Il Lanciatore N-1, ovvero: Il grosso, grasso lanciatore russo
“Per fare una grande missione ci vuole un lanciatore grande…”
Premetto e confesso: non sono un fan dei mega-lanciatori alla Saturno V.
Piuttosto sono un fautore delle missioni modulari cioè con il veicolo che viene allestito nell’orbita bassa. Anche perché, come teorizza Tziolkovskji nella sua equazione del razzo cosmico, ad un certo punto per far raggiungere ad un razzo la prima velocità cosmica (la velocità di fuga dal pianeta da cui si parte), ad un certo punto all’aumentare della massa si sarebbe costretti ad imbarcare più carburante del suo stesso peso.
Per questo motivo la stazione spaziale internazionale, oppure, prima di questa, la Mir, non sarebbero mai potute essere messe in orbita con un unico lancio. Ovviamente a meno che non si disponga di un sistema di lancio che per ora è molto di là da venire.
Ma il montaggio in orbita anche solo di un semplice (per modo di dire) trenino spaziale, sempre per dirla come Tziolkovskji, cioè di quel complesso di veicolo (modulo di comando, lander lunare, motori per l’immissione in una traiettoria cislunare e carburante per il rientro verso la Terra), con la tecnologia degli anni 60 non era una cosa dal successo così scontato.
Il primo rendez-vous nello spazio venne, infatti, eseguito nel 1966 tra la Gemini-8 ed il veicolo bersaglio Agena. Fu un successo a metà perché il complesso formato dai due veicoli iniziò a roteare in maniera incontrollata e solo grazie alla perizia di Neil Armstrong, Comandante di Gemini-8 e del suo pilota David Scott che non si trasformò in una tragedia.
Meglio andò alle due Sojuz senza equipaggio Kosmos-186 e 188 che, nel 1967 effettuarono con successo un aggancio in orbita e manovrarono insieme, sempre in automatico, per diverse ore.
Ma nonostante i successi (pochi) da una parte e dall’altra, ci furono molti insuccessi.
Per cui la strada del lancio multiplo da montare in orbita venne vista sempre con scetticismo sia dalla Nasa che dall’Unione Sovietica.
Da qui la scelta (abbastanza obbligata) del mega-lanciatore.
Saturno V da una parte e N-1 dall’altra.
In entrambi i progetti tutto l’occorrente veniva lanciato in un solo colpo.
A differenza del suo collega americano, però, l’N1 portava tutto il complesso destinato alla missione già agganciato dentro al quarto stadio.
Leggermente diverso il profilo di missione dell’Apollo-Saturno-V. Dentro la stiva del terzo stadio c’era il LEM che veniva estratto dal modulo di comando e servizio (CSM) una volta che il complesso era già inserito nella traiettoria cislunare. Questo grazie ad un piccolo rendez-vous ad una distanza tale che, in caso di fallimento, si sarebbe potuto recuperare l’equipaggio con una manovra ad otto intorno alla Luna detta traiettoria di rientro rapido.
Invece in URSS il programma, in origine finalizzato ad utilizzi militari, era partito con l’obiettivo di realizzare un poderoso lanciatore ad energia nucleare.
Una Lunga Gestazione Le prime varianti di quello che venne designato come Lanciatore numero uno (Nositel Odin’), N-1 appunto, avevano un motore nucleare al primo stadio. Ancora da decidere quale, però in quanto, e qui s’appalesa il problema dei problemi del programma lunare sovietico: la dispersione delle energie in vari progetti senza prendere, da principio, una direzione univoca.
Sicuramente alla base di ciò c’erano motivazioni politiche: i vari OKB coinvolti volevano avere la supremazia gli uni sugli altri ed il Comitato Centrale del Partito assecondò questa faida agevolando ora uno ora l’altro in uno spreco di risorse e di tempo che si rivelerà fatale.
Pensate un pò che all’inizio, oltre all’N-1 già di per sé poderoso (50 tonnellate di carico utile), ci sarebbe dovuto essere un N-2 con carico utile di 80 tonnellate e motore nucleare anche al II stadio ed anche un N-3 ancora più massiccio. Insomma, quella degli “N” sarebbe dovuta essere una famiglia di mega lanciatori pesanti.
Ma di questa famiglia numerosa, alla fine (e per fortuna) ci si concentrò solo sul primo della serie, l’N-1 appunto.
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Quali motori usare? Come già accennato, il problema, anche una volta deciso che ci si sarebbe dovuti concentrare su di una sola versione, fu quali motori avrebbe dovuto montare.
Per la missione lunare, portandosi sul groppone tutto il necessaire, serviva una capacità di carico superiore alle 80 tonnellate.
Scartato il motore nucleare, occorrevano dei propulsori in grado di generare una notevole spinta a pressioni relativamente basse poiché, e qui arriviamo al secondo limite del progetto, la metallurgia dell’epoca in URSS non era in grado di produrre materiali adeguati.
Korolev insisteva con i motori a combustibile liquido, Glushko cercava di convincere il Politburo di far adottare i suoi RD-250 a combustibile ipergolico. Da un lato Korolev poteva sostenere la sua avversione ai motori ipergolici con quello che fu il più grande disastro della storia della cosmonautica: la tragedia di Nedelin del 1960 causata, appunto dall’esplosione di un R-16 a combustibili ipergolici. Dall’altro Gluskho garantiva maggiore potenza e, soprattutto, notizie allarmanti dal fronte americano dove, invece, si lavorava compatti su di un motore monocamera, di grande potenza: l’F-1. L’odio feroce tra i due fece il resto.
