La ricerca della facilità
La Giraffa s’aggira melliflua per la savana. Non sembra l’animale più indaffarato, pare quasi non faccia sforzi, se non quando necessario, e che tutto le venga facile.
Su questo vorrei ruminare, caro lettore, sul senso e il significato dello sforzo nella nostra vita.
Come ogni argomento è divisivo, bianco o nero, ma temo che, probabilmente, come per ogni cosa umana, ci siano tante sfumature che negare ci affatica solo, e inutilmente.
Ecco già un esempio di sforzo inutile.
Lo sforzo è davvero un valore assoluto? L’impegno che relazione ha con il tanto celebrato talento? Il “successo” è solo figlio dell’impegno? Perché, pur celebrando l'impegno, il mantra della produttività e di (quasi) tutti noi è ottenere il massimo con il minimo sforzo?
Aspetta a schierarti, caro lettore, provo a solleticarti dei dubbi, come sempre senza possedere la Risposta.
Le 10.000 ore
Malcom Gladwell, nel suo libro “Fuoriclasse”, ha teorizzato la famosa idea delle 10.000 ore come quota minima necessaria per uscire dalla mediocrità e entrare nell’Olimpo. Il successo ad alti livelli ripetuti e costanti - per esempio sportivi, artistici, scientifici - necessita di applicazione a cui nessun talento può fare da succedaneo. Anzi, a parità di dotazioni di partenza, la differenza sta nell’impegno. Con un correttivo indispensabile, sempre secondo Gladwell: la presenza di circostanze fortuite che permettono di dare consistenza allo sforzo. Leggasi: impegno sì, ma anche un po’ di fortuna non nuoce. Non vale forse l’inverso: che basti sempre la sola fortuna per determinare il successo in ciò che si fa. Salvo eccezioni, che come tali non fanno la regola.
La teoria dello sforzo invertito
Di segno opposto la teoria dello sforzo invertito proposta da Aldous Huxley. Si sintetizza più o meno così: più ci sforziamo di fare qualcosa, più peggioriamo le cose. Provocazione non da poco. Tutti, credo, specie dopo i 50, abbiamo vissuto l’esperienza di non riuscire a addormentarci e di tentare la qualunque - senza successo - per cadere nelle braccia di Morfeo. Questo per Huxley è la riprova che la volontà cosciente di fare qualcosa non è garanzia di successo.
Eppure tutti lodiamo impegno e sforzo, anche in assenza di risultati. “Non importa il brutto voto - si dice a un figlio adolescente - l’importante è che tu ti sia impegnato, poi i risultati verranno.”
Quando fermarsi?
Fino a che punto, però, viene da chiedersi, ha senso sforzarsi, come un criceto sulla ruota, nel fare un qualcosa senza raggiungere i risultati? Credo che ciascuno di noi abbia mollato il colpo nel fare qualcosa che proprio non ci riusciva, tale e tanta la frustrazione. Nel mio caso fu per lo sci: niente da fare, impegno tanto, risultati zero, dove per risultati non intendo medaglie o coppe mancate, ma fare semplici discese senza rovinose cadute. Sensi di colpa? Nessuno, anzi, dispiacere postumo per il tempo sprecato che avrei potuto dedicare a altro.
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Un gioco da ragazzi
Alla Standford University, ma solo perché lì hanno studiato il fenomeno, che credo comune a molti contesti, non solo universitari, gli studenti soffrono di sindromi di burn out pesantissime perché, per dissimulare lo sforzo negli studi, passano le giornate al tennis del campus mentre consumano notti insonni sui libri. Una contraddizione: se la nostra società considera l’impegno un valore perché nascondere lo sforzo? Perché far sembrare che ciò che si riesce bene sia un gioco da ragazzi?
Concetto relativo
Dovremmo, poi, accettare una ovvietà, ossia il fatto che lo sforzo è un concetto relativo, sia a livello collettivo sia individuale. Ciò che per i nostri nonni non sarebbe stata una fatica - come fare 10 km a piedi per andare a scuola - oggi ci sembrerebbe una prova titanica, se inflitta ai nostri figli occidentali. Del pari, per non fare sforzo, oggi consultiamo Google per colmare ogni genere di lacuna informativa, quando neanche troppo tempo fa dovevamo accedere a una nutrita biblioteca e fare lunghe ricerche. Non sappiamo se l’intelligenza artificiale ci farà fare meglio, di sicuro vi ricorriamo per fare prima e con meno sforzo ciò che anche solo fino a ieri facevamo, senza minimamente pensare alle energie che poteva drenarci. Insomma, parrebbero esserci fatiche e sforzi utili e inutili, in uno spazio dove il limite si sposta continuamente, spinto dalla nostra inesauribile ricerca della facilità.
Il piacere dello sforzo fine a sé stesso
Già, perché c’è anche questo aspetto da considerare. A molti di noi il piacere di fare sforzi appaga in quanto tale e lo rincorriamo, chi nel lavoro, chi nella vita personale e chi in entrambi. È il risultato a perdere di importanza: non conta il traguardo ma il cammino percorso per raggiungerlo. E saranno poi le emozioni di quel cammino a procurarci più nostalgia che non l’effimero e fugace momento del successo, consumatosi spesso senza neppure il tempo di goderselo. Quando ho modo di ascoltare i sempre molti succinti racconti di una persona a me vicina delle sue gare da nuotatore di fondo (come i 42 km nel Nilo, 56 km nel Rio Paranà) non ci sono mai parole per il traguardo, ma del percorso verso di esso.
