Il rischio "rassegnazione" dietro il "vivere nel qui e ora"

Il rischio "rassegnazione" dietro il "vivere nel qui e ora"

A distanza di qualche settimana da un intenso workshop a cui ho partecipato, risuonano nella mia mente queste parole “Stai nella vita di adesso”. Questa frase mi ha molto colpito, perché il senso non era il “stai nel qui e ora”, che troppo spesso viene travisato fino a diventare un topos newage, bensì “vivi pienamente quello che la vita ti presenta in questo momento”. Possono sembrare frasi simili, ma, come cercherò di spiegare, sono profondamente diverse.

Quando si inizia a vivere nella sincronicità, si è parte di un flusso di eventi dove i rimandi si richiamano in una rete fitta e dai significati misteriosi, e più le cose accadono, più ci si meraviglia dei nessi di senso tra le cose.

E così, pochi giorni dopo il workshop, incontro per una sessione una cliente che sta vivendo una congiuntura di profonda frustazione sul lavoro. La ricerca di un equilibrio e di un compromesso ha per lei un confine sottilissimo con la percezione di essersi rassegnata e di non aver lottato abbastanza per quello che desiderava davvero. Così, la promozione a dirigente di una ex collega, che aveva trovato il coraggio di rimettersi in gioco, è l’occasione per riaccendere il fuoco di un sogno nel cassetto che lei forse teme di essersi negata a priori.

Quando il suo compagno le rimanda nello specchio dell’interazione che lei non ha lottato abbastanza per quello che desiderava, piuttosto che arrabbiarsi con lui, che si era mostrato poco solidale, e difendere le proprie posizioni, la cliente attiva il meccanismo di difesa dell’introiezione.

A quel punto la sua voce interiore si sovrappone a quella del compagno, e il giudice a cui rendere conto diventa lei stessa: inizia a mettersi in discussione con durezza, ed entra in un loop di rabbia e insoddisfazione che la porta poi a voler intraprendere un percorso di coaching per avere più chiarezza.

Durante la sessione, emerge il desiderio di riconnettersi a livello valoriale alla sua forza e alla determinazione, e piano piano come in un puzzle emergono tante tessere di momenti in cui ha riconosciuto con estrema chiarezza il richiamo di cosa avrebbe desiderato fare, e che poi ha lasciato scivolare nella nube delle impossibilità sulla carta: “ad oggi non vedo come la cosa potrebbe accadere, e quindi ritengo che sia irrealizzabile”. E così, a testa bassa, censura i sogni che la animano e la fanno sentire vitale, connessa, creativa.

La capacità di lasciarsi soprendere dalla vita, era qualcosa che lei stava concedendo a sé stessa?

Attenzione a quando la mente, con i suoi autosabotaggi, le nostre difese, da nostra migliore alleata diventa la nostra nemica, o il nostro guardiano della soglia, avrebbe detto Joseph Campbell, autore del celebre Viaggio dell’eroe.

Terminata la sessione, la cliente riconosce subito dai segnali del corpo che si è smosso qualcosa; e poi, dopo qualche minuto, mi confida come sfogo “Tante persone mi dicono che che devo accettare la situazione, che tutto è perfetto, ma io mi sento male, anche fisicamente, come faccio ad accettare? No, non ce la faccio, non posso farlo”.

Sono tornata con la mente al workshop, ed ho riconosciuto come lo stare nel qui e ora possa essere veramente un elemento di ulteriore scissione da sé stessi, quando viene frainteso dalla massa, e quindi si crea una forma pensiero distorta: se una cosa ci fa stare male, non possiamo fare finta di niente, e dire “va be’, tutto è perfetto”, oppure "questo è il mio qui e ora e va bene così", perché vorrebbe dire rassegnarci, rinunciare a quel sogno che ci anima. L’unica realtà inconfutabile è quella del corpo, e se il corpo manifesta un malessere, piuttosto che zittire i sintomi, rimuovere o far finta di niente, dovremmo calarci in quello che accade dentro di noi. Fermarci, osservare, sentire e riconoscere che una certa situazione “fa male”.

Tutto è perfetto dentro di noi, nel senso che so che tutto quello che provo è parte di me, del viaggio che sto facendo in questa vita, ma non in quello che accade fuori: accetto e osservo tutto ciò che vive dentro di me e mi anima, ma, se una situazione mi crea un malessere, è per prima cosa importante calarsi in quel malessere e capire cosa dice di me in quel momento, quale filo della mia vita si sta dipanando. E mentre le spiegavo questo concetto la vedevo anche alleggerirsi di un peso, vedevo come il volto diventava più disteso e luminoso. L’unica cosa importante è vivere la vita, e quello che ci propone in quel momento, decidendo il “come” con il nostro libero arbitrio.

La vita è una danza, è la danza delle particelle, delle molecole, è la danza di Shiva, avrebbe detto Fritjof Capra, celebre fisico autore del Tao della fisica; quello che ci restituisce la possibilità di essere connessi a noi stessi è proprio la capacità di stare pienamente in quello che c’è, senza cercare di scappare, neanche dal dolore. Sono i paradossi che consentono di fare un salto di coscienza, e il paradosso della vita insegna che più stiamo nel dolore, e più sapremo stare nella gioia: a noi è richiesto di vivere intensamente, di far scorrere l’energia della forza vitale, che è una legge di natura.

www.marcelladimartino.com

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