Infortuni sul lavoro e malattie professionali il principio della equivalenza causale ex art 41 c.p.

Infortuni sul lavoro e malattie professionali il principio della equivalenza causale ex art 41 c.p.

Corte di cassazione civile, sez. lav., ord., 21 luglio 2023 n. 21950

1. La Corte d'appello di Roma ha respinto l'appello proposto da M.G., P.V. e PE.VE., eredi di P.L., nei confronti delle società (Omissis) spa e (Omissis) spa, confermando la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni dai medesimi rivendicati, iure proprio e iure hereditatis, a causa del decesso del loro congiunto per malattia professionale contratta nello svolgimento dell'attività lavorativa di operaio elettromeccanico manutentore di mezzi rotabili presso le officine (Omissis) spa di (Omissis).

La sentenza impugnata esclude l'esistenza di un nesso causale tra l'attività lavorativa e il decesso del lavoratore poiché "l'attività lavorativa del P. presso (Omissis) non era in grado di determinare da sola la produzione dell'evento lesivo, non avendo la forza di superare, in termini di efficienza causale, fattori estranei alla causa di servizio quali la prolungata massiccia dedizione al fumo e lo svolgimento di una precedente attività lavorativa a rischio per un considerevole arco di tempo

Avverso tale sentenza gli eredi di P.L. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

I primi due motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente perchè parzialmente sovrapponibili e comunque connessi, sono fondati nei limiti di seguito indicati.

12. Come è noto, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali trova applicazione la regola dell'art. 41 c.p., con la conseguenza che il rapporto causale tra l'evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo cui va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, potendosi escludere l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo se possa essere ravvisato con certezza l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, di per sè sufficiente a produrre l'infermità e tale da far degradare gli altri fattori a semplici occasioni (v. tra le tante, Cass. n. 6105 del 2015; n. 27952 del 2018; n. 678 del 2023).

Tale principio è accompagnato, nella giurisprudenza di legittimità, da una duplice precisazione:

la prima, secondo cui il nesso causale tra l'esposizione a sostanze nocive e l'evento infausto "può ritenersi dimostrato allorchè, applicando leggi scientifiche universali o statistiche ovvero il metodo di giudizio controfattuale, pur non risultando in concreto possibile determinare con esattezza il momento di insorgenza della patologia, si raggiunga comunque la prova che la condotta doverosa omessa avrebbe potuto incidere anche soltanto sul tempo di latenza o sul decorso della malattia" (Cass. pen. 38991 del 2010; Cass. pen. 33311 del 2012; Cass. pen. 24997 del 2012). Ciò comporta, con riferimento al caso in esame, che, ferma l'eventuale esposizione a sostanze nocive in precedenti rapporti di lavoro, l'attività svolta presso l'ultimo datore di lavoro può assumere il ruolo, a sua volta, di concausa ove, comunque, sia raggiunta la prova dell'apporto causale fornito dalla protratta esposizione, sia pure non intensa, quantomeno in termini di accelerazione del decorso della patologia.

la seconda precisazione che si rinviene nelle pronunce di legittimità ribadisce che, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, e, se questa puo' essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di "probabilità qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come, ad esempio, i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale.

Si è, in particolare, sottolineato come "la 'regola dell'esclusione", in presenza di patologie multifattoriali, impone che la malattia possa essere attribuita alla causa indiziata solo dopo che sia stato escluso che abbia avuto un ruolo eziologico il fattore alternativo. Il che va accertato - ovviamente - tenendo presente che la natura causale di un determinato antecedente non è esclusa dalla esistenza di una concausa (art. 41 c.p.). E' pertanto opportuno distinguere (...) tra fattori interferenti che spiegano una efficienza sinergica, in corrispondenza dell'insorgenza della malattia e/o della sua ingravescenza, da quelli in grado di operare in assoluta autonomia, per i quali sembra appropriato parlare di fattori alternativi"

la Corte di appello non si è attenuta ai principi di diritto richiamati in quanto ha escluso qualsiasi apporto concausale, nella determinazione della patologia tumorale, dell'attività lavorativa svolta presso la (Omissis) sul rilievo che essa "non (era) in grado di determinare da sola la produzione dell'evento lesivo, non avendo la forza di superare, in termini di efficienza causale, fattori estranei alla causa di servizio quali la prolungata massiccia dedizione al fumo e lo svolgimento di una precedente attività lavorativa a rischio per un considerevole arco di tempo (15-20 anni)". In tal modo contraddicendo la teoria dell'equivalenza delle cause che impone di riconoscere un ruolo (con)causale ad ogni fattore che abbia contribuito, sia pure in maniera indiretta e remota, all'insorgenza o all'aggravamento della patologia, dovendosi peraltro tenere conto, nell'analisi dei vari fattori interferenti, di come alcuni di essi abbiano un effetto sinergico, in relazione all'insorgenza della malattia o alla sua ingravescenza, come appunto il fumo di sigaretta rispetto alle patologie tumorali del polmone, secondo la letteratura scientifica posta a base delle pronunce giurisprudenziali sopra richiamate.

La regola dell'equipollenza delle cause subisce una eccezione nella sola ipotesi in cui si raggiunga la prova che il fattore alternativo, innescando una serie causale autonoma, sia stato in grado, da solo, di produrre l'evento. Tale prova, tuttavia, non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, in termini di "probabilità qualificata".

la sentenza impugnata, che pure dà atto di una pregressa esposizione del lavoratore a fibre di amianto aerodisperso presso altri datori di lavoro e per un periodo di 15-20 anni e di una protratta esposizione del medesimo alle stesse sostanze nocive presso (Omissis), tuttavia assegna al fumo di sigaretta il ruolo di fattore causale autonomo, idoneo da solo a produrre la patologia tumorale, non sulla base di un accertamento concreto e agganciato a dati scientifici (probabilità qualificata) bensì sul rilievo, meramente presuntivo, di inidoneità dell'esposizione lavorativa presso (Omissis), in quanto "non intensa" ), a causare "da sola" l'evento lesivo, così invertendo i termini logici del problema e pretermettendo, del tutto, il criterio di equipollenza delle cause e la considerazione degli effetti sinergici dei fattori concorrenti

Per le ragioni esposte, accolti i primi due motivi di ricorso nei limiti sopra tracciati e dichiarati assorbiti i residui motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d'appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie, attenendosi ai principi di diritto richiamati al fine di accertare, secondo il canone della probabilità qualificata, se l'esposizione a sostanze nocive nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze della (Omissis) spa possa avere avuto un qualsiasi ruolo concausale nell'insorgere o nell'aggravarsi della patologia tumorale, sia pure innescata dall'esposizione subita presso precedenti datori di lavoro, definendo il ruolo svolto dall'abitudine al tabagismo, come concausa ad effetto sinergico moltiplicatore o, invece, come serie causale autonoma da sola idonea a determinare la lesione, alla luce di una indagine scientifica idonea a produrre un risultato in termini non meramente presuntivi bensì di elevata plausibilità logica.

Riferimenti normativi:

Art. 41 R.D. del 19 ottobre 1930 n. 1398 Art. 360 C.P.C. Art. 2087 CC Art. 40 R.D. del 19 ottobre 1930 n. 1398 Art. 421 C.P.C. Art. 2697 CC Art. 112 C.P.C. Art. 2059 CC Art. 1223 CC Art. 445 C.P.C. Art. L. del 2017 n. 13814

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Studio Legale Magnanelli and partners

Altre pagine consultate