L’Isola di Pasqua in 7 domande

L’Isola di Pasqua in 7 domande

(texto en español al final del italiano; English text at the bottom)

Sulle pendici del Monte Terevaka, al centro dell’Isola di Pasqua, sette giganti in pietra fissano l’immensitá azzurra del Pacifico. Tradizione vuole che i sette Moai rappresentino i sette esploratori inviati a terra dal grande re Hotu Matu’a, al termine di una lunga navigazione guidata solo dalle costellazioni celesti, allo scopo di trovare il miglior approdo nell’isola. L’approdo avverrá sulla spiaggia di Anakena, dando inizio alla colonizzazione umana del luogo piú isolato della Terra.

I moai di Ahu Akivi

La visita che ho compiuto nell’isola mi ha aperto gli occhi su un mondo a sé, carico di energie, fascino e misteri. Mi ha posto mille interrogativi che ancora mi scavano dentro. Condivido qui sette di queste domande—sette come i primi umani che hanno messo piede sull’isola.

1. L’energia de luogo

L’isola é pervasa da un’energia particolare, unica. Si sente. Si respira. Sará il viaggio di cinque ore in aereo sulla distesa dell’Oceano, una distanza quasi uguale giungendo dalla costa cilena o dalle isole della Polinesia francese. Sará la vista di questo triangolo verde che spunta improvvisamente dal blu, coi suoi tre vulcani spenti. Sará l’aria brillante e limpida che percorre le sue colline. Sará lo sguardo millenario dei giganti di pietra che in vari angoli dell’isola torreggiano vicino al mare, enigmatici. Da dove viene questa energia?

Azzardo una risposta: l’isola é la sommitá di una grande montagna di oltre 3000 metri che spunta solitaria dall’Oceano. Sembra un perfetto punto di congiunzione tra il mare, la terra e il cielo: Henua, Moana, Rangi. Un ombelico del mondo. Viene in mente la canzone di Jovanotti: 

E' qui che nasce l'energia / Centro nevralgico del nuovo mondo / Da qui che parte ogni nuova via

No alt text provided for this image

2. I moai

Allineati su lunghe piattaforme funerarie lungo il mare, alle estremitá dei villaggi, con gli occhi rivolti al cielo ma lo sguardo protettore diretto agli abitanti del luogo, questi giganti in basalto hanno rappresentato per secoli l’energia spirituale di questo luogo. Rappresentazioni degli avi delle famiglie reali, i moai hanno concentrato l’ingegno di generazioni di abitanti dell’isola, impegnati nella scultura e nell’ingegneria del trasporto dalla cava di Rano Raraku a tutti gli angoli dell’isola. Degli oltre 900 moai prodotti nel corso dei secoli, negli ultimi settant’anni molti sono stati riportati alla postura eretta grazie al lavoro di grandi archeologi. Ma le intermperie li stanno corrodendo, licheni e funghi penetrano nella superficie. L’umanitá saprá preservare questo patrimonio dell’umanitá?

Mi dá speranza e orgoglio vedere gli italiani in prima fila in questo sforzo. L’Istituto Lorenzo De Medici di Firenze da anni sta lavorando pro bono per trasporre sui moai le tecniche di conservazione e restauro sviluppate in Italia. Ho scoperto che il Signor Lorenzo Casamenti, responsabile del restauro dell’Istituto, é considerato il “Lorenzo De Medici” di Rapa Nui: bravissimo! 

No alt text provided for this image

3. Catastrofe ecologica

Rapa Nui ha vissuto una catastrofe ecologica che la portó ai limiti della distruzione dell’ecosistema naturale e alla quasi estinzione dell’etnia rapanui; una catastrofe da cui solo oggi l’isola si sta lentamente riprendendo. La rivalitá tra i clan nel costruire moai sempre piú grandi e dispendiosi e l’incapacitá di comprendere la finitezza delle risorse naturali sull’isola condusse al disboscamento e al depauperamento della flora e della fauna. I moai furono tutti abbattuti a pancia ingiú dai clan rivali. 

A fine Ottocento, il dramma sfoció in tragedia, con la deportazione in massa degli abitanti dell’isola per il lavoro in schiavitú in Perú, le stragi generate dalle epidemie di malattie trasmissibili e il confinamento forzato dei sopravvissuti in un’unica localitá, per dedicare tutto il resto dell’isola all’allevamento delle pecore.

Quest’isola persa nel nulla, a lungo senza contatti col mondo esterno, é la metafora della nostra Terra, il nostro “pallido puntino azzurro” nell’immensitá dell’universo—come l’aveva descritto l’astronomo Carl Sagan guardando alla foto inviata dalla sonda Voyager. Per il mondo che vive oggi una nuova catastrofe ecologica e una crescente rivalitá tra blocchi geopolitici, la lezione di Rapa Nui é inequivoca: sapremo noi umani imparare dagli errori e dagli orrori vissuti a Rapa Nui ed evitare l’estinzione?

