La crisi economica e il futuro del capitalismo

La crisi economica e il futuro del capitalismo

Le frasi dell'ex Presidente della FED Alan Greenspan: "Ho trovato un'imperfezione nel modello che percepivo come la struttura fondamentale che definisce il funzionamento del mondo, per così dire", e del Presidente della BCE Mario Draghi: "Si è rotta la cinghia di trasmissione" (tra la politica monetaria e l'economia reale), rendono chiara la dimensione della crisi. Una crisi non soltanto finanziaria, ma anche di valori, che mina, alla base, il modello capitalistico.

Per comprendere le cause della crisi del 2008 è necessario però, partire dagli albori della moderna economia, analizzando il percorso che ci ha portato all'attuale situazione, evidenziando le influenze di alcuni gruppi di potere.

Le grandi battaglie politiche del XIX secolo, per individuare quale soggetto dovesse essere legittimato a "battere" moneta e quale collaterale dovesse garantirla, si sono concluse con l'affermarsi delle banche centrali e dell'emissione garantita da titoli di stato. Nel XX secolo il dibattito si è spostato sull'intervento dello Stato nell'economia, e si è concluso negli anni '80 con una deregulation che ha favorito le multinazionali e gli speculatori. Da oltre 40 anni la spesa pubblica ha perso la sua funzione anticiclica, diventando una componente strutturale dell'economia. Questa funzione è stata affidata, esclusivamente, alla politica monetaria, che opera inondando il mercato di liquidità nei periodi di crisi. Questo eccesso di liquidità, a causa di fenomeni quali derivati, globalizzazione e carry trade, ha consentito movimenti di capitale di tale entità da provocare la crisi di alcuni Stati sovrani. 

Analizzando la storia americana si possono individuare alcuni personaggi che hanno cercato di contrastare le lobby dominanti ed hanno provato a rendere il sistema economico più equo e meno soggetto alle speculazioni di alcuni.

Purtroppo con l'abolizione del Gold Standard nel 1971 la guerra tra potere politico e potere finanziario si è risolta con la definitiva vittoria di quest'ultimo. Da quel momento in poi, tutte le decisioni sono state rivolte ad una deregulation sempre più spinta e all'annacquamento dello Sherman Act, che ha consentito la creazione di aziende, talmente grandi, da fatturare più di uno Stato, e, pertanto, ad essere considerate troppo grandi per fallire.


Stefano Casalboni

Consulente di direzione aziendale - Controllo di gestione

7 anni

Complimenti Giovanni! Leggerò con molto interesse il tuo libro.

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