L’avvento del 5G e le preoccupazioni sull’inquinamento elettromagnetico.
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Ormai è in dirittura d’arrivo la sperimentazione della nuova tecnologia radiomobile di quinta generazione, l’ormai famoso 5G, e nel giro di alcuni mesi si dovrebbe passare – anche in Italia – ad una fase pre-commerciale e poi finalmente commerciale.
Per i dettagli squisitamente tecnici sul 5G si rimanda alle fonti specializzate. E’ però da tenere ben presente, per quello che qui diremo, che il 5G è essenzialmente una tecnologia wireless, cioè basata sulla emissione di onde radio, quindi onde elettromagnetiche (come del resto tutte le tecnologie mobili e wireless esistenti finora). Quello che caratterizza maggiormente lo scenario che verrà a crearsi con il 5G, a differenza delle precedenti tecnologie, è il carattere pervasivo e massivo del dispiegamento di apparati rice-trasmittenti che, in ottica futura, equipaggeranno non solo i dispositivi portatili personali (come smartphones, tablets, ecc.) ma anche oggetti della più varia natura ( automobili, elettrodomestici, contatori, centraline, linee elettriche, ecc.) creando una densità di apparati che trasmettono (e ricevono) onde elettromagnetiche con una concentrazione e densità mai vista finora.
Se da un lato questa nuova tecnologia apre nuovi ed inediti scenari nel panorama delle telecomunicazioni, dall'altra apre anche una diffusa preoccupazione sugli effetti sanitari che potrà avere una esposizione alle onde elettromagnetiche così ampia ed ubiquitaria.
Infatti è noto che le onde elettromagnetiche sono degli agenti fisici che in particolari condizioni possono causare effetti dannosi alla salute umana. C’è una vasta letteratura in proposito ed è impossibile riassumere qui in poche battute lo stato dell’arte delle conoscenze in materia. Occorre però accennare a due fatti:
Vale però, in ogni caso, tenere a mente il detto che “la assenza di una prova non equivale alla prova di una assenza” (di un effetto negativo). Questo assunto, in breve, ha dato vita al cosiddetto “principio di precauzione”, che viene un po’ declinato in tutte le salse, ma che essenzialmente possiamo riassumere con l’affermazione che “se non sono ben chiari o non si è ragionevolmente sicuri della assenza di effetti nocivi di una qualunque cosa, sarebbe bene sospenderne o limitare l’uso il più possibile in attesa di saperne di più”.
Proprio per tener conto di questo principio di precauzione alcuni Stati, tra cui l’Italia, hanno fissato nella legislazione in materia di protezione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici, delle soglie che sono significativamente al di sotto di quelle fissate dall' ICNIRP, le quali - ricordiamo ancora - contemplano solo gli effetti a breve termine.
Infatti nella seguente tabella sono riportati i valori limite del campo elettrico (grandezza che si misura in Volt diviso metro, V/m) per alcuni Stati, europei e non: come si vede, i valori sono divisi per bande di frequenza, e comunque i limiti vigenti in Italia sono significativamente più bassi della maggior parte dei limiti vigenti in altri Stati proprio perché contemplano la possibilità di effetti a lungo termine.
I valori duplici ( es. 20/6) significano che la legge distingue i limiti in situazioni diverse, con permanenza inferiore (20 V/m) o superiore (6 V/m) alle quattro ore (per l'Italia).
Un altro fatto da notare e da tener ben presente è che in Italia questi limiti sono i medesimi per qualsiasi frequenza, e quindi sono indipendenti dalla tecnologia usata. Sia che si parli di emissioni dovute al 5G, o alla radio, o ai sistemi cellulari già esistenti, o ai ripetitori TV, ecc. i limiti da osservare non cambiano. Rispetto a tali limiti (cautelativi), è quindi infondata la polemica che si fa sul 5G che “in quanto 5G” sarebbe più pericoloso di altre tecnologie. Non è né più né meno pericoloso a parità di emissioni elettromagnetiche. E’ vero invece che il carattere di diffusione ubiquitaria pone degli interrogativi di come potrebbe essere la configurazione del campo elettromagnetico una volta che si attiveranno questi sistemi (processo che tuttavia richiederà anni e non avverrà certo tutto in una volta). Ma nonostante questo, se i limiti vigenti e la modalità di rilevazione di tali limiti non cambierà, non cambierà assolutamente nulla neanche dal punto di vista delle emissioni elettromagnetiche e degli effetti ad essa correlati.
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E qui vorrei invece esplicitare alcune considerazioni proprio su questi due punti chiave, ossia la possibile modifica dei limiti e la modifica dei criteri di misura e valutazione dei campi elettromagnetici.
