L’intelligenza artificiale in dermatologia: siamo obsoleti?
Come in tutti i campi, anche in dermatologia, iniziano i primi esperimenti di intelligenza artificiale (da ora in poi IA), essendo io un medico molto vicino alle tecnologie in genere mi sembra un argomento interessante del quale discutere.
Il problema non è se l’intelligenza artificiale ci sostituirà, vi levo subito ogni dubbio, la questione è quanto tempo impiegherà a farlo, anni o decenni?
Per gli scettici della IA ricordo che nel 97 Kasparov ha perso a scacchi da un computer con intelligenza artificiale, il computer di Google nel 2016 ha vinto contro il campione cinese di Go, un gioco semplice ma con un numero di mosse possibili superiore al numero di atomi presenti nell’universo, mentre Libratus, un altro software di IA, nel 2017 ha stracciato i 4 maggiori campioni di Texas Hold’em e ha anche imparato a bluffare.
Parlare a una audience prevalentemente fatta di medici di argomenti come l’intelligenza artificiale, significa cercare di far entrare un elefante in una grondaia, possibilmente senza romperla. Inizierò dunque facendo chiarezza su termini e argomenti ostici ai più.
Partiamo dalla base, intelligenza artificiale è un termine giornalistico (come mappatura dei nei), in realtà si dovrebbe parlare di machine learning, termine non solo più corretto ma scevro da quel minimo di inquietudine che il nome intelligenza artificiale porta con sé. In particolare, il machine learning è una procedura software che ha il compito di elaborare una funzione adatta a creare un output corretto fornendo degli input adeguati.
Mi spiego meglio, utilizzando un normale software come è ad esempio excel (uso questo perché i rudimenti li hanno quasi tutti) noi immettiamo una formula (detta funzione) che, scrivendo un determinato numero in una casella (detta input), restituisce il risultato giusto (detto output). Esempio: scrivo la funzione “somma 10”, come input scrivo “12” e ottengo “22” come output, semplice no?!
Nel machine learning il computer ha un lavoro più gravoso, è proprio la “funzione” che è sconosciuta e che il computer deve trovare, in un primo momento, grazie a input e output certi. Ad esempio, vengono immessi una gran quantità di segni e sintomi come input e diagnosi come output, il computer deve trovare la funzione che permette di arrivare all’output partendo dagli input.
In poche parole, c’è bisogno di un periodo di allenamento con molti dati, dopodiché il software trova una funzione in cui a determinati segni e sintomi assegna lei una diagnosi. All’inizio la funzione sarà grossolana e darà risultati sbagliati ma poi, continuando l’allenamento (per questo si chiama machine learning), la funzione sarà sempre più complessa e con risultati sempre più precisi, fino a quando non sbaglierà quasi mai.
Per scendere nel nostro specifico caso, inserendo molte fotografie con le corrette diagnosi (rispettivamente input e output), dopo un po' di tempo il computer avrà elaborato una funzione che lega questi dati e a quel punto il software sarà in grado, attraverso delle fotografie, di fare una diagnosi.
L’intelligenza artificiale in buona sostanza si costruirà un suo algoritmo diagnostico (funzione), che crescerà in precisione con il tempo e l’allenamento.
Anche se alla gran parte di noi non piace pensarlo, la dermatologia si presta meglio di altre specialità mediche alla IA cosi come alla telemedicina, tanto desiderata dai nostri governanti, e anche dalla popolazione in verità; gli investimenti in questo campo sono e saranno sempre di più importanti.
Ad oggi l’unico esempio, noto al pubblico, di intelligenza artificiale applicata alla dermatologia è quello di Visual dx si tratta sostanzialmente di banche dati di immagini a cui viene data una diagnosi e sulle quali poi l’IA “ragiona” e si “allena” per fare diagnosi su altri casi che le vengono sottoposti.
Al momento dichiarano di avere una banca dati di 45 mila immagini sulle quali fanno “allenare” l’IA, se considero che solo nella mia struttura se ne producono circa 60 mila l’anno e che, in dermatologia, esistono quasi 2 mila diagnosi diverse, non mi pare un gran database di partenza.
Dicono di essere presenti in oltre 23 mila strutture sanitarie e che il suo utilizzo sarà gratuito, un po' alla google earth, mi ricorda una vecchia massima “Se non lo paghi, il prodotto sei tu”.
Torniamo a valutare quanto tempo può impiegare l’IA per diventare valida, gli argomenti da affrontare sono diversi.
