Il disagio che ci aggancia

Il disagio che ci aggancia

Quando ci sembra impossibile rompere vecchi schemi di sofferenza

Una delle cose che ricorre spesso in terapia è la difficoltà da parte delle persone di rompere certi schemi che si è consapevoli non ci fanno bene, ma sono molto famigliari.

Non si riesce a smettere di fumare perché ci sono momenti della giornata che non sembrano superabili senza quella sigaretta.

Qualcuno ci muove una critica e ci blocchiamo, incapaci di rispondere, mentre una vocina ci dice che non siamo abbastanza.

Accade qualcosa che ci fa arrabbiare e non riusciamo a fare meno di rispondere in maniera aggressiva, alzando la voce e perdendo la calma.

Più appronfondisco la pratica della Mindfulness e dello Yoga, e più trovo punti di contatto tra la mia formazione costruttivista come psicoterapeuta e gli insegnamenti dei maestri e delle maestre del buddhismo.

Mi è capitato di leggere recentemente questo articolo di Pema Chödrön “How we get hooked and who we get unhooked” (come restiamo agganciati e come sganciarci).

Pema Chödrön è una autrice statunitense che ha dedicato la sua vita adulta allo studio e dell’insegnamento della filosofia buddhista e della meditazione. In questo articolo parla di una parola tibetana, “shenpa”, che descrive questo automatismo, questa sorta di gancio interiore che ci blocca.

“Quando  shenpa ci aggangia, è molto probabile che ci bloccheremo. Potremmo chiamare  shenpa quella sensazione di “essere nelle sabbie mobili”. E’ una esperienza quotidiana. Anche scoprire una macchia sul maglione può farcela vivere. Ad un basso livello di consapevolezza, sentiamo una tensione, una sensazione di chiusura. Poi vorremmo ritirarci, come se non volessimo essere dove siamo. Questa sensazione di tensione può portarci a restare bloccati nell’auto-denigrazione, nella colpa, nella rabbia, nella gelosia e in altre emozioni seguite da azioni che possono farci male”.

La trovo una descrizione molto interessante perché rispecchia ciò che mi raccontano le persone in studio: una sensazione profonda che sembra guidarci in maniera automatica. Molte persone riconoscono che determinati comportamenti, nati dalla necessità di far cessare quel grande disagio, non sono sani, ma non riesco a trovare il modo di rompere questo schema.

Gli esseri viventi di questo pianeta non amano l’incertezza. La prevedibilità del mondo è ciò che assicura la nostra sopravvivenza ad un livello primordiale. Ma il mondo non è poi così prevedibile, specialmente quello odierno. In tanti campi, da quello lavorativo a quello relazionale, siamo chiamati ad essere molto flessibili, e questo può essere minaccioso.

Perfino il cambiamento di atteggiamenti o comportamenti che possono essere dannosi per noi può spaventare perché, in fondo, quella cosa che ci fa male è conosciuta, mentre fare qualcosa di diverso ci porta in uno stato di imprevedibilità e quindi di timore.

Come fare, dunque?

Il primo passo è essere consapevoli di questo meccanismo ed diventare consapevoli di quando avviene.

Quand’è che siamo a disagio? Quali sono le sensazioni, pensieri, emozioni che accompagnano questi momenti? 

In altre parole, se avvertiamo un prurito di solito tendiamo a grattarci immediatamente. E se, invece, provassimo ad osservare questa sensazione con gli occhi di uno scienziato? Dove avvertiamo il prurito? Che emozioni proviamo? Quali pensieri si affollano nella nostra mente in questo momento? Possiamo attendere qualche secondo prima di grattarci?

Magari poi alla fine cederemo alla voglia di grattarci, ma almeno lo avremo fatto con consapevolezza di farlo per nostra volontà, sapendo che cosa sta succedendo e perché. In questo modo, il mondo diventa un pochino meno imprevedibile e più famigliare, e forse la prossima volta, potremmo anche scegliere di non grattarci.

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate