L'altare Parmiggiani a Gallarate, una sfida laica all'arte sacra

L'altare Parmiggiani a Gallarate, una sfida laica all'arte sacra

Non potevo perdermi ieri sera la lettura della creazione del nuovo altare della basilica di Santa Maria Assunta di Gallarate a cura di Emma Zanella direttrice del MAGA e padre Dall’Asta. Questa opera di Claudio Parmiggiani, avversata da centinaia di cittadini che hanno fatto sentire tutto il loro comprensibile disappunto sui social, rappresenta una scelta precisa e una svolta epocale nel fare liturgia proprio in relazione a questa società contemporanea.


L’altare è posizionato nel presbiterio della monumentale chiesa ottocentesca al centro della città di Gallarate, costellata di affreschi e stucchi realizzati in un linguaggio artistico pomposo e rassicurante voluto dalla ricca borghesia di un tempo. Numerosi sono i volti in bassorilievo che sovrastano i fedeli, posizionati soprattutto in alto lungo il cornicione che corre lungo i quasi duecento metri perimetrali. Il restauro che ha accompagnato il posizionamento dell’altare ha permesso di porli sotto una luce migliore, oltre a rimuovere la balaustra di colonnine che fisicamente separavano il presbiterio dall’aula. Se il tono della chiesa è di rassicurante accoglienza per le “anime pie” che vengono alla messa di domenica, l’altare di Parmigiani si stacca invece visivamente e concettualmente da questi clichè privi di attualità: ha l’espresso compito di attrarre, recuperare, provocare, soprattutto il figliol prodigo, il cristiano moderno che fatica a mantenere viva una fragile fede.


Al mio arrivo, l’altare illuminato è attorniato da curiosi che lo toccano, che lo fotografano, lo illuminano coi cellulari per coglierne le trasparenze. Mi avvicino e noto che è stato posizionato al centro di un vasto rialzo del pavimento in un lucidissimo alabastro dai toni bianchi, rosa e ocra, che ricorda la splendida finestra del Pogliaghi al Sacro Monte regalata dallo Scià di Persia. L’area comprende anche un ambone in labradorite, stilizzato e potente, monolito ancestrale o futuribile posto nel luogo della Parola, stele simbolica del Tempo, che al rifrangere della luce lancia lampi azzurro cielo e oro e richiama l’occhio quasi quanto l’altare. Dipende da noi cogliere questi lampi, metterci nella giusta luce, sembra suggerire l’Artista, riservatissimo scultore-poeta mantovano, noto per aver eseguito straordinarie installazioni di arte nel sacro.

L’altare di Parmiggiani è costituito da decine di teste di statue scolpite in candido onice e appoggiate su una lastra pavimentale dello stesso materiale, che sorreggono la lastra della mensa eucaristica. Padre dall’Asta ne fa una lettura catechistica e filologica, propone l’interpretazione di una moderna ara di martiri cristiani, la tomba sulla quale si celebravano sacrifici in antichità. L’altare di Parmiggiani, secondo il critico ecclesiale, invita quindi il cristiano alla riflessione sulla morte e sulla possibilità di resurrezione attraverso il sacrificio di Cristo celebrato durante la Messa. Dall'Asta non lo dice, ma in effetti la basilica sorge in luogo già centro di antico culto religioso e bosco sacro citato in una pergamena dell’anno 924. A quell’epoca Gallarate era un villaggio abitato dai discendenti degli antichi Romani e da quelli dei barbari - Celti, o Galli, da cui deriverebbe anche il nome della città Gallorum arx, che starebbe per “cittadella dei Galli”, oppure Gallorum ara, ad indicare il relativo luogo di culto.

La mia lettura, volutamente più laica, si interroga su chi sono le "persone", uomini, donne adolescenti, che compongono l'altare. In una donna velata pare di scorgere la Pietà Michelangiolesca, altre effigi rimandano a frantumi di umanità, volti di filosofi, pensatori, condottieri, artisti. Penso a quante volte ho incrociato resti di marmi come questi, di aspetto ellenico o latino, poi rinascimentale, nei miei studi classici e nelle nostre città d’arte: la nostra cultura, sviluppatasi nell’area greco-romana in tempi anteriori alla venuta di Cristo, ne è ricchissima. Parmiggiani ci riporta alle origini della civiltà in cui i valori del bello e del buono, della educazione alla perfezione e alla democrazia, davano all’umanità la possibilità di elevarsi a divino. Ecco, queste teste rappresentano la bellezza della storia umana, la nostra memoria, qualcosa che ci è familiare, che sappiamo essere la nostra radice. Sono una provocazione sulla nostra identità, oggi dormiente, eppure intimamente luminosa, che costituisce il substrato culturale di cui siamo figli. Tanto più grande la speranza di ciò che possiamo essere, tanto più strettamente legata alla fede di cui siamo capaci, sembra suggerire Parmiggiani. La scelta dell’onice, che ha una tessitura traslucida molto differente dal marmo di Carrara, che pure era candidato alla fornitura, non è casuale, e mi dispiaccio davvero che le tante foto circolate sui social non rendano minimamente il senso di luce, di serenità, di vita che questa opera esprime.

Al termine della conferenza, dal pubblico si alza qualcuno che a nome dei gallaratesi contesta aspramente la scelta dell’opera in un contesto di arte sacra, rispedendo al mittente gli sforzi del MAGA per dotare la Basilica di una installazione contemporanea di alto valore artistico. L’episodio mi ricorda quanto difficile è stato – e a volte è ancora - l’apprezzamento della città di Varese per la statua del Paolo VI di Floriano Bodini, o dell’affresco della Terza Cappella di Guttuso a Sacro Monte di Varese. Anche trent’anni fa la Chiesa aveva necessità di riavvicinarsi ai fedeli. Per questo Monsignor Macchi, allora arciprete di Santa Maria del Monte e segretario di Paolo VI, avviò un dialogo con gli Artisti, chiedendo anche ai più laici di esprimere la sacralità insita nell’Uomo. Una conferma che il nostro tempo continua a spegnere ogni indugio sulla mistica dei simboli, ogni possibilità di apertura meta-fisica,in nome di una certezza banale o superficiale.

Da oggi si spengono i riflettori istituzionali sull’opera di Parmiggiani, e continuano le visite guidate, il coinvolgimento di giovani ciceroni, e soprattutto – mi auguro - il passaparola emozionale di chi, come me, è stato conquistato dal significato profondo dell’opera di Parmiggiani. 

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