L’agilità è un’attitudine emergente: cura questi 4 aspetti per migliorare l'agilità della tua azienda!
L’esperienza di Nigel, che fa convergere il meglio della cultura Toyota con il mindset agile, dimostra come l’adozione di Scrum - framework che consente di mettere in pratica i principi agile in maniera semplice ed efficace su singoli team - non sempre e non necessariamente abbia l’effetto di innescare una reale dinamica organizzativa. Bisogna essere consapevoli delle potenzialità dell’approccio agile ma anche degli ostacoli di fronte a cui lo slancio può spegnersi.
Lo slancio è certamente destinato a spegnersi se l’agilità viene percepita dal management come un set di strumenti e pratiche specialistici, tipicamente “lasciando fare quelli dell’IT”; o ancora se il management chiama dei consulenti perché sommistrino ai team la loro medicina, il “farmaco scrum o agile” che risolverà tutto.
Approfondendo l’esperienza agile, diffondendo la pratica di Scrum nelle organizzazioni, Nigel ha sempre più profondamente realizzato come queste siano sistemi adattativi complessi ma non ne abbiano consapevolezza. Il management frequentemente tende a comportarsi secondo un pensiero lineare: i problemi sono “cose” risolte da altre “cose”, i prodotti di consulenza, che si comprano sul mercato. Se adottati con questa prospettiva i benefici delle esperienze agili portate in azienda rischiano di disperdersi in poco tempo.
Al contrario l’adozione costante di pratiche agili aiuta l’emergere di una nuova mentalità diffusa nei team e nell’organizzazione tutta, una mentalità fatta di tensione al miglioramento e alla scoperta, di rutinario autoesame e verifica dei risultati, di trasparenza nella circolazione delle informazioni, di condivisione degli obiettivi, di sicurezza individuale nel prendere iniziative, di allineamento, fiducia e autonomia.
Cura questi quattro aspetti e la tua azienda diventerà sempre più Agile!
1. Cercare i segnali deboli. Il piano può trasformarsi in una gabbia di ferro. Se siamo troppo focalizzati nell'esecuzione dei nostri piani rischiamo di perdere o non comprendere i segnali che il mercato o l’ecosistema in cui operiamo ci sta mandando.
2. Creare vincoli che abilitano il cambiamento. Spesso le persone per segnalare un problema, o per portare avanti un’idea in azienda, devono superare un muro per essere ascoltati. I vincoli esistenti nelle organizzazioni rallentano, ostacolano o addirittura impediscono il miglioramento. I problemi che potrebbero essere intercettati a monte del processo si ritrovano a valle molto più grandi, molto più costosi da risolvere. -
3. Assicurare la sicurezza psicologica. La responsabilità è vuota se non è assunta in prima persona da chi lavora, da chi è realmente “proprietario” del ruolo che riveste. Si dice che le persone non possano essere motivate; la motivazione si trova già dentro alle persone ma le condizioni esterne non le permettono di esprimersi.
4. Liberare il potere dei team. Produttività e performance dipendono in larghissima parte dalla qualità nella dinamica dei team. La crescita dei team è sì fondamentale per le organizzazioni ma avviene anzitutto nel luogo in cui si produce valore. Il contesto è tutto, il training sui team va condotto sul luogo in cui il lavoro viene svolto.
“They talk and talk but they cannot walk the talk”
Agile porta così le organizzazioni a compiere un enorme balzo avanti rispetto alle tradizionali metodologie top down di project management, orientate a costruire e rappresentare una prevedibilità precisa quanto al fondo fasulla. Spettacolari diagrammi Gantt che ispirano un senso di controllo ma alla fine producono il famigerato effetto “green shift”: ad ogni fase il semaforo è verde, il programma sembra rispettato fino all’ultima fase, quando improvvisamente diventa rosso, il progetto fallisce, i tempi saltano. Nell’approccio tradizionale le persone, e i manager, non hanno alcuna idea di come pianificare progressivamente, come alterare il piano delle prossime 24 ore sulla base di quanto è accaduto nelle ultime 24 ore.
La cultura agile al contrario consente alle aziende di trasferire il controllo dalla carta del diagramma Gantt alla realtà del contesto, di abbracciare l’incertezza e la creatività attivando il potere dei team. Così interpretato, Agile permette certamente all’organizzazione di compiere una transizione, un passaggio da uno stato a ad uno stato b.
Ma questa non è ancora una trasformazione vera e propria. Senza un approccio olistico, capace di trascendere la dimensione progettuale verso la scala organizzativa, non sarà mai davvero possibile trasformare un’organizzazione.
È questo il motivo per cui l’agile funziona meglio nelle piccole aziende, piccole sfere olistiche che contengono tutto ciò che serve per portare valore al cliente. Qui la dimensione ideale di Scrum (un team dedicato ad un progetto) in qualche modo può diventare strutturale continuando a dispiegare i suoi effetti positivi nel tempo. Qui l’agilità come attitudine emergente può prendere piede e diventare cultura aziendale.
Molto più difficile è replicare questa dinamica in una grande azienda. Nigel qui cita il caso di Gore, azienda detentrice del marchio Gore-Tex, celebre per la costante tensione innovativa e insieme per lo stile manageriale affrancato dalla rigida gerarchia (e i due elementi sono strettamente correlati). La citazione è dal libro di Malcolm Gladwell, The Tipping Point, che riporta come Mr. Gore stesso raggiunta l’azienda una certa dimensione non sapesse più nemmeno cosa accadeva negli stabilimenti. La “bolla olistica” si perde superata una certa dimensione aziendale e non può essere recuperata; la soluzione estrema di Gore fu quella di sacrificare il controllo per lasciar vivere le bolle olistiche e salvaguardarne la capacità innovativa. È l’esempio di un’impresa da oltre il miliardo di fatturato, con lo spirito di una PMI.
Ma la trasformazione è un effetto, non un fine per l’impresa. Il fine per l’impresa è soddisfare il bisogno del cliente, portargli il valore di cui ha bisogno nei tempi di cui ha bisogno, nei costi previsti. Per questo uno strumento come Scrum è un eccellente strumento per migliorare le persone, i team e l’organizzazione mentre si eroga il valore, facendo crescere la cultura agile nell’impresa e costruendo una tensione positiva che conduce all’approccio olistico e alla trasformazione.
L’agilità è un’attitudine emergente: let’s walk the talk!
È la complessità, bellezza
Nigel e i suoi collaboratori hanno dato vita ad una rappresentazione, il Flow System, che aiuta a concepire e gestire l’impresa in maniera più realistica di fronte ad un mondo incerto e ambiguo.
Non dobbiamo dimenticarci della linearità; grazie al lean management sappiamo come gestirla, come migliorarne i flussi; sappiamo “isolarla” per mettere in pratica queste ottimizzazioni. Ma poi dobbiamo tornare alla complessità dei sistemi in cui siamo immersi. Qui la metafora corretta è la circolarità o meglio il movimento circolare e spiraliforme che consente di migliorare e progredire attraverso l’esperienza e la sperimentazione. È questo il ruolo degli sprint di Scrum, sessioni compatte in cui un team apprende e contestualmente realizza qualcosa di compiuto e funzionante che consente al progetto di andare avanti senza che siano chiari tutti i passaggi necessari per raggiungere l’obiettivo finale.
I sistemi complessi hanno cicli di feedback che complicano o inibiscono del tutto una rigida pianificazione lineare. Hanno bisogno di nuove e diverse modalità di contatto con l’ambiente esterno.
Un sistema complesso, per esempio, necessita di una pluralità di sensori che gli permettano di cogliere i segnali deboli del cambiamento e di agire prontamente, prima che il segnale diventi problema.
Ci troveremmo oggi in tutt’altra situazione se la collettività, le nazioni, gli organismi sovranazionali, le imprese, avessero colto i numerosi segnali deboli che da tempo anticipavano l’attuale crisi globale (non è stato sufficiente nemmeno l’autorevolezza e la fama di un Bill Gates per innescare risposte adeguate al problema emergente delle pandemie virali).
Nella storia recente del business il caso forse più noto e lampante è quello di Nokia, impresa che deteneva una posizione dominante del mercato ma che non ha saputo intercettare gli sviluppi nascenti della telefonia mobile incarnati dallo smartphone (ironicamente è stata fra le primissime aziende ad adottare metodologie agile).
All’opposto vien da citare il caso virtuoso di Tesla, newcomer più unico che raro in un settore che sembrava totalmente dominato dagli incumbent del secondo dopo guerra, capace di innovare la percezione dell’automobile elettrica e trasformarla in prodotto d’alta gamma.
Già nell’insegnamento di Taichi Ohno, padre del Toyota Productions System, si trovava potente il richiamo ad “andare e vedere”, a spostarsi fisicamente o comunque esperienzialmente (come può avvenire nelle interazioni remote di queste settimane) nel “luogo reale”, confrontandosi con la “cosa vera”, tutti significati racchiusi nell’espressione Genshi Genbutsu. La cultura agile prosegue nella strada così tracciata dalla tradizione di Toyota, con nuovi e più articolati strumenti.
Nella guida al Flow System di Nigel si trova ad esempio un richiamo all’attività di sensemaking, tecnica che aiuta teams e organizzazioni a sviluppare, attraverso storytelling e narrazione, modelli mentali condivisi per far fronte ad ambienti complessi ed incerti. Si tratta di moltiplicare la restituzione di punti di vista differenti, in tempo reale, per dar al team una visione quasi “olografica” della situazione in cui si trova ad agire.
Per cogliere segnali deboli anticipatori di svolte profonde nei sistemi, le organizzazioni possono anche attivare la scansione continua dell'ambiente utilizzando diverse prospettive, punti di vista interdisciplinari, al fine di identificare comportamenti, segnali o eventi anomali - interni ed esterni - che compaiono sullo sfondo della scena.
Effetto Andon e potere dei team
È il potere del team a segnare l’esperienza e quindi il racconto di Nigel perché nel team risiede la dinamica fondativa dell’organizzazione agile. Questo potere può rimanere circoscritto all’esperienza del singolo progetto, e ciò è sicuramente cosa positiva per il buon esito del progetto stesso. O, come abbiamo visto, può riverberarsi progressivamente in tutta l’organizzazione verso quell’agilità emergente di cui oggi qualsiasi impresa, di qualsiasi dimensione, in qualsiasi settore ha più che mai bisogno.
Il team è il segreto della trasformazione agile. Ovvio? Non sembra. Ancora oggi le organizzazioni, anche piccole!, sono dominate dalla logica dei silos, dipartimenti con propri obiettivi teoricamente allineati in sede di budget planning ma di fatto isolati, quando non fra loro confliggenti, nel quotidiano dispiegarsi delle attività di business. E se, ancora una volta, l’approccio Lean rappresenta un enorme passo avanti – perché ci porta a leggere lo scorrere orizzontale del valore attraverso i settori dell’azienda – è altrettanto vero che il Toyota Production System di per sé non insegna il lavoro di team, non ha l’obiettivo di costruire i team. Semplicemente, nella misura in cui si occupa di gestire e ottimizzare la linearità, anche il Lean Management non considera centrale l’attività di team building. Questa, come per le aziende tradizionali, rimane una pratica “di complemento”.
Ma c’è un segreto nel segreto, una condizione abilitante di qualsiasi performance di team. È la sicurezza psicologica descritta nel libro di Amy Edmondson The Fearless Organization.
Ancora una volta troviamo le radici di questa condizione organizzativa nel sistema Toyota.
Nelle linee di produzione Toyota esiste una corda in ogni postazione, chiamata Andon (termine che originariamente indica le lanterne di carta), che consente all’operatore di bloccare l’intera linea nel caso ravvisi un problema. L’esempio mostra una condizione di alta responsabilizzazione e insieme di “sicurezza” nell’indicare problemi e difetti e nella capacità di prendere decisioni molto rilevanti anche sul piano economico per farvi fronte in maniera tempestiva. Tipico di molte aziende giapponesi, e per la nostra mentalità in contraddizione con l’assoluto senso di autorità della loro cultura, è la possibilità che il subordinato agisca sfidando e momentaneamente scalando l’autorità proprio perché profondamente proprietario del processo, o della parte di processo, cui sta soprintendendo.
Lo strumento indica l’importanza di prendere decisioni e risolvere problemi “sul posto”, senza attendere che un manager intervenga o che il controllo qualità si accorga del difetto a valle del processo produttivo. La corda Andon, letteralmente, ha segnato la superiorità del sistema produttivo Toyota sui competitor occidentali.
Oggi, per tornare alla sfida della complessità, in qualche modo si tratta di avere delle corde Andon a livello organizzativo. Qui la dimensione empirica e iterativa mutuata dal progetto agile e fatta “scalare” a livello sistemico risulta cruciale: nel team di progetto che si muove con scrum, la ownership del lavoratore su ciò che sta facendo è totale e ciò gli conferisce la sicurezza di decidere, esplorare, rischiare e sbagliare. In questo senso la lean non è più sufficiente; la sua linearità - efficace e perfetta nella linea di produzione - le impedisce di esplodere l’ “effetto andon” sul piano organizzativo. Per far ciò occorre un approccio olistico, “circolare” che il nostro Nigel cerca di esplorare nel suo Flow System, una sintesi che unisce lean e agile integrando diverse tecniche ma sempre basandosi sulle persone e sui loro comportamenti, senza i quali anche il migliore strumento è destinato a fallire.
Articoli precedenti:
* SPARK Innovation Catalysts: Un percorso di incontri.
* Incontrare Nigel Thurlow: in cerca del flusso da Toyota a Scrum e oltre.
* Come nasce il “matrimonio” fra mondo Toyota e mindset agile.
* Cambia prima di essere costretto a farlo; Oltre Toyota, verso l’agilità organizzativa
* La tua organizzazione è Agile? Rispondi a queste 4 domande per scoprirlo!
SPARK Innovation Catalysts
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