La vera rivoluzione fotografica
Diciamocelo subito e chiaramente: oggi tutti sono in grado di scattare un buon ritratto. Ho usato di proposito la parola "scattare" e non "fare"; andiamo però per ordine. Per ora lascio il concetto in sospeso per riprenderlo più tardi.
La vera rivoluzione nella fotografia non è stata l’invenzione stessa della fotografia. O meglio, di rivoluzionario aveva l’utilizzo di qualcosa diverso da colori e pennelli, un miscuglio di elementi al limite dell’alchimia; ma il concetto di ritrarre qualcuno e fermare quel momento per sempre, non era nulla di nuovo. La vera rivoluzione è avvenuta ai nostri giorni, quando questa meravigliosa cosa che qualcuno chiama arte (ma io ci lavoro e quindi mi guardo bene dal definirla in questo modo perché artista non lo sono e non mi ci sento) è diventata "patrimonio dell’umanità" o, detto in parole meno sensazionalistiche, alla portata di tutti. Questa è la rivoluzione. Qualcosa che esce dall’élite e diventa di tutti, del popolo.
Come ben sappiamo, le rivoluzioni non piacciono a tutti, e non piacciono soprattutto all’élite alla quale viene tolto il giocattolo in esclusiva. Con l’avvento del digitale, che è la rivoluzione vera nella fotografia, i professionisti si sono visti venir meno la terra da sotto i piedi. Non inizialmente, quando questo fenomeno è stato preso, volutamente o per eccesso di ottimismo (ricordate la frase di Ford quando inventò l’automobile?) come un amatoriale adeguamento dell’industria fotografica piegata dal marketing evoluto, figlio ormai maturo del consumismo post anni 60. Il piccolo mondo dei professionisti, quello era salvo e ben saldo in mano all’élite. Confesso che inizialmente anche io ero tra questi. Inizialmente e anche oltre… poi arriva la svolta. Ma anche questo concetto sarà ripreso dopo.
Oggi tutti scattano foto, in ogni momento. Una volta ci si limitava ai compleanni e alle vacanze. Per tutto il resto c’era il fotografo professionista. Mi viene in mente lo slogan di MasterCard, che ci sta bene per ovvi motivi. Oggi no. Il professionista quasi non viene più nominato in famiglia, se non per i matrimoni. E sinceramente, questo è un bene. Perché? Semplice, ci si evita inutili trattative per foto che hanno un gran valore affettivo per la controparte, alla quale la stessa controparte non dà e non ha mai dato il giusto valore pecuniario. Tanto vale non essere proprio chiamati in causa, non credete? Che queste foto siano scattate (ricordate all’inizio quando ho accennato a questo termine?) dai diretti interessati, con smartphone o compatte digitali, con reflex da migliaia di euro o con solo il cielo sa cosa.
Discorso diverso per quanto riguarda i professionisti, non noi che stiamo dietro il mirino, ma quelli che lavorano, gli imprenditori e i liberi professionisti.
L’imprenditore dovrebbe, anzi deve dare un valore diverso alla fotografia. Chiarisco subito che mi sto riferendo al valore della fotografia legata alla sua attività, non a quelle "di famiglia", per le quali rientra di diritto nella categoria di cui sopra, quelli muniti di smartphone, etc. etc.
Benché sia anche lui avvezzo a scattarsi meravigliosi selfie dove viene fuori tutto il suo magnifico splendore, la foto da utilizzare per mostrarsi ai suoi clienti, è altra cosa. Quella deve essere "fatta" (ricordate sempre la differenza fra "scattata" e "fatta" di cui prima?) da un fotografo professionista. Non ci sono se e ma.
Vi starete chiedendo perché. Dopo aver parlato di rivoluzione, di smartphone, di digitale, di selfie strepitosi, vi starete chiedendo perché ancora serve il professionista, se non per i matrimoni: lì i selfie sono difficili a farsi, serve concentrazione da parte degli sposi in momenti ben precisi: infilare l’anello alla sposa con una mano e con l’altra reggere il telefono, non è proprio facilissimo e soprattutto dove andrebbe a finire tutta l’atmosfera fatta di lacrime e sguardi emozionati occhi negli occhi degli sposi?
Al professionista (imprenditore) serve qualcosa di diverso, che è qualcosa di vecchio. Sembra che stia vaneggiando ma non è così credetemi.
Quando dico vecchio, intendo qualcosa che riporti indietro nel tempo, alla fotografia pre rivoluzione digitale. Non sono un restauratore e ci tengo a dirlo, ma in questo caso, il classico serve eccome. Il motivo non è neanche di quelli per il quale serve essere un esperto di sociologia o un professore di antropologia. Semplicemente il vecchio in questo caso, è qualcosa che è stato dimenticato e superato da altro. I selfie? Si, anche. Parliamo di qualcosa a cui la gente non è più abituata, qualcosa che se viene riproposta, di sicuro lascia l’interlocutore visuale in stato di shock. Forse ho esagerato, ma di sicuro non dico sciocchezze se affermo che questa ipotetica foto "classica" lascia stupiti e qualche volta anche a bocca aperta. Per il semplice fatto che non è più qualcosa a cui si è abituati.
Mettiamoci anche l’imbarazzo a posare per un professionista - ben diverso dal selfie di cui parlavo prima, dove sprezzante viene fuori tutta la sicurezza gioiosa del detto professionista -, e il gioco è fatto: foto "fatta" ad hoc, posa che incute quasi timore, sguardo intenso. Il risultato è garantito. Quella foto avrà successo, sarà ricordata, servirà al suo business per descriverlo.
Tutto questo a costi relativamente bassi. E non venitemi a dire, signori professionisti e liberi professionisti, che poche centinaia di euro sono un problema. Ricordatevi che non siete dei semplici cittadini facenti parte di nucleo familiare pronto a festeggiare un compleanno o chissà cosa. Siete anche questo, ma non ora. Non quando vi occupate della vostra azienda.
Ricordatevi quanto ho scritto. Tenete a mente la differenza tra "scattare" e "fare" una fotografia. E fatene tesoro.
Francesco (un fotografo)
P.S. Pare che non abbia detto quale differenza c’è tra scattare e fare una fotografia. Molti di voi ci sono arrivati da soli, ne sono più che sicuro.
Per quei pochi pigri che proprio non vogliono impegnarsi, ve la dico io: scattare una foto è l’atto di posare il dito - di solito l’indice - sul pulsante di scatto e basta. Fare, invece, comporta che dietro quel gesto, dietro quell’indice, ci siano anni di fatiche, studi, errori, successi e ancora errori. In sostanza c’è, dietro al "fare" una fotografia, tanto che è stato "fatto".