INSEGNARE AI FIGLI LA FELICITÀ O, MEGLIO ANCORA, LA SERENITÀ

INSEGNARE AI FIGLI LA FELICITÀ O, MEGLIO ANCORA, LA SERENITÀ

OVVERO COME, TRA LE ALTRE COSE, NON VENIRE ANNICHILITI E FAR SENTIRE IN COLPA

In questo articolo voglio riflettere insieme a te sull’importanza di insegnare ai figli la felicità o, come sostengo nel titolo, meglio ancora la serenità.

Lo faccio anche attraverso la mia personale esperienza a riguardo, come papà, con mio figlio Ezechiele.

SAPERLI FELICI

Spesso come genitori ci si sente in dovere di mettersi in secondo piano rispetto alle esigenze dei figli.

Altre volte lo si fa perché è giusto e naturale che sia così.

La maggior parte delle volte lo si fa semplicemente perché li si ama.

E quando si ama qualcuno di un amore incondizionato come è quello che si prova per i figli, amare e donare se stessi a loro è uno dei due modi per essere felici come genitore. L’altro è vederli e saperli felici.

Cos’altro può desiderare di più un genitore che vedere e sapere felice suo figlio o sua figlia?

Forse solo sapere che, se non si è stati proprio l’artefice di tale felicità, quanto meno si è contribuito.

Ci sono però due rischi di cui dobbiamo essere consapevoli come genitori, per noi stessi e per i nostri figli.

Il primo rischio è che con il tempo, questo mettersi in secondo piano diventi un’abitudine consolidata, anche quando non è così strettamente necessario (perché guai se non ha la sua merendina preferita in cartella, guai se non lo accompagno dal suo amico, se non gli organizzo la festina di compleanno con tutti i suoi amici, se non la porto a comprarsi le magliette, se non le regalo il nuovo Iphone), anche quando potrebbe essere più utile per i figli innanzitutto e poi anche per noi genitori, farsi un po’ da parte e lasciare che i figli se la cavino da soli. Che loro stessi diventino gli artefici della propria felicità.

Perché se noi rischiamo di venire annichiliti, travolti, di sparire come persone ancor prima che come partner, risucchiati unicamente nel nostro ruolo di mamma o di papà, i nostri figli rischiano di diventare dipendenti da noi genitori, quando devono ricercare la felicità. In altre parole, si aspettano da noi ciò che li possa rendere felici, a partire da oggetti materiali (cellulare, vestiti, giocattoli, ecc.)

LA VERA FELICITÀ

Per raccontarti il secondo rischio, voglio parlarti della mia esperienza con mio figlio, a partire da un bellissimo libro che amavo molto leggergli quand’era piccolo, la cui conclusione recitava: “Ma la vera felicità [sottointeso di un genitore] è saperti felice”.

Amavo molto quel libro e piaceva molto anche a Ezechiele, per le immagini, per i colori, per le semplici frasi dense di significato e di amore. Anche se – lo confesso – l’ultima frase con cui si concludeva il libro mi lasciava sempre un po’ perplesso e sgomento.

Perché, al di là della frase in sé e del fatto di leggerla o meno a mio figlio, i nostri figli capiscono o percepiscono quando noi anteponiamo la loro felicità alla nostra o quando facciamo dipendere la nostra felicità dalla loro.

E allora sì che i rischi cominciano a essere davvero tanti, per loro.

Il primo è che si sentano in dovere di renderci felici, ovvero di comportarsi e in futuro di vivere ricercando la nostra felicità come genitori, anziché la loro. E tra le tante cose che non desidero per mio figlio, c’è quella che cerchi di soddisfare le mie aspettative su di lui, che cerchi di rendermi felice facendo magari scelte che lo rendono infelice.

Il secondo rischio è che si sentano in colpa perché noi rinunciamo a essere felici per loro.

Certo come genitori è normale pensare che sia giusto fare così e non è certo la nostra intenzione quella di suscitare in loro sensi di colpa. Ma come dico e scrivo spesso, quello che conta non è la nostra intenzione nel dire o fare una certa cosa, ma l’effetto che produce sui nostri figli.

