Il coaching delle domande
Agile e Scrum (non sto riferendomi a quelli originari e nemmeno alle procedure per lo sviluppo software puro e semplice) sono diventati una selva di mappe, definizioni, ruoli e tecniche.
Un giorno per allinearmi al pensiero aziendale diffuso ho provato a ridurre al massimo quello che usciva da alcuni degli ormai infiniti esempi di letteratura e mi sono uscite delle mappe tutt'altro che "agili".
Ho provato ad impararle a memoria ma non ci riuscivo proprio. Va bene che la mia RAM è alquanto datata e fragile e va bene che anche la ROM non ha più un granché di posto dopo tutto quello che ci ho ficcato con il tempo senza mai avere voglia di metterci ordine, tuttavia più che un problema di memoria mi è apparsa subito una questione di rifiuto e di ribellione.
Come si può, mi dicevo, favorire una metodologia creativa quando nasce giù ingabbiata da strumenti preconfezionati pieni di presupposti forti ed etichette dittatoriali? Ho sempre pensato che il metodo debba essere qualcosa che ogni gruppo crea al suo interno. Traendo spunto da esempi, certo, ma facendo propri solo quelli che trovano un accordo nello specifico ecosistema del gruppo stesso. E sono certo, per il poco che ho visto e per quello che ho letto, che i coach agili con più esperienza abbiano una loro arte sviluppata nel tempo solo dopo aver messo da parte quella assorbita altrove.
The Technical Way
Nei gruppi agili o comunque nelle riunioni di sviluppo creative si ha soprattutto a che fare con professionisti di estrazione tecnica. Intendiamoci, per "tecnici" non intendo solo quelli che hanno a che fare con "i pezzi" siano essi di ferro, cemento, elettroni o circuiti, ma anche tutti quelli che manipolano tecniche, siano esse numeri, regole e leggi e perfino linguaggio e pensiero per la propria personale attinenza. Il tecnico è lo specialista, l'esperto in qualcosa.
Ho avuto da sempre a che fare con tecnici, molti dei quali sono quelli che considero i "falchi della tecnica", ovvero quelli che "si fa così senza se e senza ma", quelli che la pensano come il padre di Turturro che in un passaggio del suo film del '92 Mac sul letto di morte si raccomanda con i figli che continueranno il suo lavoro di ricordare che...
"Ci sono solo due modi per fare qualunque cosa: il mio modo e il modo giusto. E sono entrambi lo stesso".
Chi ha a che fare con dei tecnici sa che il loro pane sono i problemi, non le domande. Il problema ha un vantaggio: che si dissolve nel momento stesso in cui incontra una qualsiasi soluzione. Una soluzione che funzioni va bene, al di là del fatto che sia soddisfacente per tutti.
Quando Kit Carson in una storia delle loro lamentò con Tex che la loro missione appariva impossibile in quanto si trattava di trovare il solito ago nel pagliaio, il "tecnico" Willer obiettò: «E allora? Che problema c'è? Si dà fuoco al pagliaio e poi si trova l'ago». Il tecnico è fatto così. Nutre una vera e propria grave allergia a contatto con le domande che diventa addirittura patologica quando si mettono in discussione le risposte.
Che cosa succede quando metti insieme specialisti di estrazione differente e li fai discutere dello stesso problema? Che nascono obiezioni di ogni tipo. Allora occorre evitare sia che vengano trascurate per quieto vivere, sia che generino impedimenti e incomprensioni quando non addirittura liti. Per questo c'è bisogno di un mediatore, un chairman, un paciere.
Un coach destrutturato
Quando questo paciere sa che i punti di vista differenti servono per trasformare le soluzioni in domande che impongono ai tecnici di superare la via comoda, quella di trovare uno schema sperimentato e di applicarlo per ottenere la risposta più rapida, per mettersi a lavorare sul serio con la mente e non con i manuali o i fogli Excel, allora nascono le idee invece che le soluzioni. Le idee sono i soli prodotti del pensiero in grado di generare competitività, soprattutto quando rispettano la legge di Occam («A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire: non moltiplicare gli elementi più del necessario, non considerare la pluralità se non è necessario; è inutile fare con più ciò che si può fare con meno»).
I principali maestri di quest'arte, penso a Reginald Revans ad esempio, sono particolarmente bravi a tenere i partecipanti sulla graticola stimolati a ricercare e a non dichiararsi soddisfatti troppo presto. Insegnano attraverso il loro stesso esempio a superare gli schemi che ci trasformano in replicanti.
Quindi il Coach Agile dev'essere il primo a saper mettere da parte le migliaia di armamenti consolidati per utilizzare quelli che il gruppo stesso suggerisce durante il lavoro. Ogni gruppo sviluppa la propria teoria e questa è importante più che mai. Dev'essere espressa, perfezionata e ci si deve poter riconoscere in essa pur sapendo che non sarà eterna, essendo soggetta come ogni altra affermazione alla legge della falsificazione creativa di Popper. Se da un lato si deve apprezzare il proprio lavoro e anche innamorarcisi, non ci si deve attaccare ma occorre potere ricominciare sempre da capo, cannibalizzando i nostri stessi assunti.
A questo serve sviluppare domande sempre più belle, ovvero pure, semplici, ben formate, pluraliste, in grado di favorire discussioni. Con domande ben formate spesso si è ottenuta già la parte più importante del lavoro. Per questo bisogna farci piacere questa paziente parte di intarsio. Il primo a doversela fare piacere sarà proprio il coach stesso.
La bellezza è una componente fondamentale dell’esistenza e quindi anche del lavoro. Nel suo lavoro dedicato appunto all’Estetica del Cambiamento, Bradford Keeney cita l’immagine credo induista di un gigantesco diamante ideale dalla quantità infinita di sfaccettature da ognuna delle quali si guarda alla realtà in un modo differente. Nel mondo, proprio perché ognuno guarda dal suo osservatorio, si finisce per contestare la veridicità dell'angolatura percettiva altrui, quando invece l’insieme di tutti i punti di vista aumenterebbe la prospettiva e la profondità dell’immagine. E il lavoro di Coaching è proprio questo: ciberneticamente (Ashby) parlando, aumentare la varietà del sistema, del mondo stesso in quanto percezione come proprietà dell’osservatore.
Questo è bellezza: apprezzabile ricchezza dei sensi che parla al cuore e alla mente.
C'è bisogno di coach meno schematici, più liberi, più aperti, con un bagaglio creativo alle spalle, di carisma per quanto mite, battaglieri e anche dolci, dei fratelli maggiori pazienti e visionari, in grado di sparire senza lasciare traccia perché ci sono dei membri nel gruppo stesso che stanno già continuando il loro lavoro. Per tutto il resto ci saranno gli scrum master, i product owner, i process owner, gli stakeholder… e magari anche il convitato di pietra a far sì che l'agile somigli all'Agile. Per gli altri ci sono persone, passioni, creazioni, risultati e la vita stessa.
In proposito si veda il libro di Hal Gregersen Questions Are the Answer: A Breakthrough Approach to Your Most Vexing Problems at Work and in Life HarperBusiness (13 novembre 2018)
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