La deriva filosofica del gioco delle formine
Ho sempre ritenuto che la consulenza sia un’attività che richiede di avere una visione d’insieme del perimetro da dominare e possedere le tecniche necessarie.
Nella prima fase dell’attività consulenziale troviamo la “raccolta” e la “sistematizzazione” delle informazioni che saranno utilizzate per elaborare l’analisi della situazione e poi indicare le azioni da compiere per raggiungere lo scopo, come ad esempio proteggere i sistemi informatici o i dati personali, piuttosto che conseguire la certificazione di qualità.
È in questa fase che si ricorre all’utilizzo di “modelli” che hanno il compito di semplificare la complessità della realtà, frequentemente conformi a regole fissate nei cosiddetti “standard” ([1]).
Così ci accingiamo ad affrontare la realtà muniti di procedure di alto livello (che ci indicano come procedere per utilizzare al meglio le norme tecniche in cui consiste lo standard), armati di liste di controllo (che ci indicano in modo proceduralizzato ([2]) cosa occorre sia fatto), e forniti di documenti, flow chart, tabelle provenienti dalle best practices,
Cosa può accadere?
Di trovarci difronte ad un’informazione per la quale non troviamo il contenitore adatto, nonostante abbiamo ricontrolliamo l’elenco, cercato la cella nella tabella, sfogliato i flow chart.
Perché la realtà non entra tutta o non entra bene negli schemi, che pure hanno la pretesa di contenerla completamente dentro di sé, per di più sistematizzandola, perché il reale si dimostra sempre più complesso di qualunque modello sia stato elaborato, sfugge anche alle più ampie classificazioni ([3]) e nomenclature ([4]).
In quel momento ci accorgiamo che l’informazione che si è rivelata eccentrica non è un dettaglio trascurabile, perché non basta una piccola “deformazione” del modello codificato negli standard per capire “come e dove” collocarlo all’interno dello schema.
No, il dettaglio ci parla di una rottura del tessuto logico e quindi siamo chiamati a “elaborare un nuovo modello” che consenta di contenere il dettaglio stesso e l’impalcatura dentro cui è collocato, ed in modo armonico con il resto delle informazioni già censite e sistematizzate.
Ci rendiamo conto, tra irritazione e divertimento, che il “gioco delle formine” che avevamo apparecchiato non funziona: il dettaglio non corrisponde per forma e dimensione a nessuna delle aperture presenti sulla superficie della scatola e quindi non ci resta che costruire una nuova scatola, con nuove orme, per infilarci dentro il dettaglio e tutto il resto della realtà che dobbiamo dominare.
Come elaboreremo il nuovo modello?
Lo deriviamo dalla realtà oppure dagli schemi della nostra mente?
In altri termini, utilizziamo le categorie aristoteliche (che sono elaborate a partire dalla realtà per come si manifesta), oppure le categorie kantiane (che sono funzioni a priori con cui ordiniamo la realtà fenomenologica)? Prima ci appoggiamo all’ontologia e poi usiamo la logica, o viceversa?
Pare che il terreno d’incontro tra Aristotele e Kant siano i costrutti semantici del discorso ([5]): con un po' di licenza, è come dire che esiste una sequenza logica e cronologica di parole che è in grado di rappresentare esattamente, coerentemente, complessivamente il significato di una realtà, indifferentemente se siamo partiti dalla realtà che si manifesta (nomina sunt consequentia rerum) o dalle funzioni dell’intelletto (res sunt consequentia nominum).
Dunque, prendiamo la parola (il significante ([6]) con cui è chiamata l’informazione eccentrica (il significato), la collochiamo nel suo campo semantico ([7]) scoprendo relazioni e assonanze, lo disponiamo in un ordine che gli dà il “senso” che ci orienterà nell’elaborazione del (nostro!) nuovo modello, che sarà l’incontro del dettaglio (res) e degli schemi (nomina), ma solo di quelli che sono già dentro la nostra mente.
___ . ___
Sulla spiaggia a giocare con le formine, troviamo un tappo di sughero che non entra nella scatola e restiamo senza parole.
___ . ___
Sulla parola.
L’importanza della parola: proviamo un’emozione, ma se non abbiamo (attenzione: avere non trovare) le parole non la sappiamo esprimere, non ce la possiamo godere fino in fondo, non la possiamo condividere con gli altri, l’energia che ha prodotto resta al nostro interno. A sostegno, potremmo citare l’uso miserevole delle emoticon, l’immagine sintetica (siamo certi che le usiamo solo per risparmiare tempo? Per farci cosa?) e caricaturale delle emozioni.
Il potere della parola: nelle preghiere, quando invochiamo dio (qualunque sia il suo nome sotto qualunque cielo), ci auguriamo che voglia ascoltare le nostre suppliche: quindi le parole con cui sono espresse. Ed interpretiamo il suo silenzio come fosse una risposta, perché anche la sua non-risposta è (un po' come il “non-essere è in quanto non-essere” di Parmenide) uno dei modi con cui dio può rispondere (oltre alle parole e le azioni), forse il modo che consente a noi di riempire (di significati) l’assenza delle (sue) parole (significanti).
L’apoteosi della parola: il prologo al vangelo secondo Giovanni ([8]) inizia con la frase: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo”. Verbo (parola) è la traduzione di Logos che ha molti significati, tra cui pensiero, scelta, ma qui Verbo è il “terminale” del ragionamento che porta a Dio, è “espressione” di Dio, addirittura è “Dio”!
La tragedia della parola: i nostri pensieri sono fatti di parole, che noi leggiamo per conoscere il nostro pensiero (provate a pensare ad un oggetto, un’azione senza usare le parole), e perciò conoscere poche parole coarta la mente ad una povertà quantitativa e qualitativa di pensieri.
[1] Documenti di natura tecnica redatti con il consenso di tutte le parti interessate, emessi da enti dedicati e applicabili su base volontaria.
[2] Modo per eseguire un’attività attraverso una successione logica (elenco) di azioni compiutamente descritti e rigidamente definiti.
[3] Suddivisioni in raggruppamenti.
[4] Elenchi di termini.
[5] Dizionario Sabatini Coletti. Costrutto semantico: disposizione, ordine dei sintagmi nella frase; significato logico di una frase, di un'espressione; senso, coerenza.
[6] Il contenitore dell’idea, l’espressione del pensiero compiuta e non involuta come i gesti, il frutto dell’attivazione di determinati circuiti della mente.
[7] Area che si riferisce allo stesso significato popolata da più parole che in qualche misura lo condividono.
[8] Novum Testamentum graece et latine, Pontificio Istituto Biblico, nona edizione, 1964.La Bibbia, Edizioni Paoline, sesta edizione, 1990.
CEO & Founder CREMETE SRL / CEO & Founder TALENCE SRL
6 anniSei sempre semplicemente geniale...