella loro invariabilità. Una ragione in più per ripulire i miei filtri mentali e riprendere l’abitudine a mettere in discussione quello schema “scontato” che non solo mi impediva di muovere i pezzi, ma addirittura mi occultava la scacchiera.

Da perdere il controllo a prendere il controllo

Abbiamo gli armadi pieni di vestiti, per non parlare delle scarpe. Ma, come se fossimo programmati secondo la modalità acceso-spento, indossiamo sempre lo stesso paio di jeans e calziamo da mesi le medesime sneaker.

Alla stessa stregua, pur avendo accesso a un’infinità di canali di pensiero, ci sintonizziamo solo su uno o due. Con l’aggravante che non ci ricordiamo nemmeno più dove si alza o si abbassa il volume dei contenuti che ci vengono propinati.

La disintossicazione digitale, con tutto quello che significa (compreso il suo contrario), non si attua col folcloristico rimedio del ritiro nel proverbiale convento dove “il telefono non prende”, ma attraverso la consapevolezza che il “telecomando” ce l’abbiamo in mano noi.

Perché questo “combinato disposto” possa dare i suoi frutti è necessario selezionare nuove mescolanze di tasti (anche a casaccio) e far uscire dal torpore la pseudo-teoria.

Penso positivo perché son vivo

Niente e nessuno al mondo potrà fermarmi dal ragionare”, ecco il punto. La canzone di Jovanotti, fra le altre cose, è un invito a sostituire i cattivi messaggi che abbiamo nella mente con nuovi pensieri positivi (“Ce la faccio”, “Funziona”, “Mi piace questa sfida”).

I nuovi pensieri, elaborati col tempo presente, cambiano la nostra percezione del mondo e l’influenza sulle cose e sulle persone. Noi compresi.

Molto spesso si è paragonata la mente a una specie di carta assorbente. Ne deriva che se viene immersa in una pozzanghera non potrà che trattenere acqua sporca. Quindi, fin da subito, mettiamoci alla ricerca di sorgenti cristalline, sapendo che la nostra mappa non corrisponde al territorio.

Articolo originariamente pubblicato su www.sergiogridelli.it

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