I repertori nei Sistemi di Gestione Documentale
Uno degli aspetti più noti del TUDA (la legge 445/2000), non sempre per nobili motivi, è l'esclusione dell'obbligo di protocollazione dei documenti "già soggetti a registrazione particolare da parte dell'amministrazione" operata dall'art. 53, comma 5.
Nel mondo digitale questa esclusione, spesso purtroppo utilizzata per scopi elusivi di quella che è considerata una "scocciatura" - la registrazione di protocollo - ha delle ripercussioni notevoli, che possono, se non comprese e gestite, portare anche a gravi conseguenze, fino alla perdita di valore giuridico/probatorio dei documenti.
Ma facciamo prima un passo indietro.
Cos'è la registrazione particolare, cos'è un repertorio?
Sono questi termini usati con frequenza sia nella norma che nella prassi quotidiana ma spesso con accezioni fra loro differenti cosa che genera confusione. Di definizioni ne esistono parecchie ma in questo contesto penso che la migliore ed maggiormente efficace sia quella data dal Gruppo di Lavoro che nel 2005 ha prodotto il Piano di Classificazione per i Comuni. (documento eccellente, ancora validissimo nonostante del 2005)
A pagina 11 del Piano di Classificazione si trova questa definizione:
"Non sempre i documenti prodotti dal Comune vengono aggregati in base solo all’oggetto e quindi utilizzando il titolario di classificazione; talvolta essi costituiscono serie, in base alla tipologia documentaria (ad esempio, i decreti, le ordinanze, le deliberazioni) o di provenienza (nel senso che sono prodotti dal medesimo ufficio od organo: ad esempio, il Sindaco oppure il Consiglio). Si creano così quelle aggregazioni che il Gruppo ha denominato per comodità repertori, intendendo designare con tale termine quelle serie nelle quali i documenti uguali per forma e/o provenienza, ma differenti per contenuto vengono allineati in ordine cronologico e da tale ordine ricavano un numero identificativo che ha rilevanza giuridica. In sostanza i repertori sono, in ambiente cartaceo, quei registri su cui si trascrivono e nei quali si inseriscono in sequenza determinata (in genere cronologica) documenti uguali per forma e/o provenienza, ma differenti per contenuto e che sono corredati da uno strumento (il repertorio, appunto), atto al reperimento del singolo documento ricercato"
In parole povere i repertori sono dei registri, simili a quello di protocollo (ma non protocolli secondari, vietati dalla legge!), in cui sono registrati, in modo analogo a quello che avviene nel registro di protocollo, solo alcune tipologie particolari di documenti. Così avremo il repertorio delle delibere, quello delle determine, quello delle ordinanze e così via. Il repertorio assume anche il significato di raccolta ordinata (serie) dei documenti lì registrati.
La registrazione dei documenti nel repertorio è quello che la norma intende per registrazione particolare.
Esistono repertori obbligatori per legge (ad esempio quello dei contratti - documenti obbligatoriamente informatici -, ancora, per via di una norma mai abrogata, da tenere in forma cartacea e vidimato dall'AdE!) e altri che invece si possono decidere di istituire secondo scelte organizzative dell'Ente, che vanno comunque indicati nel Manuale di Gestione.
Così come definita dal Gruppo di Lavoro, almeno nell'ambito cartaceo, l'esclusione dall'obbligo di protocollo di cui al TUDA, appare ragionevole. A fianco al registro di protocollo si collocano i registri dei repertori, tenuti con le medesime modalità. Una seconda registrazione appare, di fatto, poco utile e dispendiosa.
Nel mondo digitale però le cose cambiano.
