Irripetibili le somme del finanziamento infruttifero all’impresa insolvente: 
la pronuncia della Cassazione n. 4376 del 19 febbraio 2024

Irripetibili le somme del finanziamento infruttifero all’impresa insolvente: la pronuncia della Cassazione n. 4376 del 19 febbraio 2024

Con la sentenza n. 4376 del 19 febbraio 2024, la Corte di cassazione si è espressa in favore della nullità del finanziamento erogato all’impresa in decozione con irripetibilità delle somme versate ai sensi dell’art. 2035 c.c.

I Giudici di legittimità, in linea con i precedenti della Corte, hanno ribadito e sancito che:

 

se il mutuo è funzionale ad una strategia di occultamento del dissesto per finalità immorali non vi è dubbio che lo stesso vada giudicato illecito […] quanto al profilo causale, ed in particolare contrario al buon costume, come integrato dalle regole di leale svolgimento delle relazioni competitive di mercato. Con l'effetto che la pretesa di restituzione a titolo di indebito oggettivo del capitale prestato deve essere sanzionata con l'irripetibilità ex art. 2035 cod. civ., per essere espressione di un'iniziativa economica tutelata solo in misura condizionata all'utilità sociale e in concreto cedevole rispetto a valori parimenti protetti dall'ordinamento”

 

In particolare, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso promosso dal socio e ex amministratore della società fallita avverso la pronuncia del Tribunale di Bologna – emessa ad esito di un giudizio di opposizione allo stato passivo – che aveva negato l’ammissibilità del credito derivante dal rimborso del finanziamento erogato alla società per pagare gli stipendi e i fornitori.

 

Sul punto, la Corte ha rilevato che “le prestazioni contrarie al buon costume non sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale o della decenza, ma sono anche quelle che non rispondono ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibile, l'erogazione di somme di denaro in favore di un'impresa già in stato di decozione integrante un vero e proprio finanziamento, che consente all'imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incrementando l'esposizione debitoria dell'impresa trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine "predatoria" nei confronti di soggetti economici in dissesto.

E ancora: “Nulla vieta […] che un contratto giudicato illecito e, come tale, nullo ai sensi dell'art. 1418 cod. civ., possa essere soggetto anche alla sanzione civilistica dell'irripetibilità sancita dall'art. 2035 cod. civ., ove si ravvisino - proprio come accertato nella fattispecie in esame - prestazioni dettate da finalità per l'appunto immorali. Ed invero, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che un atto negoziale giudicato in contrasto con una norma imperativa o con l'ordine pubblico possa essere, al contempo, suscettibile di una valutazione in termini di contrarietà al buon costume, proprio per gli effetti di cui al citato art. 2035 cod. civ., con la conseguenza che "chi abbia versato una somma di denaro per una finalità truffaldina o corruttiva non è ammesso a ripetere la prestazione, perché tali finalità, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume”

 

La pronuncia, infatti, riconosce l’applicazione della categoria del buon costume – solitamente ancorato a profili della morale sessuale e della decenza – all’ambito economico e al buon funzionamento del mercato. In altre parole, è stato riconosciuto una valenza morale al buon andamento del mercato e al corretto svolgimento dei rapporti economici.

 

In particolare, il finanziamento in parola, essendo intervenuto a decozione già conclamata (e, quindi, non in una fase di mero squilibrio finanziario), ha di fatto ritardato l’emersione della stessa e l’apertura della procedura fallimentare.

L’erogazione delle somme – benché infruttifera – ha aggravato il dissesto dell’impresa che, proseguendo la propria attività senza una concreta prospettiva di risanamento, ha solamente continuato ad accumulare debiti.

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