La motivazione al lavoro, tra aforismi e camminate sui carboni ardenti
Mi imbatto costantemente in siti, articoli e offerte commerciali che trattano di “interventi motivazionali“: dalla raccolta di aforismi illuminanti, mandati ogni giorno via mail, ai prodotti mitologici metà corso di formazione e metà incentivo organizzativo, con finalità, appunto, motivanti.
Essendo un tema che mi appassiona, ho cercato di informarmi e studiare il più possibile: ho letto libri, partecipato a seminari, teambuilding e camminate sui carboni ardenti (sì, l’ho fatto, non guardatemi male, era per amore di scienza), verificando quale incredibile e florido business ruoti intorno a questo tipo di esigenza aziendale: risvegliare una qualche folgorazione interiore che sottragga il manager (o il collaboratore) dallo stato catatonico e da una scoraggiante routine quotidiana, inevitabilmente logorante, a lungo andare.
Ora, torniamo ai fondamentali: cosa si intende per motivazione?
Facendola semplice, direi che si tratta di quella spinta che porta l’individuo all’azione. Ognuno matura nel tempo le proprie leve, il proprio bastone e la propria carota, nel tentativo di ridurre il gap tra una situazione attuale e una desiderata.
Così, c’è chi ha bisogno della pacca sulla spalla, chi è sensibile alla critica e alla frustrazione, chi necessita del supporto e chi dell’autonomia.
Fin qui niente di strano, finché il mio peregrinare cognitivo non mi ha condotto a una scomoda consapevolezza: quasi nulla di quello che viene proposto (venduto) come “motivante” o di “ispirazione” mi motiva o mi ispira. Anzi, sortisce proprio l’effetto opposto: mi infastidisce e ammazzerei tutti (metaforicamente parlando, s’intende).
Dopo essermi chiesta in quanti vivono la mia stessa condizione e aver valutato l’eventualità di andare in analisi, ho tentato di perdonarmi e spiegare la mia refrattarietà alla cosa dicendomi: “Ehi, non siamo tutti uguali. Quello che ti sembra terribilmente stupido e deprimente potrebbe, effettivamente, risultare entusiasmante per qualcun altro“.
Ma il vero choc è stato notare come molto di ciò che mi ha gratificato e “acceso” per un periodo, più o meno lungo, ha semplicemente smesso di farlo. Così. Senza preavviso. Senza una cartolina.
E se non mi fossi costretta da sola a decodificare il fenomeno – cosa che difficilmente viene incoraggiata dentro un’azienda – “Massì, Chiara, tranquilla: oggi, invece di lavorare, interrogati sui tuoi valori profondi e sulla vibrazione prodotta dai compiti che ti vengono assegnati, fanne un report e consegnalo al tuo superiore che sarà lieto di allinearsi alle tue nuove pulsioni e ambizioni”. Roba da fantascienza. – avrei perpetrato una macerazione disfunzionale che si sarebbe inevitabilmente abbattuta sul rendimento.
Non credo sia semplice, credo sia necessario prendersi del tempo per capire. E il tempo non c’è.
Se ragioniamo sulla gestione di un ambiente professionale complesso, un gruppo di lavoro, per esempio, c’è da aver paura poiché, da un lato, non possiamo fare a meno di motivazione, dall’altro, non si tratta solo di comprendere cosa risulti stimolante per ogni individuo, ma anche di azzeccare il timing dello stimolo (alle 16 potresti aver bisogno di una pacca sulla spalla e alle 18 di un calcio negli stinchi) e, in più, di lavorare affinché ognuno prenda coscienza di cosa trovi davvero potenziante e cosa, al contrario, lo fa sbadigliare o sorridere, risultando, di fatto, negativo per la performance.
Posto che gestire le persone significa possedere una certa empatia e capacità di ascolto, faccio fatica a credere che un manager possa essere contemporaneamente economista, psicologo, sociologo, tecnico, esperto di zen e campione mondiale di camminata sui carboni ardenti.
Eppure, in questo particolare momento storico, ricreare le condizioni di fiducia e benessere reciproco (azienda-lavoratore) non è per niente un optional o un capriccio delle realtà più all’avanguardia.
Formatore alla comunicazione, Recruiter, Trainer, Counselor.
8 anniTrovo interessante la riflessione riportata dall'articolo soprattutto quando sottolinea che siamo diversi con tutto quello che cio' comporta. Aggiungo un particolare che apparira' ovvio ma che spesso non si considera, ovvero che la motivazione deve indirizzarsi verso un preciso oggetto e che questo movimento lo si condivide con qualcuno. Progetto condiviso e compagni di ventura divengono quindi gli elementi cardine su cui lavorare affinche' la motivazione dei singoli sia massima.
Formatrice - project manager
8 anniMolto d'accordo, resta il fatto che collaboratori o manager sono persone con desideri, sogni e obiettivi che non sempre si trasformano in motivazioni. Lo sforzo per agire e muoversi occupa la soggettività delle persone, le quali devono trovare in sé le motivazioni che attivano un comportamento; azzardo un paragone: il "circuito della motivazione" e come il lavoro del cuore, e deve regolare la dinamica espansiva e conservativa del mondo motivazionale di ognuno di noi.
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8 anniHai centrato la sfida maggiore per chiunque gestisca un gruppo di persone e che necessiti di un alto livello di prestazioni. Ci sono aziende, come quella per cuo lavoro, che fanno della motivazione del personale e del suo sviluppo i valori cardine per la crescita. Fra gli obbiettivi ed i rsultati ci sono le prestazioni delle persone: da una parte esistono metodi di ingaggio più o meno collaudati, dall'altro la sensibilità e la capacità di "coaching" di chi guida il gruppo. Gli strumenti sono tanti ma occorre un investimento formativo per insegnare ai manager ad utilizzarli; è qui dove le aziende si distinguono oggi.