Il web senza autori e senza guadagni: tempo di riscoprire il copyright di Ted Nelson?
Due progetti di Google - uno attualmente "ibernato", Google Authorship, l'altro appena annunciato, Google Contributor - mi hanno fatto tornare in mente Theodor Holm Nelson che, con il suo progetto Xanadu, è uno dei precursori misconosciuti della Rete.
Un aspetto che rende allo stesso tempo anacronistico e futuristico il lavoro di Nelson rispetto al web "as we know it" è la preoccupazione quasi ossessiva per il copyright come struttura portante del sistema: quanto viene pubblicato nel docuverso ha un proprietario (da intendersi in senso ampio) che viene certificato dal sistema stesso e genera automaticamente un guadagno, sia quando viene consumato interamente che quando viene solo citato o linkato altrove.
Citiamo da Literary Machines (senza pagare nulla…):
Nel servizio che abbiamo progettato, ogni singolo byte trasmesso produce dei diritti. I diritti sono pagati automaticamente dal lettore al proprietario ogni volta che viene chiamato un frammento di un documento, proporzionalmente alla dimensione di questo.
Nel web "as we know it" invece la situazione è diametralmente diversa perché il WWW nato da Tim Berners Lee è molto più "semplice" rispetto a quanto immaginava Nelson e determinate problematiche non erano considerate nella progettazione del protocollo: possiamo considerarlo un caso da manuale di trionfo del Minimum Viable Product.
Fuori l'autore!
Non c'è una attribuzione certa e/o certificata del proprietario di quello che viene pubblicato, se non a un livello macro: per un sito web inferiamo da una serie di particolari e "indizi" la paternità ma - pensiamo al phishing - sono indizi falsificabili.
Sui social abbiamo account "certificati" ma comunque non siamo in grado di verificare la reale paternità di un contenuto anche solo di 140 caratteri: sono originali? Citati? Copiati?
Facciamo un esempio paradossale:
Questa possiamo ritenerla una poesia autografa di Dante Alighieri se ci limitiamo agli "indizi" che ci vengono forniti.
Fuori i soldi!
Non è possibile monetizzare la pubblicazione di contenuti in maniera semplice, automatica e condivisa. Anzi… pubblicare un contenuto online vuol dire sostanzialmente renderlo gratuito e infinitamente replicabile e poi cercare eventualmente dei correttivi a questa gratuità "organica".
Affidandosi alla pubblicità, affidandosi a qualche soluzione DRM e conseguenti acquisti/abbonamenti: in ogni caso non saremo mai pagati per una citazione e molto probabilmente dovremo anche spendere per combattere chi ci copia a fini di lucro (pensiamo ai siti di streaming che raccolgono pubblicità, copiando quello che magari viene trasmesso da Sky a pagamento).
Le approssimazioni di Google
Google, omnicomprensiva e onnivora di tutto il web, è l'approssimazione molto parziale e allo stesso tempo più concreta della Xanadu di Nelson.
Google Authorship, di cui trovate qui la storia e lo stato attuale, fu il tentativo di sistematizzare la paternità dei contenuti internet legandola al profilo Google + dell'autore.
Google Contributor sembra, a prima vista, un tentativo di fornire a tutti gli editori un sistema di pagamento diretto da parte dei propri lettori. In realtà la via è più tortuosa: Contributor è una estensione di AdSense - la soluzione sempre Google per gestire la pubblicità su un proprio sito - e quindi tecnicamente trasforma il lettore in un (ulteriore) inserzionista.
Con Contributor decido un budget mensile esattamente come un inserzionista pubblicitario e questo budget mi inserisce nel meccanismo di bidding che regola gli annunci che appaiono tramite AdSense.
Se, ad esempio, sono un lettore di un blog di Hi-Fi con Contributor attivato, quando leggerò il mio sito preferito farò concorrenza a Sony per gli spazi pubblicitari e, in alcuni casi, vincerò l'asta e quindi non vedrò il banner delle nuove cuffie wireless ma un ringraziamento in quanto lettore fidelizzato.
Monetizzare o morire
Le preoccupazioni di Nelson rispetto al copyright non erano puramente legaliste o passatiste ma soprattutto economiche: Xanadu doveva essere economicamente sostenibile e quindi doveva produrre degli utili, autonomamente e dal proprio core business. Quindi come pagare e come farsi pagare per tutto quello che vi era messo a disposizione erano problemi alla base della fattibilità prima e della sostenibilità poi del sistema stesso.
Il web "as we know it" di base non ha (ancora?) risolto questi problemi: biliardi di contenuti prodotti quotidianamente generano profitti solo in minima parte e solo indirettamente.
Abbiamo aziende web enormi di cui non è ancora chiaro quando e come produrranno utili costanti che non dipendano da una qualche forma di advertising.
Quindi aveva ragione Nelson o davvero possiamo vivere tutti pagati in "visibilità"?