I repertori nel mondo digitale
Il Gruppo di Lavoro, nella sua definizione, opera una distinzione fra il mondo analogico e quello digitale. Arrivando persino a negare la possibilità di non protocollare i documenti repertoriati. Sempre a pagina 5 troviamo questo passaggio:
"I documenti repertoriati, secondo la procedura di registrazione particolare descritta dal DPR 445/2000 [...], possono e, nel caso siano su supporto informatico, devono essere registrati nel protocollo generale. Il singolo documento repertoriato viene pertanto identificato (e citato) tramite due numeri: quello di repertorio (ad esempio, n. 1729/2005 del repertorio delle ordinanze) e quello di protocollo generale (ad esempio, 93.812/2005)"
Nelle note esplicative troviamo anche la giustificazione della posizione assunta:
"la dottrina di recente ha sottolineato l’opportunità di protocollare anche i documenti registrati in repertori per due ordini di motivi: per prima cosa perché la registrazione a protocollo rappresenta la certificazione dell’entrata del documento nell’archivio del produttore; in secondo luogo perché il registro di protocollo ha attualmente, oltre alla valenza giuridico-probatoria, una funzione gestionale molto spiccata. In effetti, però, se il sistema informatico garantisce la gestione dei metadati relativi ai documenti comunque registrati, nel caso dei documenti repertoriati è superflua la protocollazione"
E' qui sottolineato un aspetto fondamentale su cui torneremo in seguito: la necessità che il repertorio, affinché possa considerarsi idoneo ad essere alternativo al protocollo, debba essere gestito dal sistema di gestione documentale in modo del tutto analogo al registro di protocollo e i documenti qui registrati siano dotati dei metadati, per garantire che, anche dal lato gestionale, il trattamento dovuto al documento informatico, sia rispettato.
Protocollazione e validità delle firme elettroniche
Il documento, del 2005, non ha potuto tener conto però di un altro aspetto che distingue in modo essenziale il protocollo dai repertori: la capacità di attribuire una data certa opponibile a terzi da associare al documento informatico sottoscritto con firma digitale/qualificata/avanzata. E' questa una peculiarità del documento informatico che spesso ai più sfugge ma che, se non correttamente gestita, può, come si diceva all'inizio, portare alla perdita del valore giuridico/probatorio del documento.
La cosa ha a che fare con la scadenza dei certificati e le conseguenze che ciò ha sulle firme elettroniche, di cui avevo avevo diffusamente scritto qui.
Il DPCM 22 febbraio 2013 (Regole tecniche per le firme elettroniche) stabilisce, all'articolo 62 che:
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Le firme elettroniche qualificate e digitali, ancorche' sia
scaduto, revocato o sospeso il relativo certificato qualificato del
sottoscrittore, sono valide se alle stesse e' associabile un
riferimento temporale opponibile ai terzi che collochi la generazione
di dette firme rispettivamente in un momento precedente alla
scadenza, revoca o sospensione del suddetto certificato
Quindi, per mantenere la validità della firma anche dopo la scadenza del certificato, è necessario associare al documento informatico un riferimento temporale certo opponibile a terzi.
Lo stesso DPCM stabilisce inoltre quali siano i riferimenti temporali validi, oltre alla marca temporale:
a) il riferimento temporale contenuto nella segnatura di protocollo
di cui all'art. 9 del decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, 31 ottobre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21
novembre 2000, n. 272;
b) il riferimento temporale ottenuto attraverso la procedura di
conservazione dei documenti in conformita' alle norme vigenti, ad
opera di un pubblico ufficiale o di una pubblica amministrazione;
c) il riferimento temporale ottenuto attraverso l'utilizzo di posta
elettronica certificata ai sensi dell'art. 48 del Codice;
Come si nota la data del protocollo è riferimento temporale valido, mentre quella dei repertori NON lo è.
Quindi un documento repertoriato ma non protocollato, se non dotato di altri riferimenti temporali opponibili a terzi (es l'invio in conservazione o una marca temporale), una volta che il suo certificato scade, si ritrova ad avere una firma non più valida, con conseguenze che lascio ai giuristi specificare. Un gran bel problema!
Ecco perché, l'applicazione del comma 5 dell'art. 53 del TUDA, nel mondo digitale, deve essere eseguita con cognizione di causa, e non con la superficialità che ancora oggi si ritrova in moltissimi Enti pubblici.
Molto sta anche, non mi stancherò mai di dirlo, nella qualità del Sistema di Gestione Documentale, che deve essere, lo ribadisco anche se scontato, perché nella realtà quasi sempre così non è, pienamente conforme alla normativa. Soprattutto non deve più essere solo Protocollo Informatico ma vero Sistema di Gestione Documentale in grado di gestire l'Archivio Digitale dell'Ente in tutte le sue parti.
Repertori e Sistemi di Gestione Documentale
Già nel 2005 il Gruppo di Lavoro aveva sottolineato l'opportunità che il sistema gestisca i repertori, cito testualmente, "il repertorio [...] viene comunque gestito dal sistema informatico, il cui software deve pertanto prevedere un’apposita funzione "
In base a quanto fin qui detto l'opportunità che il sistema offra una gestione dei repertori appare evidente ma, con l'introduzione delle Linee Guida per la Gestione Documentale, la cosa diviene di fatto obbligatoria.
