Il friendshoring? E' già tra di noi.
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Il friendshoring? E' già tra di noi.

Articolo apparso sui quotidiani del gruppo NEM il 20 maggio 2024


Friendshoring: è una delle nuove parole che si sono aggiunte al vocabolario di chi è interessato alla globalizzazione. È entrata nel dibattito pubblico grazie al segretario al Tesoro americano Janet Yellen che nel 2022 ha affermato che le imprese statunitensi avrebbero dovuto spostare le loro reti di approvvigionamento dai paesi “ostili” agli Stati Uniti verso paesi “amici”, “fidati”.

Viviamo un periodo storico in cui le tensioni nelle relazioni politiche internazionali hanno alimentato una crescente incertezza. Eventi come la Brexit, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, la pandemia, le tensioni su Taiwan, l’invasione russa dell’Ucraina e la crisi del Mar Rosso hanno riportato al centro dell’attenzione dei governi e delle imprese il tema della vulnerabilità delle reti di fornitura, soprattutto di quelle che interessano la produzione di beni e servizi considerati strategici. Il tutto si inerisce in un contesto storico che ha visto, dopo la crisi finanziaria globale (2008-2011) un rallentamento della globalizzazione che ha richiesto, anche in questo caso, nuove parole per essere definito: slowbalisation, sglobalizzazione, de-globalizzazione. Viviamo, quindi, una nuova fase in cui il processo di integrazione economica a livello globale sembra arrestarsi e per alcuni aspetti addirittura innestare la retromarcia.


World Uncertainty Index

Tornando al tema del friendshoring va sottolineato che alle dichiarazioni (ricordiamo, ad esempio, quelle del governo francese che ha proposto l’elaborazione di una “strategia made in Europe”) sono seguiti i fatti.  Negli Stati Uniti sono stati approvati il CHIPS and Science Act e l’IRA - Inflation Reduction Act, in Europa l’European Chips Act, tutte misure che hanno tra gli obiettivi, quello di rendere queste aree meno dipendenti dall’importazione di tecnologie provenienti da paesi ostili. Misure analoghe sono state prese dal governo cinese.

La prima domanda che è lecito porsi è se tali misure stiano producendo effetti. Da questo punto di vista viene in aiuto una recente analisi di tre economisti del Fondo Monetario Internazionale che si concentra sugli investimenti diretti esteri. Nella stagione del frienshoring ci si attende che gli investimenti in settori strategici (o che in precedenza erano stati fatti in paesi ora ostili) siano localizzati o rilocalizzati in paesi amici. Lo studio conferma questa ipotesi evidenziando che all’aumentare della distanza politica tra paesi diminuiscono gli investimenti sia in numero che in valore, e questo è vero anche per gli investimenti brownfield, quelli che riguardano le operazioni di acquisizione di imprese esistenti. Un ulteriore risultato di questa analisi è che la distanza politica tra paesi assume particolare rilevanza per gli investimenti in settori strategici. Detta in altri termini, lo studio dimostra che i flussi di investimenti diretti esteri risultano via via più concentrati in paesi politicamente vicini, e questo vale, in particolar modo, in settori strategici come quello dei semiconduttori.

La seconda domanda guarda al ruolo che potrebbe assumere l’Italia e il Nord-est in questi nuovi equilibri. Il fenomeno della concentrazione su scala continentale delle catene del valore potrebbe rappresentare un’opportunità per il sistema manifatturiero italiano e nordestino nel momento in cui questo riuscisse a intercettare i flussi di reshoring, ad accaparrarsi una parte di quelle commesse che per aumentare la sicurezza vengono spostate da paesi lontani verso l’Europa e a intercettare flussi di investimenti diretti dall’estero. Una recente ricerca condotta da Fondazione Nord Est per Confindustria Veneto Est evidenzia che il 37,2% delle medio-grandi imprese manifatturiere venete ha visto aumentare gli ordini in virtù della riorganizzazione delle catene del valore dei loro clienti.

Fonte: Fondazione Nord Est (2022)

Il friendshoing è quindi già tra di noi e ha cominciato a produrre i propri effetti anche sul sistema produttivo nordestino. Sarà interessante monitorare gli effetti sugli investimenti diretti dall’estero, ricordando, però, due cose: la prima è che le partite per la rilocalizzazione di imprese strategiche, come quelle nell’ambito dei semiconduttori, sono giocate dai governi a colpi di ingenti sussidi che richiedono risorse importanti, la seconda è che in un’ottica di sviluppo del Nord-est gli investimenti diretti esteri devono essere considerati non solamente in termini di volumi ma anche di qualità, come ricordava Giulio Buciuni su queste colonne pochi giorni fa.

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