COSA HO CAPITO

Non ho la verità in tasca, ma quello che ho capito in questi anni di studio prima, di lavoro poi, di papà infine è che, come genitore, ho questi tre compiti nei confronti di mio figlio rispetto alla possibilità di insegnargli a essere felice.

La prima è che è importante che lo lasci libero di ricercare la sua felicità, senza sentirne il peso delle mie aspettative, proiezioni e speranze.

La seconda è che per farlo devo cercare di essere io felice, perché questo è il solo modo, ancor prima che per insegnargli la felicità, ad autorizzarlo a essere felice. Vedendo me felice, per modellamento imparerà a esserlo.

La terza è creare attorno a lui le condizioni affinché si possa sentire sereno, sicuro e amato. Perché queste tre sono le premesse per potersi sentire felice e poter ricercare ciò che rende felici.

CREARE LE CONDIZIONI: SERENITA', SICUREZZA, AMORE

Ho imparato che queste tre condizioni (serenità, sicurezza e amore) non sono cose fumose, concetti astratti, ma tre cose molto, molto concrete che voglio condividere con te.

GESTI CHE COMUNICANO SERENITA'

La prima sono i gesti. Non solo quelli con i quali mi rivolgo a lui, a partire dallo sguardo, dal sorriso, dall’espressione del viso, gli abbracci, i baci, le pacche sulle spalle o le carezze, ma anche piccoli gesti materiali come un bigliettino affettuoso lasciato di sorpresa qua e là o un dono e non mi riferisco tanto ai giocattoli, ma a piccoli oggetti apparentemente insignificanti (un fiore, una foglia, un sasso, un aeroplanino di carta…) carichi però di valore simbolico e affettivo.

PAROLE CHE COMUNICANO SICUREZZA

La seconda sono le parole che gli rivolgo. A partire dagli incoraggiamenti, dalle parole d’affetto e di approvazione, dalle domande aperte volte ad ascoltarlo, passando per quelle con cui accompagno i doni che gli faccio, per finire a quelle che gli rivolgo quando lo devo rimproverare per qualcosa di sbagliato.

Soprattutto in questo caso, ho imparato a scegliere cosa dire e come dirlo, per evitare che gli errori che inevitabilmente commette lo rendano insicuro e timoroso di sé e di me.

MOMENTI D'AMORE

E infine i momenti. A partire dai momenti da trascorre insieme, quelli ordinari e quotidiani così come quelli straordinari ed eccezionali. Ho scelto di accompagnarli con delle parole e con dei gesti che gli facciano capire che ho scelto di stare con lui in quel momento. Oppure parole che possano creare attesa, desiderio, curiosità o sorpresa.

Ma anche i momenti per me (certo il lavoro, ma anche la bicicletta e la lettura) e i momenti per lui in cui rispetto i suoi tempi, i suoi spazi, le sue attività, momenti in cui lui possa sperimentarsi in autonomia dal montare i Lego al cimentarsi in cucina (ieri ha dapprima preparato e infine steso e farcito completamente da solo l’impasto per la pizza, con la mamma nei pressi ma senza che intervenisse. E la pizza - davvero buona - ce la siamo poi mangiata insieme a cena ).

E da ultimo, ma non per ultimo, ho imparato che la mia famiglia di origine è stato un momento a sé della mia vita: certo mi ha segnato e mi ha costretto a lavorare a lungo e intensamente su di me, ma che quel momento non è più.

E mio figlio si merita un momento tutto suo. Anche dentro di me.

Alberto Latorre

Ho già aiutato decine di professionisti a gestire stress e relazioni tossiche sul lavoro per poter vivere pienamente e al meglio il rapporto con i propri figli una volta tornati a casa.

2 anni

Per conoscere il percorso GENITORI CON LE ALI e richiedere la tua videochiamata gratuita, visita il sito e compila il modulo che trovi qui www.liberamentecpf.com/percorso-ali

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate