Italia e fuga dei cervelli: un’opportunità mancata o una nuova prospettiva?

Italia e fuga dei cervelli: un’opportunità mancata o una nuova prospettiva?

Sembra ieri, eppure sono già passati trent’anni dal giorno in cui decisi di fare le valigie e trasferirmi per sei mesi a Londra, intenzionato di perfezionare il mio inglese. All’epoca avevo ventidue anni e avevo già trascorso due estati a Dublino per studiare la lingua. Le cose erano semplici: mio padre mi trovò un lavoro come cameriere e lavapiatti in una pizzeria al centro di Dublino gestita da un mio concittadino, e in poco tempo mi ritrovai immerso nella mia prima esperienza lavorativa all’estero.

Era il 1994 e, dopo le avventure irlandesi, mi sentivo pronto per esplorare Londra. Quella che doveva essere una breve esperienza si trasformò in anni. Dopo qualche anno trascorso a fare lavori di ogni tipo per mantenermi, decisi di iscrivermi all’università in Accounting and Finance, con mia grande sorpresa, scoprii che l'Unione Europea copriva le spese universitarie, mentre il governo britannico mi offriva borse di studio e prestiti agevolati. Raggiunsi traguardi che in Italia sembravano lontani, laureandomi e accedendo a un tirocinio in PwC, una delle aziende di revisione contabile più importanti al mondo. Questo mi aprì le porte a opportunità lavorative che non avrei mai immaginato.

Grazie a queste esperienze, ho potuto crescere in un contesto internazionale, scoprendo che il “valore” di una persona all’estero si misura dalle competenze e dal merito, più che dalle conoscenze. Se non avessi mai fatto questo passo, non avrei mai scoperto quel “mondo” che rimane spesso inaccessibile a chi non lascia l’Italia.

Oggi molti giovani italiani compiono lo stesso passo, spinti da sogni e aspirazioni che in Italia trovano difficile realizzare. Secondo Forbes, il nostro Paese si colloca all’ultimo posto in Europa per capacità di attrazione dei giovani, ospitando solo il 6% di europei, contro il 43% della Svizzera e il 32% della Spagna. Molti dei nostri giovani emigrano per migliorare le proprie opportunità di lavoro (25%), mentre altri cercano di ampliare la loro formazione (19,2%) o di ottenere una qualità della vita migliore (17,1%). Al Nord Italia, il 35% dei giovani è pronto a trasferirsi all’estero, un fenomeno che sottolinea come l’Italia stia perdendo progressivamente le sue risorse migliori. Non sorprende che l’80% dei giovani italiani all’estero abbia un impiego, contro il 64% di chi rimane.

Questa “fuga dei cervelli” è un problema economico e sociale di ampio respiro. Secondo stime recenti, l’Italia ha perso circa 134 miliardi di euro negli ultimi tredici anni a causa della fuga di giovani talenti. Mentre le imprese italiane faticano a trovare persone qualificate, il dibattito resta incentrato su divisioni politiche e sul solito teatro delle parti.

Molti vedono la fuga dei cervelli come un problema, ma con una visione strategica, potrebbe rappresentare un'enorme opportunità. La nostra cultura tende a considerare chi parte come chi “abbandona” il Paese, un traditore che sceglie la propria carriera anziché contribuire al miglioramento dell’Italia. È una mentalità miope, che ignora il valore dell’esperienza internazionale e della formazione acquisita all’estero. La fuga dei cervelli dovrebbe invece essere vista come una risorsa: immaginate i giovani talenti italiani come satelliti lanciati per raccogliere competenze, che al ritorno potrebbero arricchire il Paese di nuove conoscenze e visioni.

È qui che l’Italia sta perdendo una grande occasione. I fondi europei e le risorse pubbliche potrebbero essere utilizzati per incentivare i giovani a fare esperienze all’estero, con percorsi strutturati per favorirne il rientro. Paesi come l’India o la Cina, ad esempio, hanno creato programmi specifici per far rientrare i talenti emigrati e reintegrarli nel sistema, riconoscendo l’importanza del know-how acquisito altrove.

Se l’Italia investisse in incentivi e agevolazioni mirati per il rientro dei cervelli, si potrebbe accedere a un capitale di competenze preziose e diversificate. Le politiche di rientro potrebbero includere non solo sgravi fiscali ma anche programmi di reinserimento, borse di studio e incentivi per l’avvio di start-up e per la ricerca. Ciò comporterebbe non solo un aumento di capitale economico, ma anche di know-how e innovazione.

Inoltre, le imprese italiane dovrebbero essere più "proactive" nel collaborare con i giovani italiani all’estero, mantenendo un contatto con questi talenti e mostrando interesse per la loro esperienza. Ad esempio, potrebbero creare iniziative come partnership con università estere, programmi di “mentoraggio” che permettano ai giovani di rientrare in Italia con ruoli valorizzati dalle competenze acquisite.

In fondo, non è la fuga dei cervelli a essere il problema: ogni esperienza internazionale rappresenta un arricchimento per chi la vive, non una perdita per il Paese d’origine. Il vero nodo è la mancanza di risorse e strategie che favoriscano il rientro dei talenti, creando le condizioni necessarie per accoglierli e permettere loro di contribuire al sistema Italia.

L'Italia ha l’opportunità di riconoscere il valore dei giovani che hanno vissuto esperienze all’estero, trasformando la fuga dei cervelli in un patrimonio di conoscenza. Ogni italiano all’estero, in fondo, sogna di ritornare a casa, ma solo se viene data una reale opportunità di crescita e realizzazione.

 

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