La crisi di identità della Cassazione e la giustizia tributaria

La crisi di identità della Cassazione e la giustizia tributaria

Nella Relazione sulla amministrazione della giustizia 2015 il primo Presidente della Corte di cassazione, Giovanni Canzio, ha denunciato uno "stato di profonda e visibile crisi di funzionamento e di identità" della Corte, al quale concorre purtroppo la situazione della giustizia tributaria.

Dell'attuale arretrato della Corte, circa 105.000 procedimenti, il 32,7 per cento e' riferibile alla sola materia tributaria. Delle nuove cause del 2015 (29.966) quelle di pertinenza della sezione Tributaria sono ben il 38,5 per cento. Non ci si deve stupire, precisa il Presidente Canzio, se la qualità della giurisdizione di legittimità rischia di scadere, come è reso palese dal moltiplicarsi dei contrasti interni e della scarsa incidenza dei significativi principi di diritto affermati dalla Corte. La Corte, per il suo primo Presidente, non riesce ad assicurare la funzione nomofilattica, anche a causa dell'elevato carico di lavoro al quale è chiamata.

E' un'analisi in parte condivisibile e per chi si occupa di questioni fiscali, tutto sommato, non è una novità. Avrebbe richiesto forse qualche ulteriore considerazione critica. I contrasti interpretativi interni alla stessa Sezione tributaria, con buona probabilità, non dipendono solo dall'elevatissimo numero di cause ad essa attribuite. Ci sono ragioni ulteriori. Pensiamo alla nota vicenda dei diritti del contribuente nel corso del procedimento. Dopo alcune pronunce delle Sezioni Unite tra il 2013 e il 2014, che avevano riconosciuto con fermezza il diritto del contribuente ad essere sentito dall'Amministrazione fiscale prima della contestazione nei suoi confronti e con solidi argomenti avevano affermato un diritto generale ed immanente al contraddittorio procedimentale, la Sezione tributaria ha avviato una graduale demolizione dei principi poc'anzi affermati dal massimo consesso. Con una serie di pronunce (a tratti tra loro contraddittorie) ha messo via via in discussione l'impianto offerto delle Sezioni Unite, introducendo una divaricazione interpretativa fatta di dettagli e minuterie che poco hanno a che fare con l'interpretazione uniforme del diritto. Sino ad una nuova pronuncia delle Sezioni Unite nel 2015, a larghi tratti dissonante dai precedenti del 2013 e 2014. Ecco: qui i numeri non c'entrano. Le questioni che sono giunte al cospetto della Sezione semplice sono assai lineari: esiste o no un diritto generale al contraddittorio procedimentale? Vale, tale principio, anche in assenza di una norma che lo preveda espressamente? Assume rilievo la distinzione tra tributi "armonizzati" e non? E così via. Nessuna di queste questioni di diritto era estranea ai principi già affermati dalle Sezioni Unite, nessuna ragione (certamente non il sovraccarico di lavoro...) dunque per rimettere in discussione i chiari approdi del Collegio più alto se non probabilmente una... diversità di vedute tra i componenti dei diversi collegi, che ha prodotto una "nomofilachia incerta".

Se l'analisi non è pienamente convincente, desta peraltro ulteriori perplessità anche la proposta di soluzione ventilata a fronte dello stato di crisi della funzione nomofilattica, almeno per ciò che attiene al comparto della giustizia tributaria. Il Primo Presidente ritiene che si debba ripensare con spirito innovativo al sistema della giustizia tributaria di merito come giustizia speciale, cioè alle attuali Commissioni tributarie Provinciali e Regionali. Si chiede se nel "perverso intreccio tra il proliferare delle fonti normative e le variegate letture giurisprudenziali" non sia preferibile istituire presso i tribunali e le corti d'appello sezioni specializzate in materia di tributi. Condivisibile la premessa, ma i numeri della giustizia tributaria di merito (circa 500.000 liti pendenti) rischiano di travolgere la giustizia ordinaria già in forte affanno. Il che, in ultima analisi, non farebbe che aggravare ulteriormente lo stato di crisi della stessa Suprema Corte.


MAURIZIO MELONI

DOTT.COMMERCIALISTA DIFENSORE TRIBUTARIO presso STUDIO TRIBUTARIO AZIENDALE

7 anni

Professore giro il suo commento ai governanti sperando l'ascoltino ....basterebbe anche solo una volta!

Francesco Tundo

Professor of Tax Law

7 anni

Caro Pierpaolo, il tuo ragionamento è condivisibile. Sono gli stessi giudici tributari (e non solo loro, ovviamente) che da tempo chiedono una radicale riforma dell'assetto ordinamentale della giustizia tributaria. E ci sono anche alcuni disegni di legge. Uno di essi, ripreso evidentemente dal Presidente Canzio, è quello che prevede l'assorbimento nella Giustizia ordinaria. È chiaramente impraticabile, principalmente in ragione del carico di lavoro che intaserebbe definitivamente la giustizia civile. Altre proposte in campo, pur meritevoli di miglioramento, sembrano meno inadeguate. La sensazione però è che ci sia una forte resistenza alla riforma anche in alcuni comparti ministeriali, probabilmente anche in considerazione del fatto che la situazione attuale tutto sommato amplia le prerogative dell'amministrazione. Siamo lontani, insomma, dalla "perfezione del triangolo equilatero", ma la circostanza più significativa e' che pare non ci sia la volontà di raggiungerla.

Pierpaolo Zaccarini

Avvocato | d'Aniello & Associati

7 anni

Condivido le osservazioni di Tundo. Mi limito ad aggiungere due soli snapshot che lo spazio consente. Il primo.Vero è che nel ns ordinamento non vige la regola dello stare decisis, ma il principio del libero convincimento del giudice, soggetto solo alla legge. Non è pero ammissibile che si declini nell'arbitrio. L'abbandono delle indicazioni nomofilattiche dovrebbe cioè essere possibile solo in presenza di effettivi e motivati presupposti di novità. Si tratterebbe cioè di pretendere sentenze recanti motivazioni sviluppate non solo in direzione dell'iter seguito nella qualificazione del fatto e nella sussunzione giuridica, ma anche dell'esplicitazione del perché sia necessario dar luogo al superamento di un consolidato indirizzo di legittimità. il secondo. Quanto all'ipotesi dell'abrogazione del giudice speciale tributario, in coerenza con il principio di unità giurisdizionale, peraltro inesistente nel ns Paese, c'è da chiedersi se non sia più realistico limitarsi ad affrontare piuttosto le due inadeguatezze che più gravemente affliggono il sistema vigente, ossia il tema del deficit anche apparente della sua indipendenza e quello del modo di svolgimento dell'attività, secondo uno schema più professionale e non solo onorario.

Dopo l'eliminazione della Comm. Trib. Centrale non è più procrastinabile la riforma di tutto il sistema giustizia tributaria con solo giudici a tempo pieno...

Il mio Maestro, ridimensionando il ruolo delle Sezioni Unite rispetto a quella Tributaria, diceva: nella prima c'è soltanto il relatore che studia la materia fiscale, nell'altra ce ne sono cinque. Per me l'unica soluzione seria per riportare la Cassazione (le Sez. civili) al ruolo che dovrebbe avere è una riforma dei gradi di merito con giudici togati. Come in ambito civile, dopo aver perso in Tribunale e Corte d'appello difficilmente si va in Cassazione, lo stesso succederebbe in ambito tributario con magistrati a tempo pieno.

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