L’importanza della gestione della crisi nell’era dell’omnichannel.
Il recente caso di Dolce & Gabbana in Cina dovrebbe farci riflettere.
Avete mai sentito parlare di “Crisis Management”? Alla luce del recente tsunami che ha travolto D&G, in Italia siamo ancora abbastanza acerbi in materia.
Non voglio entrare in considerazioni soggettive socio-politiche, di buon e cattivo gusto ecc. Sono un pubblicitario, uomo di marketing e docente e il mio obiettivo è affrontare oggettivamente alcuni casi studio in modo distaccato e professionale.
La reazione che il noto brand di moda ha avuto nei confronti del blocco da parte della Cina, dopo che il suo spot è stato giudicato sessista e razzista, è stata disorganizzata. É la dimostrazione lampante che mancasse completamente una costruzione a monte di un impianto di crisi. Quando ci sono investimenti così ingenti, non si può prescindere dalla realizzazione di una strategia per poter reagire ad eventuali attacchi.
Anni fa gli anglosassoni, pionieri del nostro mestiere, già realizzavano piani per gestire la crisi menzionando la “golden hour” come tempo entro cui si doveva reagire all’offensiva mediatica.
Ora, con l’avvento dei social, questa esigenza deve diventare un must, riducendo i tempi di risposta entro l’ora.
Se la creatività (ancora oggi per fortuna il traino di qualsiasi lavoro pubblicitario) si usa in modo corretto, originale e addirittura dissacratorio e provocatorio, a maggior ragione si deve investire anche in una strategia che gestisca eventuali reazioni negative.
Di seguito due casi diversamente affrontati.
Abbiamo l’affissione di Pandora, che ha scatenato un putiferio non gestito sui social, tanto da essere stata ribattezzata “epic fail” (fallimento epico). Il brand di gioielli danese è stato travolto da un'ondata di accuse di sessismo, dalla quale non è riuscito a rimanere a galla a causa di una reazione inadeguata.
Invece un efficace e previsto piano di crisis management è stato messo in campo nella campagna di Buondì Motta del meteorite che sterminava i genitori della sorridente fanciulla.
Il cliente, in collaborazione con Saatchi & Saatchi (agenzia che ha curato la creatività) e MSL Group (agenzia digital), hanno gestito la crisi controbattendo alle critiche sempre con la massima ironia, non indietreggiando mai di un passo. Anzi, morta la madre, anticiparono l’uscita dello spot nel quale il meteorite schiacciava anche il padre… Una famiglia disintegrata per una colazione…
Forse avevano ragione Toscani e Benetton che quando negli anni ’90 sconvolgevano l’Italia con le loro immagini provocatorie, si appropriarono di un motto spesso usato: non mi importa che se ne parli bene o male… L’importante è che se ne parli. Tanto la memoria della gente è corta e col tempo ci si ricorda solo il brand di cui si è discusso, ma non il motivo che ha scatenato la discussione.
Aggiunta mia: senza esagerare…
Speriamo che questi esempi facciano crescere tutto il sistema nella cultura del crisis management: prima di tutto noi pubblicitari, che dobbiamo indottrinare i clienti su questo. Sempre con uno spirito collaborativo e scendendo dalla cattedra dei professorini o peggio ancora dei guru che sono figure ormai anacronistiche.
Mi piacerebbe che commentaste questo mio articolo nell’ottica di un confronto costruttivo finalizzato all’arricchimento reciproco.
Founder e direttore creativo
Key Account Manager; Marketing & International PR; Journalist
5 anniOsservazione molto interessante e centrata. È fondamentale conoscere chi si vuole raggiungere e valutarne le possibili reazioni positive e negative. Lo studio delle campagne di comunicazione, in particolare quelle che fanno leva su messaggi provocatori, dovrebbe sempre includere l'analisi delle possibili contestazioni e delle relative ribattute o risposte. Uno studio sbagliato o incompleto può portare a danni di gran lunga maggiori ai benefici previsti. È tattica, applicata alla comunicazione.