La parità di impiego e di salario fa aumentare la produttività

La parità di impiego e di salario fa aumentare la produttività

L’idea di una civiltà definitivamente scevra da ogni forma di discriminazione verso il genere femminile appare ancora drammaticamente utopistica. Il Global Gender Gap Report, pubblicato nel ‘24 dal World Economic Forum, arriva ad affermare che nessuno di noi potrà conoscerla, perché con gli attuali trend servono ancora 134 anni perché si possa raggiungere. E se consola sapere che nei 146 Paesi analizzati, il divario risulta colmato nella misura del 60%, preoccupa molto che un paese come l’Italia si piazzi solo all’87mo posto, dietro paesi che abbiamo sempre ritenuto più inclementi verso le donne come: Etiopia, Armenia, Emirati Arabi.

Forse dovremmo tutti porci qualche domanda in più su quanto la nostra cultura contribuisca a generare questa imbarazzante arretratezza. Così ad esempio si tende sempre a non considerare l’iniqua distribuzione dei carichi familiari che troppo spesso penalizza donne italiane. Gli effetti di questo tratto culturale sull’occupazione femminile sono del tutto evidenti: di 3,4 milioni di cittadini inattivi, per motivi familiari, il 96% è composto da donne.

Occupazione, divario salariale, conciliazione, i temi da affrontare sono davvero molti. Alla base però troviamo sempre una radice culturale, come ci spiega l’imprenditrice Stefania Mancini, già direttrice generale di I-Tel Società Benefit, per “Inspiring Fifty” tra le 50 donne più influenti del Paese nel mondo della tecnologia, oggi impegnata in “Inclusione Donna”, che aggrega oltre 70 sigle per la parità di genere.

Secondo il Global Gender Gap Report tra i paesi più virtuosi ci sono stati europei nei quali il numero medio di figli per donna è superiore a quello italiano. Come si spiega?

È statisticamente provato che le donne che lavorano e hanno un'istruzione più alta, fanno più figli. Il benessere aiuta, specie in questi paesi che sono un punto di riferimento nel Work-Life Balance. Pensiamo agli asili nido. Olanda o Danimarca hanno tassi di accoglienza del 70% per bambini sotto i 3 anni, e questo offre alle donne la possibilità di accudire il figlio i mesi necessari all’allattamento e poi tornare al lavoro. In Italia siamo sotto al 30%.

Anche le differenze di salario tra i sessi continuano a mortificare le donne?

È un altro grande problema. Guadagnando meno rispetto all’uomo, la donna finisce per sacrificare la propria carriera e dedicarsi al ménage familiare. Si fa il ragionamento più pratico: «Se quello che prendo lo devo poi spendere tra nido, babysitter e colf, allora tanto vale restare a casa». Si tratta però di una visione miope. In primo luogo dobbiamo considerare che utilizzare lo stipendio per i servizi alla famiglia, anche se non molto conveniente a livello personale, è comunque un modo per continuare a lavorare e per contribuire al benessere economico del paese. Ma soprattutto, quando l’obiettivo è quello di tornare a lavorare, non possiamo pensare che una pausa di qualche anno non abbia conseguenze sulla carriera e sui salari. Forse anche noi donne dovremmo fare qualche sforzo in più.

L’Italia, l’Europa, gli Stati Uniti hanno sempre più confidenza con leadership femminili. Sono stati fatti dei passi avanti?

Sono bellissimi esempi che spesso usiamo anche noi per farci coraggio, ma le statistiche sono basse e non ci permettono di generalizzare questi risultati. Pochi giorni fa uno studio realizzato dall'”Osservatorio donne executive” di SDA Bocconi in collaborazione con “Eric Salmon & Partners” ci ha informato che solo 1 manager su 6 è donna. Per questo considero necessarie le quote rosa. I paesi leader per parità di genere le hanno introdotte molto prima di noi, la Norvegia anche in ambito privato. La crescita culturale di un paese ha dei tempi lunghi: devono cambiare le generazioni perché cambi il pensiero. E allora ben venga la norma che può darci quella spallata di cui abbiamo bisogno.

Lei lavora da trent’anni nel settore Hi-Tech ed è spesso al vertice di imprese complesse. Come ci è riuscita?

Il mondo del lavoro è maschile. L’imprenditoria è maschile. Quando alla domanda “di cosa ti occupi?” rispondevo di essere un’imprenditrice, la reazione era quella di una strana sorpresa. Ho sempre guidato aziende ICT ed ho sempre avuto difficoltà a trovare donne accanto a me. Quando le ho trovate, però, sono sempre state eccezionali: analitiche, di una precisione chirurgica, veramente capaci. Nella mia prima azienda ho avuto alcune giovani ragazze che ad un certo punto erano tutte incinta, tanto che avevamo pensato di adibire una bella stanza a nido. Nessuna però è tornata a lavorare. Molte avevano subìto una forte pressione in ambito familiare, anche dalle mamme, per restare a casa con i figli. Sono passati 20 anni da allora, e forse oggi sarebbe diverso. Ma certo ancora oggi siamo vittime di un retaggio culturale che non riguarda solo gli uomini.