E che relazione c’è tra talento e sforzo?
Oggi nelle aziende celebriamo i talenti: tutti a caccia di questi supposti fenomeni, fondamentali conquistarli prima, e poi trattenerli. Io, se non avessi una azienda mia, sarei fuori mercato e lo dico tranquillamente: zero talento ( vedersi sotto per una ipotesi di definizione), in tutto. Se so fare qualcosa è solo perché ci ho messo un po’ di impegno. Mai appagata, peraltro, ma questa è un’altra cosa.
Il talento rischia di essere ingannevole: intanto che cos’è (non ne sono affatto convinta ma azzardo, “il venirci facile ciò che ad altri costa fatica”?), come si riconosce e in che cosa si esprime? Dubito esista un talento universale che vada bene per qualsiasi ruolo o mansione. Come lo misuri in un colloquio e come ne monitori l'uso? Alla Giraffa pare uno dei tanti esempi di parole svuotate di significato nel quotidiano aziendalese, parole che diventano di moda e vengono usate senza reale consapevolezza. Mozart era talentuoso ma si è fatto anni di studi prima di produrre opere eccelse; il suo talento senza la fatica non lo avrebbe portato a nulla. Sinner non ha fatto solo due lezioni di tennis per fare quello che fa. Il talentuoso spesso è del tutto inconsapevole di ciò che gli regala successo, tant'è che quando dovesse trovarsi nel ruolo di manager difficilmente saprebbe trasmettere agli altri ciò che fa; rischia di essere discontinuo, di accontentarsi e sedersi sugli allori, come la lepre nella gara con la tartaruga.
Team, fiducia e impegno
David Allen e Edward Lamont, nel loro saggio “Il metodo Getting Things Done per i team”, definiscono il tasso di fiducia in un team come la disponibilità a impegnarsi per raggiungere obiettivi condivisi da parte dei suoi membri. Verrebbe da pensare che in un azienda sana, per una sorta di naturale regolazione interna ai team stessi, gli sfaticati dovrebbero essere riconosciuti come corpi estranei e come tali esclusi. Dovrebbe, però, anche valere la regola che non è il tempo speso in ufficio a fare la differenza ma il risultato raggiunto nel quotidiano, direttamente proporzionale a impegno e capacità e non alle ore seduti davanti a un pc.
La Giraffa come sempre risposte non ne ha ma avrai intuito, caro lettore, che non le dispiace la democrazia delle capacità costruite con impegno, tanti fallimenti e la gioia consapevole di averli vissuti. Se poi qualche talento (la domanda resta quale?) e un po’ di fortuna ci danno una mano di certo non si chiude loro la porta ma aspettare che siano essi ad aprircela temo condanni a una vita di attesa, che chissà, forse ha un senso. Sicuramente per Huxley.
Ognuno, caro lettore, si darà le sue risposte. E la tua? Ti aspetto come sempre.
Responsabile del Personale presso Brico io spa - Milano
3 mesioooh! finalmente una rappresentazione del significato di "talento" che sposo appieno, cara Alessandra Colonna! mi verrebbe da dire che il talento è nulla senza impegno e continuità.
General Manager since 1992 - Temporary Manager - Strategy&Organization Consultant - Innovation Manager by MISE - Free&Ethical Thinker - Open to share all the knowledge you may need - Restarting from Man to return to Man
3 mesiSiamo tutti cresciuti con la convinzione che Fare fosse la condizione per Avere, quindi per Essere/Sentirsi; in realtà è l’Essere/Sentire a determinare quel Fare che porta all’Avere. I Talenti sono solo strumenti, eventualmente funzionali alla realizzazione del proprio Sogno ma più spesso di quello di qualcun altro, capace di desiderare più intensamente e costantemente, non inibito o “fuorviato” dalle proprie paure o dalla troppa razionalità. Si dice che la Fortuna arride agli audaci, ma “l’audacia” sta solo nel credere fermamente nella realizzazione del proprio desiderio, grande o piccolo che sia, senza nutrire alcun dubbio. Non si può chiamare a sé qualcosa che si ritenga “eccessivo”, né di cui non ci si senta abbastanza meritevoli o “degni”. Il Sogno di un Dreamer è la cosa più reale che esista: Talenti, impegno, fatica, ecc., a noi sempre apparsi “condizione necessaria” (benché non sufficiente) alla realizzazione di un Sogno, sono invece solo strumenti attraverso i quali esso si realizza (ovvero diventa “realtà”); tali strumenti possono però essere messi al suo servizio da chiunque li possegga, soprattutto da parte di chi non riesce a “concepire” altro che un baratto del proprio tempo a favore del progetto-sogno di un altro.
Qualcuno/a disse “The harder I work, the luckier I get”. … e mi piace pensare sia proprio così!
Head of Communication and CSR at Banco BPM Group
3 mesiSempre condivisibili i tuoi editoriali. C’è una bella frase di Oriana Fallaci su questo tema: Battersi è molto più bello che vincere, viaggiare è molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. E per superare quel vuoto devi metterti in viaggio di nuovo, crearti nuovi scopi
Export Manager presso Reer spa
3 mesiGiraffa cara. Hai detto quasi tutto. I commenti non possono che essere rielaborazioni. Mi sembra solo incredibile come un bel 70% dei casi centri l'obiettivo di sollevare un argomento di cui si discute nel mio ambiente. Talento o fortuna? O impegno?