La Terra vista da Voyager 1

4. Resilienza e sapienza

Ragioni per sperare ci sono. Dai 111 sopravvissuti del 1877 oggi l’isola é passata a circa 5000 abitanti, di cui oltre 4000 di etnía rapanui. É un grande esempio di resilienza. 

Mi ha colpito scoprire che, per porre fine alle guerre intestine, gli abitanti dell’isola affidarono ad ua gara sportiva il compito di decidere annualmente il clan che avrebbe dominato l’isola per l’anno successivo. Ad inizio della primavera, i leader dei clan si ritrovavano nel villaggio di Orongo, sulla cresta di un grande cratere vulcanico affacciato sul mare per il rito dell’uomo uccello. All’avvicinarsi dell’arrivo stagionale dei gabbiani Manutara, gli atleti dei rispettivi clan raggiungevano a nuoto un isolotto e facevano a gara per trovare il primo uovo deposto dagli uccelli, simbolo di prosperitá e continuitá. L’atleta che per primo trovava l’uovo se lo legava in testa senza cercare di romperlo, tornava a nuoto e risaliva fino ad Orongo, dove veniva proclamato “uomo uccello”. Il suo clan acquisiva potere supremo sull’isola.

Sarebbe forse il caso di prendere Rapa Nui come modello di soluzione delle dispute internazionali?

Geroglifici che mostrano il manutara

5. Senso del sacro

Molti a Rapa Nui vivono ancora in simbiosi con la propria isola e con gli elementi. Hanno conservato un senso di riverenza per la natura che li circonda e gli dá la vita. Noi che viviamo sulla terraferma abbiamo perso il senso di dove veniamo e dove andiamo. Pensiamo alla natura come qualcosa di separato da noi stessi, ne facciamo un mero oggetto di consumo. Molti degli abitanti dell’isola sentono ancora l’oceano, la terra e le stelle come entitá vive. Le famiglie danno ai figli l’indicazione di un animale con cui identificarsi: chi il delfino, chi la tartaruga di mare, chi il gabbiano. Non si sentono individui isolati, ma il frutto di una lunga sequela di antenati, il cui spirito é ancora presente nella natura. La domanda per noi visitatori é: Come recuperare questo profondo senso della sacralitá della vita, in tutte le sue forme?

No alt text provided for this image

6. Salvare la lingua e la cultura rapanui

Il popolo rapanui affronta la grande sfida di conservare la propria lingua, che é ormai diventata secondaria rispetto allo spagnolo, e di preservare la propria cultura. Internet funziona ancora molto lentamente nell’isola e i giovani hanno meno che altrove la tentazione di passare gran parte del loro tempo chini sullo schermo di uno smartphone. Ma sará cosí anche in futuro? Riuscirá l’isola a modernizzarsi senza disperdere la propria essenza linguistica e culturale? Dipenderá dalla saggezza dei propri leader e dall’aiuto e consulenza che riceverá dall’esterno. 

7. La sfida della sostenibilitá

In definitiva, la sfida di Rapa Nui s’identifica con quella dell’umanitá nel suo insieme: riuscire a sopravvivere e prosperare senza esaurire le risorse disponibili, che sono limitate. L’apertura al turismo dopo due anni e mezzo di chiusura per la pandemia dovrebbe congiungersi con la volontá di fare di Rapa Nui un modello di sostenibilitá: un ombelico del mondo che, sfiorata la tragedia, sappia proporsi come esempio di saggezza collettiva per far vivere gli umani in simbiosi con la natura di cui sono parte. Riuscirá l’isola a riaprirsi al mondo esterno senza precipitare, col passare dei decenni, in una nuova catastrofe ecologica? Si tratta di una sfida che coinvolge tutti gli uomini e le donne di buona volontá, che condividono il destino del “pallido puntino azzurro” nell’immensitá dell’universo chiamato Terra.

Iorana!

No alt text provided for this image

LA ISLA DE PASCUA EN 7 PREGUNTAS

En las laderas del monte Terevaka, en el centro de la isla de Pascua, siete gigantes de piedra miran fijamente a la inmensidad azul del Pacífico. Según la tradición, los siete moai representan a los siete exploradores enviados a tierra por el gran rey Hotu Matu'a, al final de un largo viaje guiado sólo por las constelaciones celestes, para encontrar el mejor desembarco en la isla. Este se realizará en la playa de Anakena, iniciando la colonización humana del lugar más aislado de la Tierra.

Mi visita a la isla me abrió los ojos a un mundo lleno de energía, fascinación y misterios. Me planteó mil preguntas que aún me calan hondo. Comparto aquí siete de estas preguntas, siete como los primeros humanos que pisaron la isla.

1. La energía del lugar

La isla está impregnada de una energía especial y única. Puedes sentirlo. Se puede respirar. Serán las cinco horas de viaje en avión sobre la extensión del océano, una distancia casi igual viniendo de la costa chilena o de las islas de la Polinesia Francesa. Será la visión de este triángulo verde que emerge repentinamente del azul, con sus tres volcanes extinguidos. Será el aire brillante y límpido que corre por sus colinas. Debe ser la mirada milenaria de los gigantes de piedra que se elevan enigmáticamente cerca del mar en varios rincones de la isla. ¿De dónde viene esta energía?

