I reati tenui
L’istituto della particolare tenuità del fatto è uno strumento normativo, introdotto di recente con il Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe servire per deflazionare l'enorme carico giudiziario nel nostro Paese.
Con il Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, "Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67", in vigore dal 2 aprile 2015, è stato introdotto ex novo nel codice penale l'art. 131 bis, che prevede l’esclusione della punibilità dei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, o la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, nel caso in cui, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
In questi casi, pertanto, lo Stato rinuncia ad applicare una pena per attuare una tutela risarcitoria e/o restitutoria di tipo civilistico o affida la funzione riparatoria ad un intervento di carattere amministrativo.
L'intento perseguito è la rapida definizione, tramite archiviazione o proscioglimento, dei procedimenti penali iniziati nei confronti di soggetti che abbiano commesso illeciti caratterizzati da una scarsa gravità, per evitare così l'avvio o il proseguimento di giudizi penali con conseguenti risparmi in termini di economia processuale, laddove la sanzione penale non risulti necessaria.
Nella Relazione del Consiglio dei Ministri n. 40 del 1 Dicembre 2014, sono riportati i principi ispiratori sui quali poggia il nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del reato:
L’istituto, costruito come causa di non punibilità, consentirà una più rapida definizione, con decreto di archiviazione o con sentenza di assoluzione, dei procedimenti iniziati nei confronti di soggetti che abbiano commesso fatti di penale rilievo caratterizzati da una complessiva tenuità del fatto, evitando l’avvio di giudizi complessi e dispendiosi laddove la sanzione penale non risulti necessaria. Resta ferma la possibilità, per le persone offese, di ottenere serio ed adeguato ristoro nella competente sede civile. L’attuazione della delega consentirà ragionevolmente, nel breve periodo, di deflazionare il carico giudiziario restituendo alla giustizia la possibilità di affrontare con nuove energie indagini e processi complessi, la quale definizione possa essere ritardata o ostacolata dalla pendenza di processi relativi a fatti di particolare tenuità.
Non si tratta dunque di una depenalizzazione. Con la depenalizzazione, infatti, i reati cessano di essere considerati tali a prescindere dalle modalità con le quali si sono consumati, si riduce cioè un illecito penale ad un mero illecito amministrativo.
Il legislatore ha invece attribuito un ampio potere discrezionale al giudice al quale è affidata la concreta verifica di quei fatti che hanno arrecato una offesa troppo lieve per meritare una sanzione penale perché scarsamente offensivi in ragione delle loro modalità di realizzazione, della lievità del danno o del pericolo cagionato e per la loro occasionalità.
La nuova disciplina non prevede alcun automatismo nella concessione della causa di non punibilità: spetta comunque al giudice valutare se nel caso concreto ricorrano le condizioni che giustificano l'archiviazione o il proscioglimento tenendo conto sia dei criteri dettati dall'art. 131 bis c.p., nonché sulla base dei parametri inerenti alla gravità del reato di cui al 1° co. dell'art. 133 (modalità dell'azione; gravità del danno o del pericolo; intensità del dolo o grado della colpa).
Il giudice, quindi, prima ancora che inizi il dibattimento, potrà esprimersi con sentenza di non doversi procedere ai sensi dell'art. 469, comma 1 bis, c.p.p. o attendere la fine del processo per emettere la sentenza di proscioglimento, perché l'imputato non è punibile ex art. 131 bis c.p., se le prove acquisite dimostrano che il fatto è di particolare tenuità e non è abituale.
Ma questa “clemenza giudiziaria” è applicabile anche alle sanzioni penali in ambito alimentare?
Pare proprio di si.
Come è noto le attività di produzione e vendita di alimenti in Italia sono presidiate da un apparato sanzionatorio di natura penale ancorato su due livelli [1]:
Il primo, previsto nel codice penale, relative a ”delitti” di pericolo per l’incolumità pubblica (articoli 439, 440, 442, 444 e 452 del codice penale), il cui nerbo risiede nella presenza di un pericolo concreto al bene "salute".
Il secondo livello attiene ai reati di natura contravvenzionale ed è disciplinato della legge speciale n. 283 del 1962 nella quale il pericolo per la salute è, per cosi dire, pre-valutato dal legislatore e il cui accertamento non costituisce, di solito, oggetto del dibattimento innanzi al giudice penale.
A quest'ultimo livello afferiscono, inoltre, i reati connessi alla macellazione clandestina e alla produzione e preparazione di carni fuori dal controllo ufficiale previsti dal Dlgs 193/2007.
Se si ci si limita dunque a considerare il primo requisito dell’ambito di applicazione del nuovo istituto riconducibile al limite edittale massimo della sanzione sembrerebbe suscettibile di considerazione l’ Art. 444 - Commercio di sostanze alimentari nocive, che è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a cinquantuno euro.
