Lepri o tartarughe?
Un giorno la lepre sfidò la tartaruga in una gara di velocità, certa di vincere e di farsi beffa della sua lenta rivale.
La tartaruga accettò benevola la sfida e alla partenza iniziò, lenta, la sua inesorabile marcia verso il traguardo. La lepre invece, sopravvalutando le proprie capacità, se la prese con comodo. Fece un sonnellino, si fermò a mangiare e a chiacchierare con qualche amico e quando si accorse del ritardo accumulato non fece più in tempo a recuperare.
Il risultato fu che la tartaruga arrivò prima della lepre, la quale fu beffata dalla sua boria.
La favola di Esopo è foriera di molti insegnamenti, tra cui quello di non sovrastimare il proprio talento, che ha bisogno di accompagnarsi alla perseveranza e alla pazienza, di cui senz’altro la tartaruga risultò dotata.
Tempo al tempo
E qui sta un altro insegnamento della favola di Esopo, cioè dell’importanza di dare tempo al tempo e di pazientare, cosa che sempre di più pare essere una capacità alquanto rara.
Ne ho avuto riprova durante un recente viaggio in aereo dove, come sappiamo, è obbligatorio spegnere i cellulari. All’atterraggio, non appena è stato dato il via libera dal comandante, ho scoperto che intorno a me ero probabilmente circondata da un centinaio di medici pronti a dare istruzioni per salvare vite di altrettanti pazienti, perché la velocità alla quale tutti hanno tentato di riaccendere i propri cellulari è stata pari a quella a cui ti iniziano a suonare se a Milano non parti con il verde al semaforo. Un nano secondo. La cosa più preoccupante è stata constatare l’impazienza della persona seduta accanto a me, il cui cellulare non si stava accendendo alla velocità attesa. La passeggera ha iniziato a ingaggiare una lotta con il device, sbuffando ripetutamente e maledicendo nel frattempo il produttore dello smartphone, agitato con un certo nervosismo nelle sue mani.
Internet ci ha portato indubitabili vantaggi e io non faccio parte della schiera di coloro che sostengono che si viveva meglio quando si viveva peggio.
Alcune cose però ci sono state tolte da questo meraviglioso mondo virtuale iperconnesso a cui consegniamo ormai parte consistente della nostra vita.
Una di queste è senz’altro la pazienza, e soprattutto la disponibilità ad accettare il naturale - o necessario - fluire del tempo delle cose.
Ora vogliamo che tutto accada subito, e soprattutto quando lo desideriamo noi. L’imprevisto non è accettato, non è vissuto neppure più come un piacere il gusto della ricerca e del tentativo di risolvere piccoli intoppi quotidiani che, insieme ad essere variazioni sul tema, possono rivelarsi ottimi esercizi di attivazione neuro funzionale.
A chi non capita mentre si cena con amici di non ricordare il nome di un attore o il titolo di un film? Non si fa neppure più lo sforzo di aiutare la nostra memoria a fare un esercizio, peraltro ludico: l’enciclopedia di Google ci deve offrire subito la risposta.
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E questo vale per tutto: il tempo ha assunto una dimensione diversa; la noia è inammissibile, l’attesa non ha più spazio nelle nostre vite.
La tartaruga di Esopo ci offre un importante insegnamento di cui far tesoro: puoi scegliere come vivere il tuo tempo, ne puoi godere al meglio senza diventarne schiavo e senza che l’attesa sia un vuoto da colmare necessariamente. O semplicemente lo si può “riempire” in modo diverso da come oggi siamo abituati, che non appena saliamo su un mezzo pubblico, come pistoleri di un film western, tiriamo fuori il nostro smartphone per comunicare e connetterci con qualcuno distante da noi, senza concederci il piacere e la sorpresa che possono derivare dal ricercare una umana connessione con quanti ci circondano.
Piegati e (s)connessi
Dobbiamo saturare ogni momento della nostra vita connessi, spesso in modo monodirezionale, magari con una blogger di Instagram, del tutto ignara di noi, rinunciando invece al piacere di generare umane connessioni e insolite scoperte con chi ci è seduto accanto, anche solo grazie allo scambio di un sorriso, che pare peraltro contribuisca a migliorare notevolmente il nostro e altrui benessere.
