Insegnamento universitario online, le mie sfide ed esperienze a New York
Immagine a cura di Simone Somekh (2020)

Insegnamento universitario online, le mie sfide ed esperienze a New York

A settembre, i miei studenti torneranno all’università, se di ritorno possiamo davvero parlare. Il primo giorno del semestre autunnale, si siederanno davanti al loro computer, cliccheranno sul link di Zoom, inseriranno la password, e quello sarà il loro «grande ritorno».

In qualità di professore, quando lo scorso marzo la mia università a New York ha deciso di sospendere tutte le lezioni nelle infrastrutture universitarie e proseguire in rete, mi sono interrogato su come essere all’altezza del compito. Usare Zoom, far lezione davanti alla webcam, condividere la mia schermata come una lavagna virtuale su cui mostrare slide, immagini e video, non mi preoccupava: fortunatamente non ho dovuto imparare un milione di nuovi termini e familiarizzare con applicazioni sconosciute. Immagino che per diversi colleghi meno giovani di me questa sia stata una sfida non da poco, e li ammiro per la loro tenacia e la loro adattabilità.

Ma nel mio caso non era l’aspetto pratico o informatico a intimorirmi. Mi sono invece chiesto se sarei riuscito a riprodurre la stessa atmosfera che cerco di creare in aula, ora che io e i miei studenti ci troviamo sparsi in parti diverse della città, ora che lavoriamo da casa accanto ai nostri famigliari e sotto la camicia indossiamo i pantaloni della tuta, quelli del pigiama o forse addirittura solo le mutande. Mi sono chiesto se sarei riuscito non solo io a instaurare un rapporto di fiducia e dialogo tra me e gli studenti, ma se sarei riuscito anche a facilitare la creazione di legami tra gli studenti stessi.

Il college, così come l’ho vissuto io (all’università di Bar-Ilan a Tel Aviv), non dev’essere solo un’opportunità di studio e di crescita personale; è anche la piazza pubblica dove ci confrontiamo forse per la prima volta con persone e opinioni completamente diverse da noi, l’occasione di uscire da bolle famigliari e di quartiere, un luogo dove conoscere amici con cui restare legati per il resto della vita. Al liceo chiniamo il capo e prendiamo appunti; all'università invece dev'essere possibile partecipare, chiedere, cominciare a pensare out of the box. Per chi prosegue poi con programmi di specializzazione e lauree magistrali (nel mio caso alla New York University), l’università diventa poi uno spazio preprofessionale dove conta di più legare coi professori, stabilire rapporti professionali coi compagni in vista del futuro e ovviamente conoscere recruiters ed esponenti del mondo del lavoro.

Per alcuni studenti, questo settembre non segna solo l’inizio di un nuovo semestre qualasiasi, bensì il loro primo semestre universitario. Per me è dunque fondamentale che la loro esperienza sia meno alienante possibile, che quando si collegheranno su Zoom per la loro prima giornata di lezioni virtuali abbiano modo di conoscere i compagni, presentarsi e scambiarsi nomi e indirizzi email.

Dopo mesi di insegnamento online, ho delineato le strategie che nel mio caso hanno funzionato meglio per coinvolgere gli studenti e non perdere troppi elementi della lezione frontale tradizionale.

Fatevi da parte

Zoom offre la modalità «breakout room», ovvero stanze in cui suddividere l’incontro virtuale in tanti “sotto-incontri” simultanei. Trovo che questo sia un modo per dividere gli studenti in gruppi più piccoli per facilitare presentazioni e discussioni. Solitamente do delle istruzioni precise, incluso il tempo a disposizione per la discussione, e designo un(a) portavoce per ciascun gruppo prima di creare le stanze. Mentre gli studenti sono nelle stanze, io posso saltare da una stanza all’altra per monitorare le discussioni; terminato il tempo stabilito, chiudo le stanze e tutti tornano nel «meeting» principale, dove i/le portavoce possono riportare quanto risultato dalla discussione.

Le breakout room sono un modo semplice per creare spazi di maggiore intimità e sono particolarmente utili in classi più numerose. Facendomi da parte, permetto agli studenti di mettersi a loro agio e aprirsi maggiormente coi loro compagni. In corsi come quelli che insegno io, la partecipazione è fondamentale, e se gli studenti non sono a loro agio, non sempre è facile farli partecipare. Questo è un modo per aiutarli.

Partecipazione interattiva

A volte fare una domanda aperta non basta. In particolare all’inizio del semestre, quando gli studenti ancora non conoscono il professore e non vogliono far figuracce davanti ai compagni, può risultare più difficile farli partecipare alle discussioni di gruppo. Un modo efficace per stimolare una discussione è l’uso di sondaggi anonimi, fatti sia direttamente su Zoom che su altre piattaforme online. Questi sistemi permettono di visualizzare i risultati del sondaggio in tempo reale. Una volta terminato il sondaggio, chiedo agli studenti che hanno risposto in un certo modo se vogliono chiarire la loro opinione.

L’empatia conta

Il motivo per cui a metà marzo ci siamo trovati catapultati online da un giorno all’altro è una pandemia globale che in paesi come Italia e Stati Uniti si è portata via migliaia di vite umane. Durante i mesi più duri del COVID qui a New York, in particolare tra aprile e giugno, ho spesso ricevuto email o messaggi in cui i miei studenti mi comunicavano che non potevano venire a lezione per via di un lutto famigliare; alcuni si sono ammalati e altri hanno perso i loro cari. L’empatia, in particolare da parte di coloro in posizioni di leadership, conta. Riconoscete apertamente la gravità del momento storico che stiamo vivendo. Ditelo in classe. Rispondete agli studenti mostrando il vostro dispiacere e la vostra comprensione.

Anche se le circostanze possono complicare il nostro lavoro, non lasciamoci scoraggiare da queste difficoltà e impegnamoci a trovare soluzioni perché i nostri studenti non perdano occasione di imparare, crescere e conoscersi.

Scrivete le vostre opinioni e le vostre domande nei commenti qui sotto!

Simone Somekh, autore del romanzo “Grandangolo” (Giuntina 2017), vive a New York, dove insegna comunicazione al Touro College e lavora come consulente di comunicazione. Ha scritto per l'Associated Press, Tablet Magazine, Forward, New York Transatlantic e altri.

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