L'intelligenza artificiale è senziente?
Nelle scorse settimane mi è capitato più volte che mi rivolgessero la domanda: l'intelligenza artificiale è senziente?
Lo spunto deriva da alcuni articoli su come LaMDA (Language Model for Dialogue Applications), un progetto di riconoscimento del linguaggio naturale di Google, aveva risposto in modo opportuno e sensato alle domande di uno degli ingegneri e di un suo collaboratore.
Malgrado sia un tema affascinante e di sicura presa sul pubblico, dove ognuno può sentirsi titolato nell'esprimere un giudizio o la propria posizione su quello che in realtà è un tema molto complesso e decisamente multidisciplinare, personalmente ritengo che venga posto il quesito errato.
La domanda non dovrebbe essere se l'IA sia senziente, ma se noi, esseri umani, lo siamo davvero.
Pensiamoci un attimo prima di mettere all'indice questa apparente eresia e bestialità. Se si potesse ammettere che almeno una parte della nostra mente sia in effetti un algoritmo molto sofisticato, prodotto di affinamenti sempre più precisi e tale da rispondere sempre in modo opportuno alle domande che ci vengono poste, allora sollevare il dubbio che noi stessi si sia il prodotto di tale algoritmo non sarebbe più così estremo.
Consideriamo un infante. Sa solo piangere e tentare smorfie. Poi, man mano, evolve, si impadronisce sempre più di almeno un linguaggio verbale (e molti altri non verbali) e sviluppa ciò che tutti concordemente chiamiamo intelligenza. Ed ovviamente nessuno pensa che non sia senziente. Eppure ciò che fa è rispondere in modo appropriato agli stimoli che riceve, allenato costantemente da chi lo circonda e da quanto avviene.
Non è sorprendente se la critica a questa visione meccanicistica sia la solita che vede nella creatività e nei "sentimenti" ciò che denoti l'essere umano quale senziente e releghi una qualunque IA a ruolo di sofisticato giocattolo.
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Ma da decenni esistono algoritmi in grado di produrre tesi universitarie coerenti, complete di grafici e tabelle, partendo da pochi termini inseriti all'inizio. Idem per espressioni artistiche.
Quindi perché rifiutare a priori l'idea che anche noi siamo in fondo delle macchine, molto evolute e complesse, ma pur sempre macchine biologiche che eseguono algoritmi di cui non abbiamo coscienza.
Si dirà che è la nostra emotività a renderci umani. Giusto. Prendiamo la scena di un film, costruita appositamente per suscitare una determinata reazione in quella parte di pubblico che condivide i riferimenti culturali dello sceneggiatore e del regista. Testi, musiche ed inquadrature porteranno tutti a reagire nel medesimo modo. Possiamo considerarlo un segno della nostra umanità e capacità di essere senzienti? Rispondiamo pure in modo decisamente affermativo.
Ora, però, prendiamo un algortitmo evoluto ed osserviamo che abbia la nostra stessa reazione. Perché dire che non è senziente? Reagisce come noi; se non sapessimo che sia un algoritmo lo considereremmo uno del gruppo, uno di noi.
Per questo, la mia domanda è se noi stessi siamo senzienti. Ovvero, se esista qualcosa che determini l'essere o meno senziente. Se preferite, se esista in assoluto la categoria "senziente".
Quanto precede vuole essere semplicemente uno spunto di riflessione per quella che, per ora, può restare una chiacchiera da bar tra amici. Vi invito a leggere la trascrizione completa delle interazioni con LaMDA (trascurando le parti dove si insiste sul far dire che sa di essere una IA e, quindi, cosa diversa dall'uomo).
Leggetela con la mente aperta e valutatela in prospettiva. L'algoritmo potrà e dovrà ancora migliorare. E prima o poi avrà a disposizione la potenza di calcolo di un computer quantistico. Lì inizieranno i veri guai...
Architetto presso Comune di Bologna
2 anniMolto interessante!