Il lato oscuro dell'innovazione
"Sono stupito e in qualche modo terrorizzato (…). Stupito dal meraviglioso potere che tu hai sviluppato e terrorizzato al pensiero che così tanta orribile e cattiva musica possa essere registrata per sempre. Ma allo stesso tempo penso che sia la cosa più meravigliosa che ho sperimentato e mi congratulo con tutto il cuore con te per questa meravigliosa scoperta."
Così disse – secondo quanto riportano le cronache – Sir Arthur Sullivan (quello di Gilbert & Sullivan, per capirci) alla prima presentazione londinese del fonografo di Thomas Alva Edison nel 1888. Basta cambiare un paio di parole chiave e potrebbe essere un discorso pronunciato ieri, che rivela una profetica ed estrema attualità. Nella “tanta orribile e cattiva musica”, infatti, molti ritroveranno certamente l’ormai proverbiale “legione di imbecilli” di Umberto Eco.
L'innovazione ripete sempre se stessa, allora? Reinventa solo – come cantava Guccini – "cose vecchie con il vestito nuovo"? Nessuna evoluzione culturale all’orizzonte? Nulla di nuovo sotto il sole? Hanno ragione forse induisti e buddhisti quando sostengono che il tempo è circolare? Beh, non esattamente. O meglio, quanto meno non in questo caso.
L'innovazione da una parte apre le porte a cose nuove e dall’altra rende accessibili cose vecchie a una platea più ampia e meno specializzata. Tutte cose buone senza dubbio, ma che hanno anche un “lato oscuro”.
- Nel primo caso l’innovazione allontana dalla propria comfort zone, cancella privilegi e compromette posizioni di rendita, incrina sistemi e modelli culturali ed educativi.
- Nel secondo caso favorisce, in maniera indiretta, il crescente e allarmante fenomeno di disintermediazione che cancella il valore delle competenze, annulla il ruolo dell’autorevolezza e trasforma la semplice possibilità in capacità, il potere in sapere.
In ogni caso, da sempre, l'innovazione fa paura.
Vittime dell’innovazione
Tutti i cambiamenti innescano risposte emotive – positive e negative – e l’innovazione non è da meno. Affascina ed entusiasma, ma anche spaventa abbiamo detto, se non altro perché tutti sappiamo bene come ogni mutamento lasci dietro sé un certo numero di “vittime”, di perdenti. Tra questi la paura assume la forma di un rigetto preventivo verso la novità, una sorta di fobia cautelativa.
L'innovazione è come la scienza nel nuovo mondo di Huxley: pericolosa e incompatibile con la stabilità. (“…noi dobbiamo tenerla con la massima cura incatenata e con tanto di museruola.”) È rischiosa, come la bicicletta per Mallarmè che scrisse: “…l’uomo non si avvicina impunemente a un meccanismo e non vi si mescola senza perdita.” Ha una natura ambivalente perché, come ebbe a dire Sir Francis Bacon: “…aggiusta sempre qualcosa ma ne danneggia qualche altra.”
L'innovazione inoltre, oggi più che nel passato, sembra correre avanti all'impazzata verso un futuro impossibile da prevedere ed è paradossale riconoscere come l’uomo, solo marginalmente, riesca a inseguire quel progresso di cui è egli stesso artefice.
Forse allora siamo noi a essere incapaci di innovarci. Beh, molto probabilmente sì. O meglio, quanto meno in numerosi casi.
Affrontare il lato oscuro
Da una parte i comportamenti e le culture resistono ai cambiamenti più di quanto non si immagini, dall’altra la nostra capacità di adeguarci alle nuove condizioni è maggiore della nostra capacità di comprenderle. Quindi il “lato oscuro”, in questo caso, è l’accettazione indifferente. Un atteggiamento passivo è deleterio tanto quanto un entusiasmo incondizionato, poiché entrambi derivano dall'inconsapevolezza, anche se a partire da punti di vista opposti, potremmo dire complementari. Quando invece l’innovazione è ben proposta, viene meglio compresa e appare meno rischiosa (anche se per contrappasso meno affascinante); viene ben accolta e alla fine apprezzata. Prova ne sia la valutazione positiva espressa da tutte le imprese che implementano nei propri processi produttivi l’innovazione in maniera organica e di cui beneficiano sotto ogni profilo.
Banale quindi concludere che l’innovazione (chiamatela progresso oppure futuro, è indifferente) non può essere fermata, tuttalpiù può essere, o meglio, deve essere normata, regolata.
Le regole non sono bavagli. È piuttosto l’assenza di regole che permette ai più forti di imporre le proprie (non è una citazione da “1984”). In ogni senso: economico, sociale, culturale, ambientale e territoriale, nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, nel sistema dei finanziamenti, nel sistema normativo, nelle relazioni internazionali, eccetera. Le regole devono guidare l’innovazione anche per evitare che altri “lati oscuri” si manifestino. Si pensi per esempio all'acuirsi di posizioni contrapposte come ottimismo versus pessimismo e prudenza versus sospetto. O all’affermarsi di una narrativa complottistica e quindi dell’antitesi noi versus loro.
L’innovazione deve spingere l’intero ecosistema e declinarsi in ogni suo aspetto (economico, sociale, culturale, eccetera), incluso quello probabilmente più complesso da sollecitare: la formazione, la riqualificazione e la valorizzazione delle persone. Per parafrasare Kranzberg, l’innovazione è una “vera attività umana”, quindi non può, e ancora una volta non deve, ignorare il fattore umano e tutti i temi che questo mette in campo. Diventa innanzitutto necessario sviluppare un senso di responsabilità nei confronti del valore competenza che, più e meglio di altri, permette di innescare dinamiche e azioni sempre adeguate e contingenti.
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Info: corrado-calza.webnode.it