Al Paragrafo 3.3.3 si stabilisce chiaramente che il protocollo e tutti gli altri registri/repertori, devono essere gestiti nel Sistema di Gestione Documentale. Ma non solo: al paragrafo 3.1.3 dedicato alle forme di registrazione informatica specifica:
"applicando ove possibile i requisiti fissati per la registrazione di protocollo anche alle altre forme di registrazione informatica dei documenti, fatto salvo quanto disposto per esse da eventuali norme vigenti"
Quindi, ove possibile (ma quando, in realtà non lo è?) i repertori non solo devono essere gestiti nel Sistema di Gestione Documentale ma devono esserlo in modo analogo a quello del registro di protocollo. In sostanza si opera su un repertorio con le stesse regole con cui si opera sul registro di protocollo. Questo include, a mio parere, oltre all'obbligo di metadatazione dei documenti repertoriati, per altro rinvenibile anche in altri punti delle Linee Guida, anche la necessità di inviare in conservazione non solo il giornaliero di protocollo ma anche il giornaliero di ogni altro registro, specie se lo si usa come modalità di registrazione alternativa ai sensi dell'art. 53, comma 5 del TUDA.
In quest'ultimo caso (forse) è possibile estendere alla data del repertorio il valore di riferimento temporale opponibile a terzi che la norma attribuisce alla sola data del protocollo. Dal punto di vista tecnico l'analogia è pienamente calzante, dal punto di vista giuridico è tutt'altro che scontato, ma mi sono note alcune Amministrazioni, dotate di un Sistema di Gestione Documentale più evoluto, che trattando i registri in questo modo abbracciano questa mia interpretazione.
Lo stato dell'arte
Purtroppo duole constatare come molti dei Sistemi di Gestione Documentale in uso presso le PA non siano dotati di questa funzionalità, quasi sempre demandata a moduli software specifici (es. la gestione atti). Chiarisco: gestire i repertori nel sistema di gestione documentale significa che la registrazione avviene per opera di questo, e che eventuali programmi di gestione, non parte del Sistema di Gestione Documentale stesso, se registrano documenti nei repertori, lo devono fare attraverso opportune API esposte, in modo del tutto analogo in cui sistemi esterni interagiscono con il protocollo.
Carenza che, ahimè, si estende a tutto ciò che riguarda la gestione delle aggregazioni informatiche, fascicoli in primis.
Concludo con un aspetto secondario ma che ben fa capire come su questi temi vi sia scarsa sensibilità e conoscenza. Fino all'entrata in vigore delle Linee Guida la maggior parte dei moduli di gestione atti, tipico esempio di repertorio presente in tutte le PA, erano gestiti in modo completamente avulso dal Sistema di Gestione Documentale. Tanto che questi documenti non venivano nemmeno classificati. Con l'entrata in vigore delle Linee Guida i Conservatori hanno iniziato a pretendere che anche i documenti repertoriati fossero dotati di una classifica (perché metadato obbligatorio) e questo ha rappresentato un problema non tanto tecnico, quanto gestionale. Risolto associando al repertorio una classifica e attribuendo tale classifica a tutti i documenti del repertorio, cosa che, dal punto di vista archivistico è sbagliato. Sempre citando il Gruppo di Lavoro si capisce perché:
"il singolo documento registrato in un repertorio, quando non contiene oggetti multipli (come nel caso, ad esempio, dei verbali delle riunioni di un organo collegiale), viene classificato in base alla materia che tratta. Invece il repertorio, così come lo ha inteso il Gruppo di lavoro, accogliendo una prassi consolidata nei Comuni, configurandosi come una serie di documenti, non viene classificato"
Insomma, l'esatto opposto di quanto richiesto da molti fornitori della PA. Questo perché i documenti repertoriati non si collocano solo nella serie ma anche (ciò è il motivo perché, ad esempio, su carta si producevano sempre almeno due esemplari del documento, uno da collocare nel repertorio, l'altro nel fascicolo) ma nel fascicolo di pertinenza, che appunto, è classificato a seconda della materia che tratta. Una classificazione unica impedirebbe (se il Sistema di Gestione Documentale fosse ben concepito), in ossequio al principio del vincolo archivistico, l'inserimento dei documenti nel fascicolo di pertinenza.
Termino inserendo il link ad un documento, una sorta di checklist, in cui sono inserite le funzionalità di un Sistema di Gestione Documentale obbligatorie e raccomandate per la corretta gestione delle aggregazioni informatiche, che potete leggere qui.