I veri momenti di gloria di imprenditori e manager passano attraverso la loro integrità
Dal film Momenti di Gloria, di Hugh Hudson

I veri momenti di gloria di imprenditori e manager passano attraverso la loro integrità

Nei giorni scorsi sono stato invitato al Festival del Management, organizzato dalla Società Italiana di Management presso l’Università Bocconi, per contribuire ad una sessione dedicata al rapporto fra cinema e management. I miei anfitrioni Claudio Baccarani e Federico Brunetti, responsabili di quella sessione e studiosi dell’applicazione del cinema alla formazione in ambito universitario e all’impresa, mi hanno chiesto di proiettare una breve clip di un film che mi ha insegnato qualcosa di importante dal punto di vista manageriale. Ho scelto Momenti di gloria, scelta facile visto che oltre ad avermi fornito un insegnamento importante è tout court il mio film preferito.  

Il film racconta in parallelo le storie vere di due atleti, un americano e uno scozzese, nell’approssimarsi alla loro partecipazione alle Olimpiadi di Parigi del 1924. La clip che ho scelto si riferisce al colloquio che uno dei due protagonisti, lo scozzese Eric Liddell che oltre ad essere atleta era anche un pastore protestante, affronta con alcuni dirigenti del comitato olimpico britannico, a cui si aggiunge il principe di Galles, erede al trono. Eric Liddell è stato convocato perché non vuole correre i 100 metri, gara di cui è uno dei favoriti, in quanto si terranno la domenica, giorno da lui consacrato a Dio. I dirigenti sportivi e il principe stesso cercano di convincerlo a cambiare idea, con parole e con toni diversi, senza riuscirci. Eric Liddell preferisce rinunciare sia a inseguire quello che indubbiamente era un sogno della sua vita, vincere una medaglia d’oro alle olimpiadi, che a corrispondere all’amore che dichiara per il suo paese. In questo modo rinuncia ad un’occasione importante ma resta integro. E l’Integrità è il tema che questo film mi ha ispirato e di cui ho voluto parlare.

Ho associato per contrasto questa situazione ad una vignetta che veniva spesso presentata dai formatori della Summit, storica società di consulenza e formazione, durante i loro corsi. Questa vignetta raffigurava l’immagine di un uomo, curvo e triste, che lascia il cuore fuori dalla porta dell’azienda, appendendolo letteralmente all’attaccapanni posto fuori da quella porta. È quello un uomo che sul lavoro è “spezzato”. A quell’uomo fanno eco le statistiche che indicano che più o meno la metà dei lavoratori italiani non è contento del proprio lavoro. E questo è anche un uomo che fa una rinuncia importante, descritta indirettamente da queste parole di Primo Levi: “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro, che purtroppo è privilegio di pochi, costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono.” 

“Amare il proprio lavoro” è “privilegio di pochi” e “una verità che non molti conoscono”. Perché questo accade? Non ho fatto ricerche che diano una base scientifica ai miei pensieri ma per quanto riguarda il mondo delle imprese credo che sia anche perché è difficile mettere se stessi in toto in un lavoro consacrato meramente al profitto, così come accade in quelle imprese per le quali “the business of business is business”, e questo non solo dopo ma anche prima di Friedmann, visto che quel modo di fare impresa ha radici secolari.  Di certo, dopo Friedmann, questo è il modello che ha prevalso, ovviamente non ovunque e non sempre (sarebbe bastata la replica dell’esperienza Olivetti per essere in un mondo ben diverso dall’attuale). Un modello secondo cui il fine giustifica i mezzi, per il quale le persone sono mezzi e in cui lo scambio fra di loro e l’impresa è “tempo e competenze” in cambio di denaro, mutatis mutandis non tanto diversamente da quanto accadeva con i braccianti agricoli nella Russia dell’800 (sto leggendo Anna Karenina!).