In primo luogo, prenderei in considerazione il fatto che le dermatosi, per essere comprese e identificate, hanno necessità non solo di una visione della singola lesione ma anche della distribuzione di queste sulla superficie corporea e questo rende molto complesso l’analisi fotografica, in buona sostanza non funziona come in botanica dove la fotografia della foglia fa risalire alla tipologia di pianta con certezza. Altro problema è quello della illuminazione con la quale vengono acquisite le immagini, ad esempio la luce incidente massimizza i rilievi e gli avvallamenti mentre la luce diretta migliora i colori ma appiattisce la lesione; fossi l’ideatore del sistema, proporrei dei video più che le immagini statiche, sicuramente più difficile da analizzare ma permette di acquisire molte più informazioni (un po' come il Face ID sul telefono).
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Altro ostacolo è che noi medici abbiamo traiamo informazioni anche dalla storia clinica del paziente e sappiamo perfettamente che questa cambia molto a seconda della sensibilità del medico che fa domande o dell’importanza che viene data ad una risposta, e queste sono due caratteristiche molto poco oggettivabili e delle quali per ora l’IA deficita.
Non parliamo poi dei quadri dermatologici che per essere diagnosticati necessitano di approfondimenti laboratoristici e che, a seconda dei risultati, rendono le diagnosi molto differenti.
L’IA è già entrata invece nel mondo della dermoscopia (almeno per quanto riguarda le lesioni pigmentate) anche perché è un campo molto più semplice (nel senso che si tratta di una immagine statica ottenuta sempre nelle stesse condizioni di luce, etc etc) della dermatologia clinica e ci si sta lavorando da molti anni. L’esempio italiano più famoso e valido è quello del l’ingegner Marco Burroni che, dagli anni 90, ha ideato un sistema di cosiddetto CAD (Computer Assisted Diagnosis) DB-dermoMIPS e costruito una apparecchiatura che fornisce una ottima risposta diagnostica (sia in termini di sensibilità che di specificità) sulla base di un database certo di immagini di nei e melanomi, inizialmente fornite dall’università di Siena.
Il tutto è stato creato anche grazie alla visione illuminata dell’allora ordinario di dermatologia di Siena e preside di facoltà di medicina Professor Lucio Andreassi, a cui mi legano sincero affetto e gratitudine.
Dunque, l’IA nella dermoscopia, sicuramente diventerà una realtà a breve (sempre nel campo delle lesioni pigmentate), mentre per la dermatologia le difficoltà nella visualizzazione corretta della dermatosi nella sua interezza (singola lesione, o ampia parte della superficie corporea, etc), difficoltà tecniche nel valutare altri dati come, ad esempio, l’infiltrazione di una lesione rispediscono indietro le trombe di Gerico della sconfitta del dermatologo di qualche anno.
In poche parole, i problemi per creare una IA valida in dermatologia non sono solo semplicemente dovuti al reperimento di enormi quantità di input e output cioè immagini e diagnosi ma anche alla mancanza di apparecchiature idonee a valutare altri aspetti della cute che normalmente l’uomo fa con naturalezza semplicemente “toccando la cute”. Tuttavia, sono certo che prima o poi ci si arriverà.
La presenza della IA non lo considero un vero attacco alla professione, perché nella stragrande maggioranza dei casi sarà un ausilio alla diagnosi e non una diagnosi automatica.
Ma anche fosse una diagnosi automatica questo sarebbe un passo avanti della medicina come lo è stato l’introduzione della radiologia e delle metodiche di diagnosi per immagini in genere.
Ricordiamoci che i pazienti si presentano da noi non solo per le diagnosi (che spesso hanno già), ma prevalentemente per le terapie! Se è vero che la diagnosi sarà, diciamo così, fortemente aiutata dalla AI, così non sarà invece per molto tempo per le terapie.
I cosiddetti dati di input e di output così necessari alla formulazione della funzione della IA in questo campo sono veramente a zero, e difficilmente si potranno avere per molto tempo ancora.
La variabilità di risposta ai farmaci e le intolleranze renderà il lavoro per la IA un vero pantano per moltissimo tempo.
Se vogliamo affrontare le sfide che ci pone di fronte lo sviluppo tecnologico come medici, dovremmo distanziare l’IA attraverso uno sviluppo qualitativo professionale per lei irraggiungibile.
È fondamentale fare qualcosa di più che prescrivere la terapia e rivedere il paziente al controllo chiedendo se si sente migliorato, ma approfondire lo studio della risposta terapeutica attraverso la costante esecuzione di fotografie per paragonare oggettivamente la risposta, anche approfondendo l’aderenza alla terapia sapendo che spesso tocca leggere fra le righe di quello che dice il paziente; perché si, i pazienti spesso mentono, a volte sapendolo a volte inconsapevolmente.
Questo potrebbe permettere un approccio terapeutico molto più valido e che ci consentirebbe di massimizzare sempre di più la risposta anche attraverso piccole variazioni della terapia. A questo tipo di professionalità il “machine learning” arriverà fra molto tempo.