Identità digitale rubata.
Cybercrime e nuove frontiere della personalità.

Identità digitale rubata. Cybercrime e nuove frontiere della personalità.

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Gentile Avvocato, le scrivo in quanto a seguito di una registrazione effettuata su un sito internet di mio interesse utilizzando il mio account Facebook, nei giorni scorsi ho ricevuto conferme di ordini mai effettuate e link relativi a siti da me mai visitati. Ho la sensazione che qualcuno stia utilizzando i miei dati e sono molto preoccupato.”

Caro lettore, ho il timore che ci si trovi di fronte ad un’ipotesi di furto di identità digitale, fenomeno purtroppo ai giorni nostri sempre più diffuso.

“Uno, nessuno e centomila”, il romanzo di Luigi Pirandello, pubblicato all’inizio del secolo scorso, anticipa i profili sociologici dell’identità personale nella dimensione del cyberspazio. Il Giano bifronte della sfera individuale e sociale del profilo rappresentativo di noi stessi consolida la reciproca interdipendenza dei “due volti”, non esistendo una identità privata che non sia contaminata dall’ambiente di relazione.

Il reato di sostituzione di persona previsto all’art. 494 c.p. era stato pensato dal legislatore per punire condotte ben lontane da quelle legate al mondo del digitale. La fattispecie colpiva tutte quelle azioni di falsità personale. Il bene giuridico tutelato dalla norma, ovvero la fede pubblica, venne poi da subito identificato nella “fiducia che la società impone negli oggetti, segni e forme esteriori ai quali l’ordinamento attribuisce un valore importante”. Oggi, sia la tipizzazione di questo reato, sia la definizione del bene giuridico protetto, appaiono fortemente lungimiranti e ben riconducibili alle molteplici falsificazioni dell’era moderna: dai “fake” dei social network, al phishing, fino ad arrivare alle innumerevoli falsificazioni di identità poste in essere per abusare di finanziamenti, per ottenere consensi che diversamente verrebbero negati.

Ci troviamo di fronte ad una norma che ha retto nel tempo e che, prevedendo varie forme di falsificazione personale, ha aderito perfettamente alla nuova era digitale e alle sue – sempre mutevoli – modalità per rappresentare l’identità digitale di ciascun individuo. Alla lesione della fiducia pubblica si affianca la lesione della vittima. Quando si creano false identità virtuali o falsi profili Facebook, non si lede soltanto la fiducia che il singolo utente ripone nella rete, ma si turba un equilibrio più ampio, quello dell’intera comunità degli utenti che devono poter fare affidamento sulla lealtà delle identità con le quali intrattengono rapporti virtuali. In breve i social network sono servizi della società dell’informazione; il servizio avviene mediante trasmissione di dati su richiesta individuale, ma ogni utente crea degli spazi virtuali, delle reti sociali alle quali tutti possono accedere. Il furto di identità si annida fra le pieghe mobili dello spazio virtuale. È chiaro ed evidente come si abbia la sensazione di camminare su di un campo minato davvero pericoloso e pieno di insidie.

La Suprema Corte (Cfr. Cass. pen. 46674/2007) si è espressa a più riprese sulle attività di falsificazioni virtuali, concludendo che la condotta di colui che crea e utilizza un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete con lo scopo di arrecare un danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese, integra il reato di cui all’art. 494 c.p.

Il primo passo necessario è indubbiamente quello di bloccare il contatto, visto e considerato che il reato si consuma ugualmente, essendo peraltro configurabile anche nella forma tentata. La risposta severa della giurisprudenza nei confronti di un reato trova la propria ragione giustificatrice nella molteplicità delle condotte che si prestano alla commissione del reato. Neppure l’utilizzo di un nickname o un fake di un personaggio famoso potrà mettere in salvo il reo. Ed infatti, per i giudici, anche gli pseudonimi utilizzati in rete hanno una dimensione concreta ed idonea a produrre effetti reali nella sfera giuridica altrui.  Il falso cibernetico si presenta pericoloso: il titolare dell’identità perde, a seguito del furto subito, il controllo della stessa, prestando il fianco ad utilizzi abusivi e distorti del proprio profilo.

Il fenomeno criminoso vede i casi crescere giorno dopo giorno. Basti considerare che nella guerra cibernetica ai profili “truffaldini”, intrapresa da Facebook, nel primo trimestre dell’anno 2019 sono stati disattivati circa 2,2 miliardi di profili, contro i 694 milioni disattivati nel primo trimestre del 2017.

Le motivazioni che inducono i malintenzionati a creare falsi profili social sono le più disparate; a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo potremmo citare i casi frequenti di vendetta sentimentale, di molestia, di cyberstalking, di diffamazione, di truffa.

Il rischio paradossale che si corre e che legittimamente preoccupa è che tale “falso profilo” possa essere utilizzato dal ladro di identità per commettere ulteriori reati, con il pericolo che la vittima possa un giorno trovarsi al banco degli imputati per rispondere di reati di cui possa escludere con certezza la paternità.

Per rispondere al suo quesito, mi permetto di consigliarle di recarsi subito a sporgere denuncia presso la Polizia Postale e raccontare quanto accaduto.

Avv. Filippo Testa


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