Quanto sono rare le donne con competenze tecnologiche?

La statistica ci dice che le donne studiano più degli uomini, ottengono risultati migliori e si laureano di più. Se però andiamo a vedere le facoltà rileviamo presenze bassissime nelle facoltà tecnologiche. Nelle cosiddette “STEM” (science, technology, engineering and mathematics) le laureate sono il 38%, e se andiamo sull’ICT scendiamo sotto al 20%.

Ci sono ancora insegnanti e familiari che consigliano alle ragazze percorsi didattici e professionali più compatibili con la futura gestione della famiglia. Presso i giovani però le cose stanno cambiando. Le ricerche dimostrano che nella fascia tra i 12 e i 17 anni non si registrano affatto discriminazioni di genere. Rispetto al passato abbiamo fatto dei passi avanti.

La maternità è un tema complesso, ma non è l’unico ad indebolire la figura femminile. Quanto pesa per la donna la cura degli anziani?

In Italia ci sono più di 14 milioni di over 65, la metà dei quali ha già due patologie in corso. Le strutture sanitarie, le RSA, riescono ad accoglierne il 9% e l’assistenza domiciliare copre appena il 22%. Chi si prende cura di queste persone? Sono circa 7 milioni le donne badanti familiari, molte delle quali hanno dovuto lasciare il lavoro per questo motivo. È un danno enorme per l’intero sistema economico che viene privato di forza lavoro indispensabile per rendere sostenibile la sanità e la previdenza.

Si parla di 134 anni per eliminare ogni discriminazione femminile. Come possiamo accelerare?

Estendere le quote rosa al settore privato aiuterebbe molto. Ma le cose da fare sono tante. Nel 2022 siamo riuscite a far approvare la “certificazione di parità di genere”, che può essere ottenuta da aziende o pubbliche amministrazioni. Più organizzazioni si certificheranno, più la transizione sarà veloce. Stiamo poi lavorando alla revisione della legge sull'imprenditoria femminile che è molto datata e manca di tutele essenziali per le imprenditrici. Altra norma a cui lavoriamo è la VIG (Valutazione d’impatto di genere) che coinvolge tutte le amministrazioni pubbliche affinché non vengano più finanziati progetti che discriminano la donna. Non possiamo rischiare che i nuovi progetti pubblici trascurino questo fattore. Se lo facessimo anziché andare avanti rischieremmo seriamente di tornare indietro nel tempo.

di Gabriele Renzi - L'OSSERVATORE ROMANO

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-10/quo-239/la-parita-di-impiego-e-di-salario-fa-aumentare-la-produttivita.html









Giulia Bezzi

Head of SEO | Content Marketing | Social Media per portare business online sostenibile, crescere i team digital, portare pubblico fidelizzato. Segni particolari: divulgatrice e comunicatrice appassionata.

2 mesi

Dobbiamo cambiare la nostra narrazione per sensibilizzare gli uomini sulla problematica. Come ti dico sempre, ci sono dei risvolti importanti nella vita maschile che hanno a che fare con la disparità: pari opportunità significa maggior ricchezza in famiglia, meno coppie che stanno insieme solo perché “devo pagarle gli alimenti perché dipende da me” e “resto con lui perché non sono indipendente economicamente” per esempio. Quante coppie vivono nella gabbia di casa loro per questioni di soldi? La libertà di amare ed essere amati è fondamentale. E, ancora, la povertà in vecchiaia, a causa di stipendi impari o addirittura con un’unica pensione a sostegno della coppia potrebbe essere evitata. Già solo per queste due importanti, se non fondamentali, ragioni, gli uomini dovrebbero aprire gli occhi e collaborare per ridurre il più velocemente possibile il divario. Ridurre perché non esiste solo quello economico. Ma, sicuramente, è ciò che salta all’occhio e non capisco perché si stia tendendo alla miopia maschile e all’ acredine per l’argomento.

Vittorio D'Orsi

Senior Demand Manager, Digital Organizational Sociologist, Adjunct Professor & Author // Trade Union co-founder & board member

2 mesi

Come sappiamo, in Italia soltanto il 55% delle donne tra i 20 e i 64 anni ha un impiego, mentre nel contesto europeo il tasso di occupazione femminile medio è del 69,3%. L'impegno quindi deve essere di tutti. Non è necessario cercare personale all'estero, abbiamo donne straordinarie, persone "già formate", perfettamente in grado di supplire alla mancanza di personale qualificato. O, laddove necessario, possiamo istituire corsi di formazione "ad hoc". E' un tema sociale, anche per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico, e dunque dell'intero Paese...

Simonetta Molinaro

Farmacista/Criminologa Perfezionata in Equità di Genere

2 mesi

Si può e, diciamolo, si deve. Complimenti Stefania 🌸🥰

Fabio Diamante

--FUTURE for ALL Afghanistan: Created a school for girls &comrce with Afghan companies &entrepreneurs around the world

2 mesi

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