A questo si potrebbero aggiungere - per contiguità di “diritto alimentare e legislazione veterinaria”- anche altri reati previsti dal Codice penale e in particolare questi:
- 515 - Frode nell'esercizio del commercio
- 516 - Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine
- 517 quater - Contraffazione di indicazioni geografiche denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari
- 544 bis - Uccisione di animali
- 544 ter - Maltrattamento di animali
- 544 quater - Spettacoli o manifestazioni vietati
- 544 quinquies - Divieto di combattimenti tra animali
- 638 - Uccisione o danneggiamento di animali altrui
Per quanto riguarda i reati contravvenzionali previsti dalla Legge 30 aprile 1962, n. 283, per i quali le sanzioni previste all’art. 6, com. 3 - salvo che il fatto costituisca più grave reato - si limitano all'arresto fino a un anno o all'ammenda da 309 euro a 46.481 euro”, sembrerebbero altrettanto meritevoli della clemenza del Giudice, senza contare che l’accertamento di questi reati non costituisce necessariamente oggetto di dibattimento innanzi al giudice penale.
Lo stesso discorso vale per le macellazioni clandestine o per le lavorazioni di carni al di fuori del controllo ufficiale. L'Art. 6, com. 1, del Dlgs 193/2007, infatti, sanziona con l'arresto da sei mesi ad un anno o l'ammenda fino a euro 150.000, in relazione alla gravità dell'attività posta in essere, nei limiti di applicabilità del regolamento (CE) n. 853/2004, chi effettua attività di macellazione di animali, di produzione e preparazione di carni in luoghi diversi dagli stabilimenti o dai locali a tale fine riconosciuti ai sensi del citato regolamento ovvero la effettua quando il riconoscimento è sospeso o revocato.
In tutti i casi in cui il limite massimo della pena lo consenta, toccherà quindi al Giudice verificare se sussistono le altre condizioni previste per l’esclusione della punibilità dei reati sopra richiamati, ovvero:
1) la particolare tenuità dell’offesa, che implica una valutazione sulle modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo;
2) la non abitualità del comportamento dell'autore (che non deve essere un delinquente abituale, professionale o per tendenza, né aver commesso altri reati della stessa indole).
Solo in seguito ad un accertamento rigoroso di tali condizioni, lo Stato rinuncerà ad applicare una pena per attuare una tutela di tipo civilistico amministrativo, che in materia di sicurezza alimentare è comunque presidiata da un effettivo, proporzionato, e dissuasivo livello sanzionatorio previsto dalla regolamentazione comunitaria europea di settore (art. 54 Reg.CE 882/04).
Rimane, tuttavia, un forte dubbio: per alcuni reati alimentari “minori”, spesso realmente bagatellari perché caratterizzati da una pericolosità modestissima se non proprio nulla o per i casi di in cui siano incerte le ripercussioni sulla salute pubblica, in quale modo matureranno il loro convincimento sull'ipotesi di tenuità dei fatti i giudici delle diverse Procure della nostra Repubblica?
[1] Rif. Alimenti insudiciati e alimenti in cattivo stato di conservazione: la Cassazione fa ordine, di Daniele Pisanello).
Vedi anche:
Alimento criminale
Alimenti a rischio: due pesi e due misure.
I batteri nel cibo (da cuocere...) mettono a rischio la sicurezza?
Nota della Procura di Trento del 19 marzo 2015
Nota della Procura di Lanciano del 1 aprile 2015
Nota della CORTE DI CASSAZIONE Ufficio Del Massimario Settore Penale del 23 aprile 2015
Tecnologo Alimentare iscritto all'ordine - Lavoratore autonomo
9 anniMolto interessante... Ma secondo Voi, una persona che commercializza prodotti ittici, quindi spesso con problemi di carattere penale per Mercurio su pesci di grosso taglio, e quindi spesso chiamato davanti al giudice penale... diventa un "delinquente abituale"?
Medico Veterinario Consulente HACCP e Sicurezza Alimentare
9 anniMi piace molto la domanda finale. Certamente assisteremo a pene o grazie diverse a parità di reato tenue. Sic est....
medico veterinario Phd presso studio consulenza sicurezza alimentare Ferrara
9 anniCondivido il pensiero.
Food Lawyer I Founder of Foodlawlatest.com & Food Orbit Experts I Business advisor @Celerya I Guest Instructor at MSU IFLR I Associate at Iseven Servizi
9 anniGrazie per l'interessante spunto Fabrizio, aprirei una petizione per conferirti una laurea ad honorem in giurisprudenza :)