Le principali novità INPS per il 2024 e degli effetti sulla vita e sulla pianificazione previdenziale.
Non ci sono molte risorse da investire nel sistema pensionistico, né oggi, né per i prossimi anni: questo è il principale messaggio che la lettura delle novità pensionistiche per il 2024 ci ha lasciato. Se fino agli scorsi anni ci si era infatti limitati a modificare le regole solamente per chi era vicino alla pensione (con le varie Quota 100, Quota 102, Quota 103 e Opzione Donna), da quest’anno le cose sono cambiate: si è iniziato a mettere mano anche alle regole di chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996, con un assegno calcolato integralmente con il sistema contributivo.
L’aggiunta di “regole e paletti” anche per i più giovani racconta in modo chiaro come la spesa pensionistica, oggi e per le prossime due decadi, dovrà essere tenuta strettamente sotto controllo. Che cosa può dunque attendersi chi lavora, in termini di supporto da parte del sistema di welfare e dello Stato per i prossimi anni? Probabilmente non più di quello che già oggi viene dato. Ecco perché è necessario, per chi può, pianificare il prima possibile la propria serenità economica per gli anni della longevità.
Le novità per chi è vicino alla pensione
Il 2024 conserva un requisito pensato per agevolare chi è vicino alla pensione: Quota 103. Le novità introdotte hanno però fortemente depotenziato questa possibilità: vediamo perché.
Fino all’anno scorso, un “aspirante quotista”, oltre a soddisfare il requisito di 62 anni di età con 41 di contributi, doveva valutare se proseguire a lavorare, usufruendo del cosiddetto bonus Maroni, oppure andare in pensione. In questo secondo caso non avrebbe avuto penalizzazioni esplicite, se non quelle dovute al fatto che smettendo di lavorare prima si è più giovani e si versano meno contributi, ottenendo quindi una pensione più bassa. Inoltre, avrebbe dovuto considerare una finestra di 3 mesi per i lavoratori privati e di 6 mesi per quelli pubblici. Infine, se con un buon reddito, avrebbe dovuto accettare di sottostare a un limite temporaneo del valore della pensione, pari a cinque volte il minimo (circa 2.800 euro lordi) fino al raggiungimento dei 67 anni.
Dal primo gennaio 2024 le regole si sono inasprite: solamente il requisito di 62 anni di età e 41 di contributi è rimasto lo stesso. La pensione, infatti, viene ricalcolata integralmente con il solitamente meno conveniente sistema contributivo, come accade con Opzione Donna. A questa penalizzazione esplicita si somma poi quella implicita di smettere di lavorare prima. Ma non solo: le finestre sono salite a – rispettivamente - 7 e 9 mesi per dipendenti privati e pubblici. Per chi ha redditi elevati infine, la pensione massima fino ai 67 anni è scesa a circa 2.394 euro lordi, pari a 4 volte il minimo.
Tutta una serie di condizioni che rendono Quota 103 ancora meno attrattiva, anche perché, in fin dei conti, consente di anticipare il momento della pensione di al massimo 10 mesi (se donne) e 22 mesi (se uomini).
Per Opzione Donna invece nulla è cambiato: rimane una possibilità riservata a lavoratrici disabili, care giver e licenziate o occupate di aziende in crisi.
Consigliati da LinkedIn
Le novità per chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996
Chi si sentiva al riparo dalle riforme perché appartenente al sistema di calcolo contributivo, sostenibile per lo Stato perché basato sui contributi versati, ha dovuto ricredersi alla luce delle novità 2024.
A fronte di una “buona notizia” ne sono infatti arrivate quattro “non buone”. L’aspetto positivo della riforma è che per i più giovani è diminuito il rischio di dover andare in pensione oltre i 70-75 anni. Il requisito di pensione di vecchiaia contributiva (oggi pari a 71 anni di età, da incrementare per l’attesa di vita) è riservato solamente a coloro che, a causa di una carriera molto precaria e con bassi redditi, matureranno una pensione inferiore al valore dell’assegno sociale (534 euro nel 2024). Nel 2023 tale limite era invece pari a 1,5 volte l’assegno sociale.
Dove sono state reperite le risorse per consentire questa “buona notizia”? La risposta è in quattro modifiche ai requisiti che consentono di andare in pensione prima, a 64 anni di età (da adeguare per l’incremento dell’attesa di vita, con il requisito di pensione anticipata contributiva). Primo: se fino al 2023 la pensione doveva essere pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, da quest’anno la soglia è salita a 3 volte. Secondo: il requisito di 20 anni minimi di contribuzione è stato agganciato all’attesa di vita e quindi crescerà nel tempo. Terzo: è stata introdotta una finestra di 3 mesi per poter iniziare a percepire l’assegno e, quarto, per chi ha redditi elevati, fino al raggiungimento del requisito di vecchiaia, oggi pari a 67 anni, la pensione avrà un massimo temporaneo pari a cinque volte il trattamento minimo (circa 2.993 euro lordi).
Ultima novità, regole diverse per le madri: per le lavoratrici la soglia minima varia, infatti, a seconda del numero dei figli. Per chi ne ha uno, la soglia scende a 2,8 volte l’assegno sociale, mentre per chi ne ha due o più a 2,6 volte. Un meccanismo che ha sollevato un dibattito su come trovare misure che riconoscano l’oggettiva diminuzione dell’assegno pensionistico a seguito di una o più maternità, senza tuttavia discriminare chi non ha avuto figli.
La nuova normativa 2024 per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 è quindi più complessa e lascia la sensazione che in futuro altre limitazioni potranno essere inserite per ottenere risparmi di spesa pensionistica. Un motivo in più per pianificare fin da subito il proprio futuro, indipendentemente dalle evoluzioni normative.
In sintesi