La mostra Alfabeto segnico domenica chiude alla Fondazione Stelline di Milano e si sposta al CAMeC di La Spezia
Il 30 ottobre chiude, alla Fondazione Stelline di C.so Magenta 55 a Milano, la bella rassegna Alfabeto segnico, curata da Alberto Fiz, che mette in relazione le opere di due grandi artisti italiani, Giuseppe Capogrossi e Achille Perilli con quelle degli spagnoli Joan Hernandez Pijuan e di Sergi Barnils. Un progetto espositivo per rintracciare le strutture testuali che si nascondono all’interno dell’immagine, dalla fine degli anni ‘50 a oggi. Una mostra che ha coinvolto Italia e Spagna con quattro artisti di generazioni differenti impegnati nella ricerca di un segno primario, sempre attuale.
Dal 4 novembre la mostra si sposta a La Spezia, al Museo d'arte Moderna e Contemporanea, CAMeC, ampliata da nuovi importanti prestiti.
Saranno più di 40 le opere esposte in mostra provenienti da collezioni pubbliche e private. Sono stati coinvolti il MaRT di Rovereto, le Gallerie d’Italia – Piazza Scala (sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano), il Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, lo stesso CAMeC che possiede opere significative di Perilli e Capogrossi, assieme a importanti gallerie private: Mazzoleni, Tega, Tornabuoni, @marcorossi artecontemporanea e Niccoli. Sono molte le testimonianze fondamentali presenti in mostra, tra cui: Emploi du temps (1959) di Perilli che, con quest’opera emblematica, vinse il Premio Lissone; Superficie 678 – Cartagine (1950) di Giuseppe Capogrossi; sempre di Capogrossi, Superficie 399 (1961), che appartiene alla collezione VAF di VolkerFeierabend.
Il segno è una forma espressiva che parte da molto lontano, dai graffiti preistorici fino ad arrivare ai loghi, ai simboli, alle emoticon contemporanee che sono entrati sempre di più nella nostra vita quotidiana, come se fosse necessaria una semplificazione del messaggio. Ma i segni contemporanei recuperano la loro dimensione emozionale proprio in base ad "una consapevolezza trasmessa dai maestri dell’astratto-informale e riproposta oggi con determinazione e persino con ironia" (A.Fiz).
La mostra vuole essere l’occasione per indagare un processo linguistico in continua evoluzione che si sviluppa, nel tempo, con una serie di varianti e combinazioni riscontrabili nelle opere dei quattro artisti.
Non scrittura, ma una forma-segno, Capogrossi e Barnils, Perilli e Pijuan, pur nelle differenze dei loro percorsi stilistici, sono legati da un sottile filo rosso evidenziato dall’aggregazione costante degli elementi in una continua rivitalizzazione del segno archetipale.
Il catalogo, in italiano e inglese, è pubblicato da Silvana Editoriale. Insieme a un saggio di Alberto Fiz, contiene testimonianze critiche su ciascun artista e preziosi materiali storici messi a disposizione dalla Fondazione Archivio Capogrossi e dall’Archivio Achille Perilli.
Responsabile comunicazione presso Marcorossi artecontemporanea
7 anniGrazie Claudio Trementozzi!