Già da qualche tempo la ITU-R (ossia la Unione Internazionale delle Telecomunicazioni) ha evidenziato, in una sua recente pubblicazione del maggio scorso (Supplemento 14 della Raccomandazione ITU-T serie K) che in quegli Stati “laddove i limiti CEM-RF ( ossia dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, ndr) sono più rigidi delle linee guida ICNIRP o IEEE, lo sviluppo della capacità di rete, sia 4G che 5G, potrebbe essere fortemente limitato e potrebbe impedire l'indirizzamento della crescente domanda di traffico dati e il lancio di nuovi servizi su reti mobili esistenti.”
Questo pone nuove questioni e discussioni su come bilanciare lo sviluppo tecnologico e la tutela della salute dalle emissioni elettromagnetiche. Infatti già nel recente passato, in alcune situazioni (essenzialmente in zone di grande concentrazione urbana) la soglia dei limiti permessi per il campo elettromagnetico era (ed è) praticamente raggiunta, e ciò impediva ulteriori installazioni di stazioni radio-base.
Anche se aumentare i limiti di esposizione sembrerebbe la soluzione più semplice - considerando il fatto che i nostri sono, come già detto, più cautelativi di quelli della maggior parte delle altre nazioni - essa in realtà non è esente da una forte resistenza di tipo sia concettuale sia in fatto di opinione pubblica, alla quale ovviamente parrebbe una operazione di messa a norma “fasulla” o “solo sulla carta” con l’effetto di destare ulteriori e più agguerrite opposizioni.
Ma occorre prestare attenzione ad un'altra metodologia più “tecnica” che è già stata adoperata e potrebbe ulteriormente essere usata per ricondurre a norma di legge situazioni che non lo sono o che sono vicine a non esserlo.
Così già nel 2012 il Decreto Legge n. 179/2012 ( c.d. "Decreto Sviluppo") ha introdotto alcune novità sia per quanto riguarda il calcolo previsionale dei campi elettromagnetici, introducendo un fattore di correzione che praticamente diluisce nel tempo, su base annuale, il totale delle emissioni di una determinata stazione radio ed introducendo la possibilità di ulteriori attenuazioni nei calcoli in casi particolari, sia per quanto riguarda le misurazioni strumentali dei campi elettromagnetici, introducendo una finestra di misura di 24 ore (laddove prima era di sei minuti!) per stabilire il valore del cosiddetto “livello di attenzione” che non deve essere superato in ambienti dove si permane o si può presumibilmente permanere, come già detto, per più di quattro ore. In questo modo si è bonificato “sulla carta” tutta una serie di situazioni che vedevano il livello di attenzione superato, e senza modificare i limiti di riferimento.
La logica che sta alla base di questo ragionamento non è del tutto sbagliata: infatti se si tratta di stabilire un livello di protezione da effetti cumulativi e a lungo termine, per non incorrere in sovrastime è giusto ampliare l’intervallo di osservazione. Ma allargare a 24 ore l’osservazione di un fenomeno o di una esposizione che non deve permanere più di quattro ore è palesemente un assurdo ed illogico. Inoltre in linea teorica un soggetto potrebbe stazionare di quattro ore in quattro ore in ambienti che singolarmente sono formalmente a posto, ma che cumulativamente non lo sono.
Infine una misura che duri 24 ore è molto più difficile logisticamente da condurre e più costosa da realizzare, per cui le azioni di controllo vengono ad essere complicate e diradate di molto, almeno nei casi più comuni.
In realtà un tecnico esperto sa come valutare i campi elettromagnetici e discernere le situazioni certamente a norma da quelle che meritano ulteriori approfondimenti, ma questi ultimi rischiano di diventare poi sempre più onerosi e complessi da realizzare.
A mio avviso, quindi, occorre raggiungere un compromesso ragionevole NON tra lo sviluppo di una tecnologia e la tutela alla salute - essendo quest’ultima sempre e comunque preminente sul primo - ma tra lo sviluppo tecnologico e il principio di precauzione, nella misura in cui quest’ultimo presenterebbe un rapporto costi-benefici sfavorevole. Posto che una progettazione qualitativamente più accurata ed alcune regole di razionalizzazione presumibilmente permetterebbero un uso molto più efficiente della risorsa radio già con i limiti attuali, ma comunque sarebbe meglio aumentare di un po’ (sempre se possibile e dello stretto necessario, assumendo comunque un livello di emissioni ragionevole ed in linea con gli ultimi studi in materia, se consentono di escludere effetti nocivi, e non certo per inseguire il mero tornaconto economico di alcuni soggetti) il limite dei campi elettromagnetici piuttosto che introdurre escamotage o trucchi “numerici” per far restare immutati - sulla carta - i limiti ma all'atto pratico esponendo la popolazione a esposizioni maggiori e rendendo sempre più difficile accertare, asseverare – e quindi correggere - le situazioni fuori norma. O, in altre parole, rendere più difficile non il superamento dei limiti, ma il suo rilevamento.