Il risk management nelle organizzazioni Non Profit
La riforma del terzo settore se da una parte ha delineato un’ondata di novità sotto molti punti di vista ormai noti, dall’altra non ha previsto in maniera specifica quali possono essere le azioni da intraprendere per identificare i rischi di un’organizzazione Non Profit.
Il confronto con le imprese for profit è inevitabile, infatti, in queste ultime, l’esigenza della salvaguardia degli interessi di terzi è divenuta con il tempo elemento rilevante soprattutto per non mettere a repentaglio la continuità aziendale.
Si è entrati nell’ordine delle idee che i documenti obbligatori come il bilancio e documenti contabili in genere, non siano sufficienti a spiegare come avviene la mappatura dei rischi specifici.
Il legislatore nazionale ha introdotto obblighi di disclosure sul sistema di controllo interno e sulle modalità di gestione dei rischi aziendali.
I riferimenti normativi più rilevanti sono:
- Testo Unico della Finanza (D. Lgs. 58/1992) e successive modificazioni (come la L. 262/2005) che richiede che nella relazione sulla gestione allegata al bilancio sia data informativa dei principali rischi e incertezze e sia data informativa sulle principali caratteristiche dei sistemi di gestione dei rischi e di controllo interno;
- Art. 2428 c.c. stabilisce che il bilancio debba essere corredato da una relazione degli amministratori contenente una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta;
- D. Lgs. 39/2010 prevede che il collegio sindacale vigili sull’efficacia dei sistemi di controllo interno e di gestione del rischio;
- D. Lgs. 231/2001 ha introdotto la responsabilità amministrativa e penale degli enti contribuendo a promuovere processi di identificazione e valutazione del rischio di commissione di specifiche fattispecie di reato e soprattutto su una cultura di risk management a tutti i livelli aziendali.
Quindi, se per le imprese for profit la legislazione presente è più che sufficiente per effettuare una mappatura efficace dei rischi, per le organizzazioni Non Profit c’è ancora molto da fare.
Il primo passo da compiere per individuare il risk management di un’organizzazione Non Profit, sarà la customizzazione dei rischi in virtù delle dimensioni, caratteristiche organizzative, settore di appartenenza ed anche del contesto in cui opera.
In fase iniziale, un’attività rilevante sarà customizzare i rischi in base alle specificità e peculiarità dell’organizzazione in essere.
Le organizzazioni Non Profit in virtù del loro oggetto sociale, non possono essere considerate immuni da rischi, tutt’altro, la loro caratteristica di essere governate democraticamente fa aumentare i rischi specifici.
Quindi, i comportamenti opportunistici potrebbero essere presenti in qualsiasi tipo di organizzazione a prescindere dal loro scopo sociale.
Tra i rischi più noti che un’organizzazione Non Profit può incontrare c’è sicuramente il rischio di devianza dello scopo, in quanto le attività formalmente identificate senza scopo di lucro potrebbero nascondere attività lucrative.
Il Codice del Terzo Settore, in maniera puntuale e precisa, ha definito, all’art. 8 comma 2, il divieto di distribuzione sia diretta che indiretta di utili ed avanzi di gestione a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali.
La linea che divide, le attività commerciali dalle attività non commerciali, in molte occasioni, è molto sottile, quindi sarà fondamentale implementare un sistema, che identifichi in maniera specifica le varie poste, evitando di mettere in atto pratiche poco lecite che possano incidere negativamente sulla trasparenza dell’organizzazione.
Altro rischio che deve essere mappato, vista la sua particolare rilevanza all’interno delle Organizzazioni Non Profit, è il rischio di accentramento del potere decisionale.
Il principio sulla quale si basa la governance delle organizzazioni è la democraticità.
Quest’ultima, in molte occasioni, è stata minata da forti leadership e influenze, tendendo a creare distorsioni a vari livelli.
L’oggetto del governo strategico di un’organizzazione è duplice in quanto l’attività direzionale comporta simultaneamente il governo dei processi aziendali e il governo delle relazioni con gli stakeholder secondo una logica solidaristica che sappia unire efficacia, efficienza ed equità.
Il successo di lungo termine di un’organizzazione Non profit si basa sulla capacità di generare e alimentare la fiducia e il consenso da parte dei soggetti con cui essa entra quotidianamente in contatto, nella capacità di soddisfare gli interessi di cui sono portatori.
Quindi, la concentrazione del potere decisionale nella figura di un determinato fondatore o di un gruppo di leader, potrebbe rappresentare, nel lungo termine, un rischio determinando mancanza di trasparenza nel processo decisionale.
Altro rischio sul quale è bene soffermarsi è il rischio di scenario.
Il periodo che stiamo vivendo è caratterizzato, oltre che da un’incertezza generalizzata, anche da un avvicendarsi di novità legislative che potrebbero avere delle ricadute, anche indirette, sull’organizzazione.
Mappare queste tipologie di rischi è alquanto complicato ma quel che viene richiesto alle organizzazioni è sicuramente essere sempre pronte al cambiamento e al mutamento dei propri processi organizzativi, in modo tale che il susseguirsi delle novità non rechi un danno rilevante.
I processi organizzativi, di molte organizzazioni, sono fondati su prassi consolidate e l’arrivo di grandi cambiamenti sotto il profilo legislativo, dei bisogni, dell’evoluzione della società potrebbe mettere a dura prova l’operato organizzativo.
La capacità di adattarsi ai cambiamenti di un’organizzazione Non profit sarà il segno distintivo dei prossimi anni a venire, che rivelerà insieme ad altre variabili l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione.
Per concludere, le rendicontazioni sociali delle organizzazioni Non Profit dovrebbero contenere, a mio modo di vedere, delle sezioni dedicate alla mappatura dei rischi.
L’obiettivo deve essere l’individuazione dei possibili rischi e i correttivi necessari evitando di produrre effetti negativi sotto il profilo sociale, economico ed organizzativo.
Dottore Commercialista Umanista | Consulente in governance e government della sostenibilità | Cultore della scienza dell'associazione | comprendere gli enti, governarli e disporli nell'ordine giusto.
3 anniLe diverse matrici di valore delle molteplici cornici di senso che individuano gli impatti delle azioni, aiutano a capire le direzioni intraprese, quelle auspicate dagli stakeholder interessati ed anche lo strumento coercitivo utile ad indirizzarle. Dove indirizzare? Dove scelte etiche/ideologiche hanno deciso che si debba andare! Ed è qui che si posa il problema della democrazia partecipativa, nel decidere le scelte etiche e/o ideologiche che individuano chi, nelle scarsità anche sociali vince e chi perde. È qui che occorrono gli Ets. Se si è deciso che solo i mercati possano garantire la riduzione dell'inquinamento attraverso le quote di immissione, la prua delle organizzazioni non può che dirigersi da una parte. Non abbiamo diritto all'aria pulita e quindi .... al massimo "Eni + Antonio è meglio che Eni". Si , ma Eni, alla fine, pur di non spendere in acquisto di quote, deciderà di inquinare meno? E se si, ci arriverà a farlo, magari narrandosi con gli GBR? Con lo Sgroi! Oppure salterà tutto prima. L'epoca antropocene incombe e "Eni + Antonio" potrà risultare essere troppo lento. Meglio il potere dell'istituzione Diritto, è più veloce.