Ma i motori di cui Korolev disponeva, gli NK-15, non garantivano la spinta necessaria a patto di non essere utilizzati in gran numero: ben 30 al primo stadio di cui 25 in un anello esterno e cinque nel nucleo interno; di conseguenza l’’N-1 era un enorme vettore a 4 stadi. Alto come il Saturno V americano, avrebbe dovuto portare in orbita terrestre bassa ben 95.000 kg, dei quali 23.500 potevano essere inseriti in una traiettoria cislunare.
Il lanciatore N-1 aveva tre stadi più un quarto stadio per l’immissione nella traiettoria cislunare, ed un motore ausiliario per la Sojuz che serviva ad immettersi nella rotta di rientro verso la Terra. Il tutto numerato secondo l’ordine alfabetico cirillico: A,B,V, G ed I per il motore ausiliario della Sojuz. Il cosiddetto Blocco D era il motore del lander lunare LK.
La potenza è nulla senza controllo... Era, come evidente, un sistema davvero troppo complesso; soprattutto il gran numero di piccoli motori generò sempre enormi problemi che fecero fallire tutti e quattro i tentativi di lancio del ciclopico lanciatore sovietico. Specialmente il terzo tentativo, quello del 26/6/1971 fu così catastrofico che danneggiò tutto il complesso di lancio. Solo il 23 0ttobre 1972 si riuscì ad effettuare un quarto, ultimo, tentativo. Anch’esso fallito.
Il gruppo di trenta motori era così complesso (tra l’altro i 25 dell'anello esterno avevano anche la funzione direzionale), che esisteva un sistema di controllo analogico che doveva gestire la spinta e l’accensione e spegnimento di ogni singolo motore. Il sistema si chiamava KORD (acronimo russo di KOntrol Raketnykh Dvigateley - letteralmente "controllo dei motori a razzo" - russo: Контроль ракетных двигателей). Il sistema KORD controllava la spinta differenziale dell'anello esterno di 24 motori per il controllo dell'assetto di beccheggio e imbardata regolandoli in modo appropriato e spegneva anche i motori malfunzionanti situati uno di fronte all'altro. Questo doveva negare il momento di beccheggio o imbardata che i motori diametralmente opposti nell'anello esterno avrebbero generato, mantenendo così la spinta simmetrica. Il blocco A avrebbe potuto funzionare nominalmente con due coppie di motori opposti spenti (26/30 motori). Sfortunatamente il sistema KORD non è stato in grado di reagire a processi che si verificano rapidamente come l'esplosione della turbopompa durante il secondo lancio. A causa delle carenze del sistema KORD, per il quarto e ultimo lancio è stato sviluppato un nuovo sistema informatico: L'S-530. Questo è stato il primo sistema di guida e controllo digitale sovietico ma a differenza del KORD, che era essenzialmente solo un sistema di controllo del motore analogico, l'S-530 ha supervisionato tutte le attività di controllo nel veicolo di lancio e nel veicolo spaziale. L’N1 ne trasportava due, uno situato nel terzo stadio del Blocco V che controllava i motori per i primi tre stadi. Il secondo S-530 si trovava nel modulo di comando Soyuz LOK e forniva il controllo per il resto della missione da TLI al sorvolo lunare e al ritorno sulla Terra. Per inciso, funzionò nel quarto lancio perché l'N-1 arrivò quasi alla separazione del Blocco A.
Invano Korolev, prima, e Mishin poi attesero i promessi motori a ciclo chiuso NK-33 che avrebbero, sicuramente, cambiato la situazione riducendo drasticamente il numero dei motori del primo stadio: si stima ce ne sarebbero bastati cinque. Purtroppo, non arrivarono in tempo. Quando furono finalmente pronti e montati sul quinto esemplare dell’N-1, il programma era stato già abbandonato. Nel frattempo Korolev era morto e Mishin, suo successore, dimissionato dopo il quarto lancio fallito. Glushko, che ne rilevò il posto alla guida dell’OKB-1, dell’N-1 non ne volle sapere nulla: venne decisa la distruzione dei circa ottanta NK-33 e di tutti i lanciatori N-1 in essere nelle varie fasi di lavorazione.
I lanciatori N-1 esistenti, di cui due pronti per il lancio, vennero completamente smantellati. Al cosmodromo di Baikonur si possono vedere parti di questi usati come gazebo, giostre per bambini, tettoie ed altro.
Meglio, decisamente meglio, andò ai motori NK-33. Ne ho già parlato a proposito dei motori a combustione chiusa. Un gruppo di tecnici ne nascose circa ottanta esemplari in un magazzino. Molti anni dopo, cessata l’Unione Sovietica, un gruppo di ingegneri americani in Russia per un convegno venne avvicinato da questi salvatori di motori. Grande fu lo stupore dei loro colleghi americani nel vedere i motori che avrebbero dovuto portare l’Unione Sovietica sulla Luna lì davanti i loro occhi.
Venne creata una Joint Venture Russo-Americana chiamata Aerojet ed i motori ridenominati Aj-33. Con questa sigla vennero installati sul lanciatore americano Antares.
Oggi gli NK-33 equipaggiano la versione leggera del lanciatore Sojuz: la Sojuz 2.1V. Per la cronaca, al primo stadio, invece di 4 motori basta un NK-33.
Con i se e con i ma non si fa la storia… Vero, MA fu una storia di inutili sprechi di risorse, gelosie, odio e disprezzo reciproci, che minò in maniera irreparabile un programma che, fino ad allora, non aveva segnato nessuna battuta d’arresto macinando record e primati a ripetizione.
Solo dopo l’avvento di Glushko al comando del programma spaziale, si decise di fare quel passo indietro per farne tre avanti che avrebbe riportato l’Urss all’avanguardia. Lasciando la Luna ai sogni di Tziolkovskji e concentrandosi con successo alle stazioni spaziali orbitali.
Ma questa è un’altra storia.