La necessità del riposo, per fermarsi e ripartire con energia, speranza e lucidità.
Anche quest'anno, da laico, prendersi alcuni minuti per leggere e riflettere sulle parole dell’arcivescovo Delpini pronunciate alla vigilia di Sant'Ambrogio è un regalo per l'anima che bisogna concedersi.
La riflessione che ci propone quest'anno riguarda la stanchezza che permea la nostra società. È una stanchezza profonda, trasversale, quasi esistenziale, che sento come mia e che vedo attorno a me: attraversa generazioni, comunità, città e la nostra Terra.
La gente è stanca. È stanca di un mondo appiattito, dove le relazioni si trasformano in esperimenti fragili, gli oggetti definiscono la felicità e quell’“oltre” che dà profondità al desiderio e significato al futuro sembra smarrito. È la stanchezza di chi si ritrova prigioniero di una realtà sterile, dove l’essenziale viene soffocato dalle apparenze.
C’è poi una stanchezza più concreta ma altrettanto grave: quella della burocrazia, che tratta i cittadini come soggetti da vigilare anziché protagonisti del bene comune. Un’ossessione per i controlli che rischia di soffocare la responsabilità e la partecipazione.
Non meno pesante è la stanchezza delle famiglie, travolte da una frenesia insostenibile. Corrono per non far mancare nulla ai figli, per prendersi cura degli anziani e per rispondere a mille aspettative. Ma alla fine, cosa rimane? Solo la sensazione di aver dato tutto senza aver trovato nulla.
Non possiamo ignorare nemmeno la stanchezza politica: una politica litigiosa, priva di visione, che si riduce a un’inutile sequenza di battibecchi. Una politica che non sa più prendersi cura della cosa pubblica con lungimiranza e concretezza.
Infine, c’è la stanchezza generata dalla comunicazione e dai social. Viviamo immersi in una narrazione tossica: cronache che amplificano il male, ignorano il bene e squalificano le persone con il pettegolezzo. Narcisismo, volgarità e odio prendono il posto della bellezza e della speranza.
Eppure, questa stanchezza — come ricorda Delpini — può essere un’opportunità. La fragilità della vita ci obbliga a fermarci, riflettere e ascoltare. Prendersi cura della terra, delle persone e della società non significa cedere all’inerzia, ma compiere un atto di coraggio: interrompere le abitudini, raccogliere nuove energie e immaginare un futuro diverso.
In questa sfida, gli amministratori locali hanno un ruolo cruciale. Sono i più vicini alla concretezza della vita delle persone, alle loro difficoltà e ai loro desideri. Ma il loro compito è spesso arduo e solitario. Non possiamo limitarci a chiedere o avanzare pretese: servono corresponsabilità e discernimento da parte di tutti per camminare insieme, verso un futuro che porti sollievo e speranza.
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“Lasciare riposare la terra” non significa fuggire dalla storia, ma fermarsi per ascoltare. Prendersi cura di questa stanchezza significa scegliere di trasformarla in nuova energia. È un invito a riscoprire relazioni autentiche, a riappropriarci del tempo e a smettere di consumare il presente in nome di un futuro che appare sfuggente.
Se davvero riusciremo a fermarci, ad ascoltare e a prenderci cura gli uni degli altri, la stanchezza non sarà più un peso da sopportare, ma il primo passo verso un nuovo inizio. Forse è questa la vera rivoluzione: riconoscere la nostra fragilità e, proprio lì, ritrovare il coraggio di sperare.
Francesco Caroli
il discorso integrale dell'Arcivescovo Delpini è qui: https://www.chiesadimilano.it/cms/documenti-del-vescovo/mario-delpini-documenti-del-vescovo/discorsi-alla-citta-mario-delpini-documenti-del-vescovo/lasciate-riposare-la-terra-2822543.html