Ovviamente fra le conseguenze del “business of business is business” c’è anche il fatto che un’impresa si possa comportare in modo non etico, il che è stato negli ultimi decenni non solo tollerato ma anche considerato normale. Anzi, in un passato recente era piuttosto strano il contrario, visto che fino a pochi anni fa il concetto di “azienda buona” era un vero e proprio tabù. In merito cito un caso che ho vissuto in prima persona una quindicina di anni fa. Ero stato chiamato, sempre del mio mentore Claudio Baccarani, a intervenire ad un convegno per presentare la Carta Etica di Davines. Alla presentazione è seguita una serie di interventi del pubblico e fra questi quello di un docente universitario che mi attaccò affermando che: ”Le imprese non devono essere buone, le imprese devono fare profitto”, da cui si può dedurre che per farlo possano anche essere “cattive”.   

Ma come, si dirà: “Le imprese cattive?”. Ma se sono le imprese che creano posti di lavoro! E poi, quando si rispettano le leggi cos’altro si deve fare? Rispetto al primo punto uscirei dall’ipocrisia: le imprese, con l’eccezione delle imprese sociali, creano posti di lavoro perché questi sono funzionali al loro business. Rispetto al secondo punto mi sento invece di affermare che anche quando c’è la compliance (e non sempre c’è visto che di evasione fiscale, lavoro nero e corruzione da noi ancora un po’ ce n’è) non vuole dire che le imprese si comportino bene in ciò che la legge non richiede, ad esempio trattare tutte le persone che ci lavorano con rispetto della loro dignità, curarsi di quello che accade nella loro supply chain, avere un approccio al marketing che non sia manipolativo.

Partendo da queste considerazioni, credo che fra le ragioni per cui le persone lasciano il cuore fuori dalle aziende per cui lavorano, ci sia anche il fatto che prima di loro gli imprenditori e i top manager si siano abituati a lasciare fuori qualcosa d’altro, e cioè i propri valori etici ed umani, accettando di fare compromessi rispetto agli stessi in nome del business (ad Eric Liddell veniva invece proposto di piegarsi “in nome del paese e del re”). E questo crea ambienti di lavoro in cui le persone si imbruttiscono adattandosi a loro volta all’abitudine, all’andare avanti così e a lasciare fuori il cuore.

Ora, se questo circolo vizioso si vuole rompere, e l’insostenibilità evidente del modello che ha dominato sino ad ora dimostra che è necessario farlo visti i livelli insopportabili di ineguaglianza e degrado ambientale, ma anche la quantità di persone spezzate nel lavoro con ciò che ne consegue in relazione al loro benessere fisico e psichico, serve a mio avviso che prima di tutto gli imprenditori e i manager non accettino più compromessi rispetto ai loro valori e li portino dentro le imprese tutti interi.  Quindi imprenditori e manager devono essere i primi a restare integri e questo sarà per loro un risultato già notevole a livello personale, perché saranno anche i primi a non essere spezzati, cosa rispetto a cui prima o poi esiste una buona probabilità di dovere pagare il conto.

Poi imprenditori e manager devono creare due condizioni, complementari fra di loro, per far sì che anche le persone che lavorano nelle loro imprese non lascino il cuore fuori dalla porta.

La prima condizione è di dotare le loro imprese di uno scopo più alto, l’higher purpose, una causa superiore a cui per le persone valga la pena di dedicare il loro tempo di vita speso al lavoro. E questa causa, che si aggiunge a quella di creare prodotti e servizi che mantengano le promesse, non può che avere a che fare con il benessere diffuso di tutti gli stakeholder, qualcosa di cui essere davvero fieri a contribuire.

La seconda condizione è di mettere l’Etica al centro dell’impresa. Nel caso di Eric Liddell i valori da difendere erano quelli della fede; io laicamente parlo di Etica, pur affermando che l’Etica cristiana, che è alle fondamenta del nostro modello culturale, ci dà ottimi e concreti riferimenti su come comportarci anche nelle imprese. Cosa vuole dire questo? Semplicemente sapersi mettere nei panni degli altri e fare agli altri quello che si vorrebbe che fosse fatto a noi stessi.

Quindi trattare le persone dell’impresa come vorremmo essere trattati noi dall’impresa stessa o come vorremmo che fossero trattati i nostri amici ed amiche più care dalle imprese per cui lavorano.

