La dipendenza da smartphone non è un problema tecnico, ma umano
Ben venga lo stare col fiato sul collo delle multinazionali tech come Apple perché prendano precauzioni contro gli eccessi degli smartphone.
Ben venga chiedere regole per una tecnologia il più possibile equa e non manipolatoria.
Ben venga l’ideazione di strumenti che permettano ai genitori di evitare la dipendenza dei figli dalla connessione.
Però, c’è un però. Occhio perché a questa ondata di responsabilizzazione verso l’alto (“ci devono pensare le industrie tecnologiche”) può corrispondere una deresponsabilizzazione verso il basso.
Scuole, famiglie, altre agenzie di socializzazione potrebbero sentirsi dispensate da ciò che invece sta a loro ed è urgente fare: azioni educative e culturali per una vita online proficua, produttiva, degna, sostenibile.
Delegare alle multinazionali (o al legislatore) le sfide dell’umanità iperconnessa, è solo una grande rinuncia. Occorrerebbe piuttosto che, di pari passo con il fiato sul collo sui grandi “in alto”, ci sia anche un’immissione di ossigeno in basso, che dia respiro in casa, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, per aiutare a dare significato e senso alla vita connessa, che è ormai la nostra vita quotidiana. Non basta spegnere o ridurre “perché fa male”, bisogna anche costruire percorsi “per fare bene” con consapevolezza sulle possibilità della connessione.
Non bastano i provvedimenti tecnici, i filtri, gli automatismi (che comunque ci vogliono e sono la base), qui c’è da occuparsi anzitutto del “fattore umano” nella vita immersa nella tecnologia.
Tutti a più riprese abbiamo ricevuto il messaggio “Di’ a tutti i contatti di Messenger che il XY è un hacker...”. Ebbene ci vuole più tempo a inoltrare il messaggio fasullo che a copiare e incollarlo su Google per controllare se è vero. La domanda da farsi è: se c’è la possiblità facile e immediata di verificare, perché molti continuano a inoltrarlo senza cercare riscontri?
Non sarà mai uno strumento tecnico, un’app o un algoritmo da solo a correggere la tendenza umana alla creduloneria e alla pigrizia intellettuale. È una questione di uso della libertà, una cosa davvero complessa che non si risolve in modo tecnico.
Per quella ci vogliono genitori, insegnanti, educatori, uomini di cultura, comunicatori, divulgatori scientifici, giornalisti, ognuno che faccia il suo lavoro dal suo posto. L’importante è che quel posto lo ricopra per dare le sue proprie risposte nel nuovo scenario iperconnesso e non si limiti a dire che ci deve pensare qualcun altro.