La familiarità dissolve la tensione...

La familiarità dissolve la tensione...

Pochi giorni prima dell'evento del web marketing festival, mi trovai a scambiare alcune impressioni con una mia amica. In quella occasione le dissi più o meno questo: "il 9 luglio a Rimini farò la mia uscita pubblica più impegnativa, e sento una grande responsabilità."

Ora l'evento è terminato e quello che mi sento di dire, fuori dal coro delle analisi che sono state fatte nelle ultime ore, semplicemente rivolgendomi come sempre, al mio pubblico, è più o meno questo, lo scrivo qui come mi viene, senza troppe rielaborazioni:

Ogni volta davanti al pubblico, sia piccolo che numeroso, tremo come una foglia e dico a me stesso, perché deve essere così terribilmente angosciante salire su un palco, perché così temibile, perché lo faccio... poi mi rispondo "vai, emozionali se puoi e regala loro una esperienza vera". Ma è proprio allora che temo di non essere un abile oratore, un incantatore, o forse semplicemente non voglio esserlo. Nelle manciate di ore che mi separano da un evento, tutto si rallenta, il tempo si dilata nella mente, e cerco il silenzio anche nella folla; mi estraneo, penso, penso tantissimo, i gesti si fanno più lenti, come se volessero accompagnare il mio stato d'animo incontro alla sua quiete, poi una sigaretta, un'altra, lo sguardo perso nel vuoto, sembra assente ma non lo è la mente.


Mi carico come una molla compressa, energia potenziale che mi riempie la testa prima di essere sprigionata, quel giorno, in quel momento, davanti al pubblico. E di nuovo ho paura di non farcela, alcuni gesti meccanici e scaramantici mi aiutano a sostenere il peso della tensione, in quegli istanti che mi separano dal via. Da quel momento non posso più tornare in dietro, posso solo avanzare passo dopo passo o meglio parola dopo parola, posso solo dare, anzi devo solo dare. E siccome, come ho detto, non mi piace fare l’oratore, le parole le conto come un contagocce che stilla un antibiotico, una in meno è inefficace, una di più potrebbe far male, insomma per me le parole sono una cosa da gestire con cura. Nel pensare a cosa avrei detto, ero consapevole che salire su un palco, parlare ad un microfono, davanti ad un pubblico, fa si che le parole inevitabilmente vengano percepite come provenienti dall'alto, e per questo assumono talvolta un tono non paritario.

Già, stare su un palco non è un atto profondamente e autenticamente paritario fino in fondo, non può esserlo per sua stessa natura, c'è una predisposizione all'ascolto che ha una sia pur piccola componente di "supinità", e allora è inevitabile che ti chiedi come ti affrancherai da questo ruolo, bello e pericoloso allo stesso tempo, che è quello dell'oratore? Ho ascoltato più volte quella voce interiore, fatta di sensazioni, riflessioni, emozioni di vario genere. Ma dovevo rispondere a quella domanda: cosa dirò a chi verrà ad ascoltarmi?

Non volevo rischiare di essere banale, autoreferenziale, non volevo cadere nella trappola di vendere l’illusione di un qualcosa che avrebbe trascinato il pubblico in qualche risata dai loro posti a sedere, strappare un applauso, li per li, ma poi uscendo dall’aula rischiare che dicessero: si, ma che cosa ha detto questo, alla fine? Mentre cercavo dentro di me la chiave che aprisse lo scrigno in cui ero certo fosse riposta la risposta alla mia domanda, ad un certo punto ho pensato al motivo che mi aveva spinto a candidarmi per questa esperienza, e l’ho visto chiaramente davanti a me.

Volevo trasmettere, anche in quella mezz’ora, qualche cosa su cui le persone potessero lavorare in seguito, non solo case studies ma cosa c’era dietro, il perché e il come, su questo ho basato il mio lavoro di preparazione, ed ero consapevole che non potevo e non dovevo fare un corso, in quel poco tempo non avrei potuto. Quando ho iniziato a parlare, ho ricordato a me stesso che le parole sono come le gocce di un antibiotico, e piano piano ho provato la sensazione che tutte quelle persone, alcune sedute a terra, che prendevano appunti e fotografano le slide man mano che si succedevano, mi stavano dando la loro risposta. La tensione è svanita, non perché ormai mi fossi abituato a stare li sopra, ma perché vedevo sguardi di ragazzi e ragazze, diretti verso di me e verso le mie slide, come se stessero guardando un film, erano concentrati, e quando alcuni loro occhi si incrociavano con i miei sembravano volermi dire, “vai avanti”.

Ecco, questa familiarità ha fatto dissolvere la tensione.

Giunto a questo punto del racconto potrei scrivere altre cose, ma vorrei lasciarle chiuse dentro la mia mente e nel mio cuore, affinché non svelando tutto, ma proprio tutto, anche io possa ricordare a lungo questa mia esperienza, con voi! Vicini e lontani l'avete resa indimenticabile. Grazie.

Massimo Lico

Alessandro Piotto

grafico commerciale presso PENGO SPA

8 anni

Allora com'è stata quest'esperienza Massimo? :)

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