La Repubblica: un bene da tutelare

L’ultimo articolo della Carta Costituzionale recita testualmente che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

Allo stato attuale la forma repubblicana rappresenta l’eredità di maggiore valore culturale e sociale che ci hanno lasciato gli elettori, uomini e donne, il due giugno del 1946.

Tale data rappresenta, altresì, un momento di svolta democratica in quanto il Consiglio dei Ministri dell’Italia Libera, presieduto da Ivanoe Bonomi, aveva approvato, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi, il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio 1945 che estendeva il diritto di voto alle donne che avessero compiuto il ventunesimo anno di età al 31 dicembre 1944, introducendo così in Italia il suffragio universale, con diritto di voto attivo e passivo.

Tuttavia, per comprendere il significato profondo della scelta referendaria è opportuno ricordare che l’Italia era una nazione ferita profondamente dove vivevano due realtà: il Centro-nord che aveva subito pesantemente l'occupazione nazista e la Repubblica sociale italiana; il Sud che aveva conosciuto un passaggio più morbido dal fascismo al post-fascismo.

In quel periodo storico, gli elettori decisero per la Repubblica poiché era maturata in loro l’idea che l’unico depositario del potere dovesse essere il popolo e non una persona che regnava solo per il c.d. diritto di nascita. Inoltre, la monarchia rappresentava, agli occhi dei cittadini, un’autorità che aveva fallito, che non era stata in grado di fermare l’ascesa del fascismo ed aveva tenuto un comportamento discutibile durante gli anni della guerra, soprattutto dopo l’8 settembre del 1943.

Lunedì 10 giugno 1946, alle ore 18,00 nel Salone della Lupa di Montecitorio, il presidente della Corte di Cassazione Giuseppe Pagano comunicò i risultati raggiunti favorevoli alla Repubblica e, poiché mancavano 118 sezioni, rinviò la proclamazione definitiva ad una successiva seduta fissata per il giorno 18.

Ma subito dopo il Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, senza attendere il giudizio definitivo della Corte di Cassazione, destituì di fatto il Re assumendo le funzioni di Capo provvisorio dello Stato, che mantenne fino al 28 giugno quando l’Assemblea Costituente elesse Enrico De Nicola. 

In risposta, alle ore 22 del 13 giugno il Re Umberto II reagì diramando all’Ansa il famoso proclama, nel quale denunciò l'illegalità commessa dal governo e confermò che avrebbe atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, dichiarandosi pronto a lasciare l’Italia per scongiurare agli Italiani nuovi lutti.

Il 18 giugno infine, la Corte di Cassazione, con dodici magistrati contro sette, proclamò i risultati definitivi: la Repubblica ottenne 12.718.641 voti, pari al 54,3 per cento dei voti validi, mentre i favorevoli alla Monarchia risultarono 10.718.502, pari al 45,7 per cento degli elettori.

Premessa questa breve ma opportuna ricostruzione storica, è bene ricordare che la nascita della Repubblica ha rappresentato, e rappresenta, lo strumento ideale mediante il quale si possono realizzare quei valori umani quali la giustizia, la pace, la solidarietà e la prosperità.  

Pertanto, la Repubblica è considerata una struttura di libertà ove i cittadini sono uguali, senza privilegi di ceto e le leggi sono espressione della volontà del popolo, che le vota attraverso propri rappresentanti.

Ma la libertà presuppone la ricerca della verità, che secondo Benedetto XVI trova il proprio compimento nel conoscere e fare ciò che è retto e giusto. Seneca definì il bene come la conoscenza delle cose ed Aristotele lo definì come “ciò a cui tutte le cose tendono”, e aggiunse che “benché sia degno di conseguire il fine anche soltanto per un uomo, tuttavia è più bello e più divino conseguirlo per una nazione o per una polis”.

Dunque, la libertà come atto di amore va tutelato e garantito con strumenti giuridici idonei; tuttavia, spetta ad ogni generazione il compito di comprendere il corretto uso della libertà affinché si garantisca la sopravvivenza stessa della Repubblica.

Vorrei concludere questo breve saggio con le parole di Giacomo Ulivi, un giovane partigiano fucilato dai fascisti: “la propaganda fascista era riuscita a istillare in molti italiani il pregiudizio della sporcizia della politica: credetemi la cosa pubblica siamo noi stessi”.   


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