Le ragioni del mio NO al referendum costituzionale del 20/21 settembre
Domenica 20 e lunedì 21 settembre 2020 gli italiani sono chiamati a esprimere il proprio voto sulla legge di revisione costituzionale che intende modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
Nel tentativo di non farci influenzare dalle diverse posizioni precostituite di simpatia e utilità politica, di seguito cercherò di fornire il mio punto di vista su ciò che mi spinge a esprimere il mio dissenso sulla riforma in questione, basandomi su argomentazioni che vogliono essere di natura squisitamente costituzionalista.
Innanzitutto occorre premettere che la riduzione del numero dei parlamentari non è una novità tra le revisioni (circa una ventina) che si sono succedute negli anni sulla nostra Carta Costituzionale, la stessa infatti nella sua versione originaria, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, prevedeva: "La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila" mentre "A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila", che nel 1948 corrispondevano, a fronte di una popolazione di circa 46 milioni di abitanti, a 574 Deputati e 247 Senatori della Repubblica, questi ultimi eletti appunto su base regionale.
Solo con la legge di revisione costituzionale n. 2/1963 prese forma l'attuale composizione delle Camere che noi tutti conosciamo, e che è ripartita in 630 Deputati e 315 Senatori, numeri che rispondevano nel 1963 alla rappresentanza della sovranità popolare di circa 51 milioni di abitanti. Pensiamo quindi che, secondo i criteri enunciati nel testo originario della Costituzione, per l'attuale popolazione italiana, pari a circa 60 milioni di abitanti, senza la revisione del 1963 oggi avremmo avuto orientativamente ben 750 Deputati, mentre relativamente ai Senatori, dato che come noto gli eletti sarebbero stati da computare in ragione della singola popolazione territoriale, una Regione come la Lombardia avrebbe avuto 50 Senatori, il Lazio 29 e via discorrendo, senza poi considerare i membri della circoscrizione estero in entrambe le Camere.
Dare qualche numero e dato storico era necessario per argomentare meglio le ragioni per cui, se da un lato è apprezzabile la riduzione del numero dei parlamentari già avvenuta nel lontano 1963, non possiamo non osservare come un'ulteriore riduzione, prospettata dalla riforma in corso che porterebbe da 630 a 400 i Deputati e da 315 a 200 i Senatori, altro non farebbe che comprimere eccessivamente la sovranità che il popolo italiano esercita attraverso i propri rappresentanti, accrescendo ancor di più il distacco tra questi ultimi e la propria base elettorale.
Da un punto di vista pratico mi vengono in mente diversi contesti istituzionali in cui con la diminuzione numerica di parlamentari si possano raggiungere con più facilità delle maggioranze qualificate. Nell'elezione del Presidente della Repubblica sarebbe più facile, al netto dei delegati regionali, raggiungere i 2/3 necessari alla maggioranza qualificata dei componenti delle Camere riunite in seduta comune. Idem per le leggi di revisione costituzionale, dove il raggiungimento da parte delle Camere dei 2/3 dei componenti consentirebbe ai parlamentari, ormai a ranghi ridotti, di modificare ulteriormente la Costituzione senza concedere al popolo la possibilità di esprimere il proprio dissenso tramite il referendum confermativo, ledendo così anche istituti di partecipazione diretta del popolo alla formazione delle leggi.
Ciò che però più mi preoccupa, considerando che attualmente i membri delle Camere per portare avanti i diversi iter legislativi si riuniscono in Commissioni, 14 permanenti in ogni ramo, oltre quelle speciali e bicamerali, è che un minor numero di parlamentari comprometterebbe e ritarderebbe il già carente funzionamento dell'attività parlamentare, e ciò potrebbe degenerare in un maggiore utilizzo dello strumento della delegazione della funzione legislativa in capo al Governo, reso a quel punto necessario dalla paralisi legislativa ordinaria. Senza fare allarmismi su derive autoritarie del potere esecutivo, mi sembra in ogni caso che da questa riforma ne esca indebolita oltremodo la funzione legislativa intesa nella ripartizione dei poteri di scuola Montesquiana, di cui è titolare il Parlamento attraverso il quale il popolo esercita la propria sovranità.
L'Unione Europea ci offre un esempio concreto di deficit rappresentativo nella composizione del Parlamento Europeo, pari a 705 membri (dato post Brexit) di cui 76 eletti in rappresentanza dei già citati 60 milioni di italiani, che appunto già da molti viene additato come un difetto di rappresentanza degli elettori in sede europea. D'altro canto questo difetto di rappresentanza è acuito dai rapporti tra Parlamento e Commissione Europea, giacché il primo, seppur dotato di funzione legislativa, di fatto rimane subordinato all'iniziativa legislativa sempre e solo di competenza della seconda.
Votare il 20 e 21 settembre per esprimere il nostro NO alla revisione della Costituzione è importante, infatti a differenza dei referendum abrogativi, per la validità dei quali è necessario raggiungere il quorum pari alla metà + 1 degli aventi diritto, la riduzione dei parlamentari potrebbe avvenire semplicemente con il raggiungimento della maggioranza delle preferenze del SI nei voti validi.
Chiaramente vanno esaminate anche le ragioni del SI alla riduzione del numero dei parlamentari, mosse principalmente dalla legittima condanna del popolo ai privilegi della casta politica, che condivido pienamente, ma ad essere onesti oltre a motivi di giustizia sociale o di riduzione della spesa pubblica, non trovo valide argomentazioni che mi spingano a sostenere la riduzione numerica dei parlamentari, posto che se l'obiettivo della riforma fosse realmente il contenimento della spesa pubblica, allora sarebbe auspicabile che questa fosse raggiunta tramite una riduzione dell'indennità in favore degli stessi parlamentari. Non dimentichiamo che l'incarico parlamentare non è un lavoro per il quale colui che assolve a tale ruolo ha diritto a una retribuzione, infatti l'art. 69 della Costituzione prevede espressamente l'erogazione di un'indennità, stabilita con legge ordinaria che risale al 1965, composta da varie voci tra cui la diaria a titolo di rimborso spese, finalizzata a permettere ai membri delle Camere di svolgere l'incarico con indipendenza, dignità e decoro.
Infine quindi, da un minor numero di parlamentari ne uscirebbero compromesse principalmente la sovranità popolare e la funzione legislativa nelle materie di competenza statale, mentre i pochi parlamentari che rimarrebbero (dubito che resisterebbero i più capaci e meritevoli, bensì i più forti nelle dinamiche di partito) ne uscirebbero rafforzati, andando a costituire una classe parlamentare ancora più elitaria, più potente, con maggiori responsabilità e carico di lavoro, e non mi meraviglierebbe che un domani, a fronte delle maggiori attività che graverebbero sulle loro spalle, i pochi rimanenti non possano sentirsi legittimati...ad aumentarsi lo "stipendio"!