Il senso di ciò che stiamo vivendo
Voglia di riprendere e di accostare a noi i sentimenti per affrontare le cose da un’altra prospettiva, innanzitutto dalla libertà. Certo il momento non concilia molto con questo ma noi sappiamo che ce la faremo perché siamo pragmatici.
Allora, mettiamoci comodi in un’attesa che potrebbe essere foriera di buone letture, a iniziare da una “rilettura”. Quella de “I promessi sposi”, e in particolare del capitolo 31 con la descrizione dell’epidemia di peste del 1630. Qui troviamo una sorta di predizione su quanto stiamo vivendo oggi. Addirittura la ricerca del paziente zero (e sappiamo che a quel tempo la medicina era ancora allo stadio medievale e quindi quasi pari a zero), ma pure lo scontro con le autorità, la paura degli untori e degli stranieri, i rimedi che già prevedevano “mascherine”, la razzia dei beni di prima necessità, e poi quanto non manca mai alla nostra cara Italia, ieri come oggi: le voci incontrollate! Tutti ad esternare tutto e il contrario di tutto, anche da parte di cosiddetti esperti sanitari.
Per questo desidero esprimere soltanto la mia vicinanza a quanti veramente soffrono negli ospedali, alle aziende con operai in affanno, e a tutti gli altri l’augurio di usare il pensiero che con la cultura è il nostro bene più prezioso proprio in quello spirito di libertà che è la nostra umanità.
E intanto comodi in poltrona, e riprendiamo in mano anche Boccaccio che pure richiama modi di avvelenamento della vita sociale.
Colpisce, infatti, un’aggressività mediatica che sconcerta, senza limiti imposti dal buon senso e senza richiami da una coscienza ormai assente. Fa male... ma ci nascondiamo in un cellulare sempre acceso, mentre immagini date sui social vanno veloci sostituite da altre. Non proviamo neanche a tradurre a noi stessi e in famiglia un linguaggio di violenza, a proporre scelte diverse da abbracciare, a demistificare gli avvenimenti filtrandoli criticamente, ma lasciamo che la rappresentazione dell’effimero pregni la nostra casa, le nostre menti.
Proprio per questo, nella prudenza necessaria, non dobbiamo lasciarci distrarre dall’emotività di notizie apprese dai telegiornali in trenta secondi o lette a frammenti sui quotidiani o commentate nei talk show; dobbiamo non perderci in storie senza scoprirne gli aspetti per non cedere all’angoscia e scoprire la verità, pur amara, scottante e terribile, dell’uomo che ha conquistato il mondo con la tecnica, la politica e l’economia ma che in forza di questo detta le leggi a cui dovranno sottostare gli altri che restano nella scala degli esseri inferiori e, in ogni caso, dei vinti, ingabbiati dal potere di lobby fatte di individualità egoiste che mirano solo al proprio interesse, incuranti del benessere di quanti non siano in quella cerchia.
E dunque gli anziani e quanti con difficoltà di salute possono anche morire?
Il senso di ciò che stiamo vivendo è tutto qui, ma purtroppo non riusciamo ad andare oltre e tutto scorre nel vuoto di una transitorietà che non ha un’esistenza reale. Domani questa cronaca sarà già vecchia, il caso è chiuso, mentre nuove notizie sono lì da raccontare, invadenti e inopportune.
Tranne che, come nuovi untori, lo scopo non sia quello di spandere proprio quel sospetto virus che uccide l’etica; tranne che, parafrasando Kant, non si voglia proporre un modello di vita come mezzo e non come fine, usando la coartazione in nome di un futuro ordine sociale in cui tutti vivranno meglio, membri di una società individualista in cui l’uomo si adopererà per ciò che gli conviene per continuare a vivere nell’avere - di più, sempre di più - e non nell’essere.
La cultura della vita è tutt’altra cosa da un epicureismo ormai sfacciato in ogni sua manifestazione e trasformazione della realtà. E’ altro. E’ il riconoscere che è un passaggio verso l’esistenza e che la vita stessa è un dono, che ha in sé un valore non barattabile fino alla fine dei nostri giorni.
(Foto Studio Rapuzzi)