Il dilemma delle attese di ruolo nella nostra vita.
Il periodo natalizio mi fa sempre pensare ad un concetto cardine che ha riempito le pagine dei manuali di psicologia sociale. Ovvero le attese di ruolo.
Le festività in generale sono un periodo in cui una certa formalità dei rapporti emerge. Capita di ritrovare persone, parenti, vecchi conoscenti che ricompaiono per un saluto o un augurio. Capita spesso il parente o il conoscente che non vediamo da decenni che richiama a casa e che chiede di noi, magari parlando con un nostro genitore e la prima cosa che chiede di noi è “è fidanzato?” oppure “che lavoro fa?”
E’ un fenomeno interessante che da psicologi è bene leggere con gli occhiali della complessità. Una persona che evidentemente conosciamo o con cui abbiamo condiviso un pezzetto di vita chiama a casa durante le feste e chiede di noi, non chiede come stiamo ma chiede se siamo fidanzati o se abbiamo un lavoro.
Famiglia e lavoro sono i contenitori normativi più solidi nella nostra società e modulano i valori di cui noi siamo impregnati e su cui noi ci sviluppiamo.
Si ritiene che una persona si “sistema” quando si sposa o quando ha un lavoro fisso e poi ovviamente quando ha figli (questione che viene particolarmente sottolineata nei confronti delle donne).
Lo stesso accade anche nell’istituzione del matrimonio. Cosa succede talvolta quando raccontiamo del nostro matrimonio civile celebrato in comune? A volte vediamo sguardi perplessi e ascoltiamo commenti come a voler dire che il vero matrimonio è un altro. Lo stesso lo vediamo ad esempio quando parliamo di unioni civili, di coppie conviventi con figli (ah avete figli e quando vi sposate???).
Lo stesso vivono le donne che per scelta decidono di non avere figli, quasi a dire che un figlio è il fine di una coppia o un bisogno o necessità di ogni donna averne. Quante volta le pubblicità nei loro racconti ci riportano immagini di famiglie necessariamente con figli, raccontando spesso fra le righe che la famiglia è fatta di una coppia con figli.
Quante volte ad una donna ad esempio viene chiesta la fatidica domanda “quando ti sposi?” oppure “quando fate un figlio?” dando per scontato che una coppia debba necessariamente sposarsi e necessariamente avere un figlio. La cosa appare più rimarcata nei confronti delle donne, in una società dove un uomo single a 50 anni è “interessante” , una donna single a 50 è una “zitella”.
Tornando al discorso del lavoro se parliamo con persone di una certa età del nostro lavoro da libero professionisti, con collaborazioni con enti, seguendo pazienti o clienti in studio, ad un certo punto scatterà la fatidica domanda “ma quando trovi un lavoro?” facendo capire che il “lavoro” è per forza di cose in ufficio, dalle 8.30 alle 17.30 con busta paga mensile. Il resto, anche senza alcuna malignità, viene visto come una perdita di tempo, come un hobby o comunque come qualcosa di effimero.
Quanto sono forti questi valori normativi nella nostra società, e soprattutto quanto condizionano le nostre scelte?
Quante volte abbiamo fatto una scelta di vita, professionale o amorosa, perché “oggi giorno si fa così”, non è chiaro secondo chi o cosa ma usa così.
Quante volte questi valori normativi hanno condizionato le nostre scelte per aderire ad uno status o ad una aspettativa di ruolo?
Quanto le nostre scelte professionali hanno aderito ad aspettative di ruolo o status e quando ai nostri reali interessi?
Quante volte abbiamo capito di aver fatto una scelta poi rivelatasi non in linea con le nostre aspirazioni e desideri ma in linea con la morale comune e per non deludere attese esterne?
Ecco la prossima volta che incontrate una persona dopo tanto tempo, non chiedetele che lavoro fa, non chiedetele se è sposata o fidanzata.
Chiedetele se è felice.
laureata in Psicologia clinica presso università di Roma
4 anniVero, tutto vero