Trattare i clienti con l'onestà e la trasparenza con cui vorremmo essere trattati noi quando siamo clienti.

Trattare i partner commerciali con la lealtà con cui vorremmo essere trattati da loro.

Trattare i fornitori con l'equità con cui vorremo essere trattati noi quando siamo fornitori.

Trattare la comunità con il rispetto con cui vorremmo che la comunità a cui apparteniamo fosse trattata dalle imprese che operano nella stessa.

Trattare l’ambiente come se fosse il giardino della nostra casa o la pianta di cui ci prendiamo cura sul balcone.

È creando un ambiente di lavoro di questo tipo che si permette alle persone di riconnettersi con se stesse nel lavoro e di portare tutte se stesse dentro di esso. Ed è questo che permette loro di rendere il lavoro una componente virtuosa del proprio progetto di vita, dove la virtù è quella di contribuire alla fioritura di se stessi attraverso di esso.

Essendo in un contesto accademico, ho poi concluso il mio intervento affermando che per alimentare questo modo di vedere le cose serve anche una nuova cultura imprenditoriale e manageriale, che passa attraverso le business schools e l’università. Può esserci un corso di management senza che si parli di Etica? E non intendo solo che venga inserito in tutti i corsi di laurea di economia e management il fondamentale insegnamento di Business ethics, ma che si parli sistematicamente di Etica quando si insegna il marketing, la finanza, la supply chain e così via.

Sapete come va finire la storia di Eric Liddell?  Un altro atleta, che evidentemente ne apprezza l’integrità, gli lascia il proprio posto nei 400 metri, che non si corrono la domenica. Eric partecipa e vince, vivendo così, da uomo integro, i suoi momenti di vera gloria. 

#businessforgood #thegoodbusinessacademy #etica #festivaldelmanagement

Gianfranco Prete

Packaging Department Supervisor

1 anno

Caro Paolo, è sempre stato bello ascoltare le sue parole, adesso lo è altrettanto leggerle. “Perché accade? "Le persone vogliono fare un lavoro che abbia un significato, tutto qui. Ho piena convinzione che i manager debbano formare grandi team e quando accade è facile accorgersene. Si fanno cose incredibili. L’azienda deve vivere i propri valori. Chi gestisce il team deve rappresentare e sostenere i valori aziendali. Le persone non possono essere ciò che non possono vedere. Partendo dal presupposto che ci siano adulti intelligenti, la cosa più importante da insegnare è come opera la propria azienda. Le aziende che sono innovative e che fanno cose stupende con agilità, riescono a farlo perché c’è un sano spirito di collaborazione. Un ultimo ingrediente magico: la fiducia. È alla base di tutte le relazioni, inclusa quella tra il manager e i suoi dipendenti. Da una parte il manager si affida alla capacità, alla serietà e al lavoro dei propri dipendenti; dall'altra i dipendenti si affidano al manager per la propria crescita personale e per il benessere sul posto di lavoro e nella comunità. Un forte legame di fiducia tra le due parti è fondamentale per creare un ambiente di lavoro positivo e allo stesso tempo performante.

Marina Daccò

From Strategy to Action Marketing , Progettazione Brand, creazione e sviluppo, Communication, Copy and Creativity Management CEO Consultant

1 anno

Manager e Imprenditori : sono loro indicati e immaturi, spesso impauriti da chi sa rispondere NO a quanto è contrario alla propria Integrità. Anche se riconoscono che sei molto capace e originale, ti temono, perché sentono che sei libera e non possono controllarti e comprarti. Nella maggioranza dei casi, rassicura molto più una yes woman o man. Sapere dire NO, con garbo, DA' UNA SENSAZIONE DI LIBERTA E POTENZIALITA' piena di senso di benessere, profondamente umana.

Rhonda Hachey

Sales manager at Stogryn Sales

1 anno

Bravos Paolo👏👏👏🍾🥳

stefano pesce

Business development Cosmetics worlwide - M&A advisor for Family Office

1 anno

Nella mia vita imprenditoriale NON ho mai proposto a collaboratori/Clienti/Fornitori qualcosa che non avrei accettato anche io .. it’s Easy 👍🤷🏻♂️

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