L'illusione dell'infallibilità degli algoritmi nella selezione del personale
L'illusione dell'infallibilità degli algoritmi nella selezione del personale
Negli ultimi anni, le aziende hanno sempre più affidato la selezione del personale a strumenti basati su algoritmi, convinte che la tecnologia potesse ottimizzare il processo, riducendo i tempi e minimizzando i pregiudizi umani. Tuttavia, l'uso di algoritmi in questo contesto può dimostrarsi fallace e addirittura controproducente. Ecco alcune delle principali criticità.
1. Bias impliciti e pregiudizi codificati
Uno dei principali problemi degli algoritmi di selezione è che possono amplificare pregiudizi preesistenti. Gli algoritmi sono addestrati su dati storici che, se non bilanciati o rappresentativi, possono riflettere le discriminazioni presenti nella società. Ad esempio, se un'azienda ha storicamente assunto più uomini rispetto alle donne in certi ruoli, un algoritmo potrebbe considerare tale tendenza "normale" e perpetuarla.
Nel 2018, è emerso un famoso caso di bias algoritmico legato a un sistema di intelligenza artificiale usato da Amazon. Il sistema, addestrato su dieci anni di dati aziendali, penalizzava i curriculum di candidate donne, perché i dati storici riflettevano una preferenza aziendale per i candidati maschi. Questo dimostra come anche gli algoritmi apparentemente neutri possano essere influenzati da vecchie pratiche discriminatorie.
2. Limitazioni nell'analisi delle soft skills
Gli algoritmi tendono a focalizzarsi su criteri misurabili e oggettivi, come esperienze precedenti, qualifiche e competenze tecniche, lasciando da parte elementi più complessi e meno quantificabili, come le soft skills. Tuttavia, queste competenze — come la capacità di comunicare, di lavorare in team, e la resilienza — sono fondamentali per il successo di un candidato nel lungo termine.
Le macchine sono ottime per analizzare dati rigidi, ma le soft skills richiedono un livello di intuizione e comprensione che spesso sfugge agli algoritmi. Questo limite può portare a una selezione distorta, che privilegia chi ha un curriculum impeccabile sulla carta, ma magari non possiede le competenze relazionali o emotive necessarie.
3. Scarsa trasparenza e accountability
Gli algoritmi di selezione sono spesso delle "scatole nere" di cui le aziende stesse non comprendono appieno il funzionamento. Questo crea un problema di trasparenza: è difficile per i candidati sapere su quali criteri vengono giudicati e, in caso di errore, c’è poca chiarezza su come correggerlo. Inoltre, se un algoritmo "decide" che un candidato non è idoneo, chi è responsabile di quella decisione?
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Questo può risultare dannoso non solo per i candidati, ma anche per l'azienda stessa, che rischia di perdere talenti validi per colpa di decisioni algoritmiche non ottimizzate o basate su dati incompleti.
4. Riduzione dell'umanità nel processo di selezione
La selezione del personale è, per sua natura, un processo fortemente umano. Affidarsi completamente agli algoritmi rischia di disumanizzare il processo, creando un'esperienza impersonale per i candidati. L'empatia e la comprensione che un selezionatore può offrire sono elementi cruciali per stabilire relazioni, riconoscere il potenziale nascosto e valutare le aspirazioni e i valori di un individuo.
Inoltre, ridurre tutto a un processo meccanico può allontanare i candidati, soprattutto in un contesto in cui l'engagement e la cultura aziendale sono sempre più importanti.
5. Potenziale per decisioni scorrette o inefficaci
Infine, gli algoritmi non possono sempre prevedere con precisione il successo di un candidato in un ruolo specifico. Persone con profili non convenzionali ma con grande potenziale possono essere scartate semplicemente perché non corrispondono ai modelli ideali predefiniti. Questo rischia di escludere individui con grande talento, che potrebbero portare diversità di pensiero e innovazione all'interno dell'azienda.
Conclusione
L'uso di algoritmi nella selezione del personale può offrire efficienza e un certo livello di oggettività, ma non è esente da problemi. Il rischio di amplificare pregiudizi esistenti, trascurare le competenze relazionali e disumanizzare il processo sono aspetti che le aziende devono considerare attentamente. In definitiva, l'intelligenza artificiale e gli algoritmi dovrebbero essere strumenti complementari al giudizio umano, non sostituti.
Per evitare che l’uso di questi strumenti diventi un boomerang, le aziende devono lavorare per garantire trasparenza, monitorare i bias e, soprattutto, mantenere il fattore umano al centro del processo di selezione.