Tartaruga fatti maestra, regalaci un po’ della tua sapiente e cocciuta pazienza, aiutaci a recuperare il senso del tempo, a regalare spazio a ciò che chiamiamo vuoto, quella parentesi in cui la non occupazione possa trasformarsi in piacevole scoperta di qualcosa che neppure sappiamo esistere. Chissà che le persone possano tornare ad innamorarsi su un treno scambiando sguardi e promesse future che diversamente il capo chino sui loro smartphone non può regalare loro, come i miei nonni materni che si conobbero senza Tinder ma alimentando timidi sguardi sul treno tra Vigevano e Porta Genova. Se avessero cercato di sedare la noia passando il tempo tra un youtuber e una fashion blogger, riversi sui loro device, non sarei nata.
Riprendiamoci il nostro tempo, le sue sospensioni e i suoi vuoti. L’attesa non è uno spreco se le diamo un senso di scoperta che per definizione è accorgersi di qualcosa che non sapevamo esistesse e neppure sapevamo di cercare.
Chissà che le nostre vite possano arricchirsi di qualche meraviglia in più e non solo farsi spettatrici di altrui esistenze attraverso degli schermi.
La gara per il finestrino
Vi ricordate quando da piccoli facevamo a gara per stare vicino al finestrino per poter osservare fuori e passare così il tempo? Oggi nessun bambino lo chiede più, ovviamente, avendo ben altro con cui passarlo. Che cosa facevano i nostri genitori quando dicevamo loro che ci annoiavamo, ben diversi da quelli di oggi che, affinché non accada, pianificano le vite dei figli come l’agenda di Biden? Niente, al massimo ci dicevano di scendere in cortile o mettere a posto la camera.
“Per compensare mettevamo in moto il cervello” ricorda Pamela Paul nel suo saggio, "100 cose che abbiamo perso per colpa di internet", “facendo caso al mondo intorno a noi, al suo ritmo naturale, liberi dalla necessità di passare incessantemente da una novità all’altra”, dando modo al cervello di recepire nuovi stimoli e creare nuove connessioni, che prendono il nome di idee.
Lasciando spazio al tempo “la nostra mente comincia a divagare”- conclude Paul - “e noi la seguiamo. Bisogna spegnere il flusso in ingresso per generare un flusso in uscita. Ma il problema è che il flusso in ingresso non si ferma mai”.
Chissà se essere un poco più tartarughe e meno lepri potrebbe aiutarci a vivere un po’ meglio.
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2 anniCara Alessandra Colonna, grazie per il bel post. All'interno del quale ci sono, come al solito, molti spunti di ragionamento e discussione.
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2 anniLa ringrazio per la bellissima citazione e riflessione.... anche io ragiono da tempo con preoccupazione su questa "deriva di vita", che ci riguarda tutti e di cui spesso nemmeno ci rendiamo conto, purtroppo! Basta fare 2 passi per strada per rendersi conto che ormai le persone a passeggio nemmeno guardano più dove mettono i piedi per tenere gli occhi incollati ai device. Sembra di essere in una città di lobotomizzati, persino gli zombies di "The walking dead" al confronto parrebbero dei campioni di vitalità! Lei ha espresso questo, ormai vero e proprio problema, con grande efficacia, sensibilità e umanità, con riferimento poetico alla favola di Esopo. Un grande classico, che ci ricorda il migliore esempio di ciò che eravamo e che dovremmo veramente essere. Grazie ancora 🙏
Purchasing and Supply Chain Consultant - Temporary Mgr
2 anniQuanto è vero ! I treni potrebbero essere senza finestrini al giorno d'oggi ! Non mi sembra un gran risultato della vita moderna ........... 😆
China and geopolitical analyst, expert in the Oil and gas field
2 anniPillole di saggezza
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2 anniIl tempo...tocchi un tema a me caro e su cui lavoro da tanto tempo.Per esser sempre più presente nel presente, che è l'unica vera realtà. Oggi è un miracolo che quando sei con una persona e stai parlando, non fa capolino il cellulare.E guai a non immortalare momenti di vita, come fotpgrammi di un film; peccato che ti perdi la parte migliore. Penso un paio di cose che sono molto retrò: amo i libri cartacei e non riesco a leggerne uno digitale per chè mi piace avere un rapporto materico, il fare le orecchie alle pagine, sottilineare; mi ritengo profondamente fortunata di esser stata bambina negli anni 80, in provincia, ad inventarsi giochi con qualsiasi cosa. Sono grata alla tecnologia ma, ne prendo q.b., come era scritto sul quaderno di ricette di mia mamma.