Me aventuro a responder: la isla es la cima de una gran montaña de más de 3.000 metros, que se eleva solitaria desde el océano. Parece una unión perfecta entre mar, tierra y cielo: Henua, Moana, Rangi. Un ombligo del mundo. Me viene a la mente la canción de Jovanotti: 

Aquí es donde nace la energía / Centro neurálgico del nuevo mundo / A partir de aquí que todo nuevo camino comienza 

2. Los moai

Alineados en largas plataformas funerarias a lo largo del mar en los extremos de las antiguas aldeas, con los ojos vueltos hacia el cielo pero su mirada protectora dirigida a los lugareños, estos gigantes de basalto han expresado durante siglos la energía espiritual de este lugar. Representaciones de los antepasados de las familias reales, los moai han concentrado el ingenio de generaciones de isleños, dedicados a la escultura y a la ingeniería del transporte desde la cantera de Rano Raraku a todos los rincones de la isla. De los más de 900 moai producidos a lo largo de los siglos, en los últimos setenta años muchos han sido devueltos a su posición vertical gracias al trabajo de grandes arqueólogos. Pero las intermperias las corroen, los líquenes y los hongos penetran en la superficie. ¿Será capaz la humanidad de preservar este patrimonio de la humanidad?

Me da esperanza y orgullo ver a los italianos al frente de este esfuerzo. El Instituto Lorenzo De Medicide Florencia lleva años trabajando gratuitamente para trasladar a los moais las técnicas de conservación y restauración desarrolladas en Italia. Me enteré de que el Sr. Lorenzo Casamenti, encargado de la restauración en el Instituto, es considerado el "Lorenzo De Medici" de Rapa Nui: ¡muy bueno! 

3. Catástrofe ecológica

Rapa Nui sufrió una catástrofe ecológica que la llevó al borde de la destrucción del ecosistema natural y a la casi extinción de la etnia rapanui; una catástrofe de la que la isla sólo se está recuperando lentamente. La rivalidad entre los clanes en la construcción de moai cada vez más grandes y costosos, y la incapacidad de comprender la finitud de los recursos naturales de la isla llevaron a la deforestación y al empobrecimiento de la flora y la fauna. Todos los moai fueron abatidos por clanes rivales. 

A finales del siglo XIX, el drama se convirtió en tragedia, con la deportación masiva de los habitantes de la isla para trabajar como esclavos en Perú, la carnicería provocada por las epidemias de enfermedades contagiosas y el confinamiento forzoso de los supervivientes en un único lugar, para dedicar el resto de la isla a la cría de ovejas.

Esta isla perdida en medio de la nada, sin contacto con el mundo exterior desde hace mucho tiempo, es una metáfora de nuestra Tierra, nuestro "pálido punto azul" en la inmensidad del universo, como lo describió el astrónomo Carl Sagan al observar la foto enviada por la nave espacial Voyager. Para el mundo que ahora vive una nueva catástrofe ecológica y una creciente rivalidad entre bloques geopolíticos, la lección de Rapa Nui es inequívoca: ¿seremos los humanos capaces de aprender de los errores y horrores vividos en Rapa Nui y evitar la extinción?

4. Resiliencia y sabiduría

Hay motivos para la esperanza. De 111 supervivientes en 1877, la isla ha pasado a tener unos 5.000 habitantes, de los cuales más de 4.000 son de etnia rapanui. Es un gran ejemplo de resiliencia. 

Me llamó la atención descubrir que, para acabar con las guerras intestinas, los isleños encargaron a una competición deportiva la tarea de decidir anualmente qué clan dominaría la isla durante el año siguiente. A principios de la primavera, los jefes de los clanes se reunían en la aldea de Orongo, en la cresta de un gran cráter volcánico con vistas al mar, para celebrar el ritual del hombre pájaro. Cuando se acercaba la llegada estacional de las gaviotas Manutara, los atletas de sus respectivos clanes nadaban hasta una pequeña isla y competían por encontrar el primer huevo puesto por las aves, símbolo de prosperidad y continuidad. El atleta que primero encontraba el huevo se lo ataba en la cabeza sin intentar romperlo, nadaba de vuelta a Orongo, donde era proclamado "hombre pájaro". Su clan adquiriría el poder supremo en la isla.

¿Debería tomarse Rapa Nui como modelo para la resolución de disputas internacionales?

5. Sentido de lo sagrado

Muchos habitantes de Rapa Nui siguen viviendo en simbiosis con su isla y los elementos. Han conservado el sentido de la reverencia por la naturaleza que les rodea y les da vida. Los que vivimos en tierra firme hemos perdido el sentido de dónde venimos y hacia dónde vamos. Pensamos en la naturaleza como algo separado de nosotros, la convertimos en un mero objeto de consumo. Muchos de los habitantes de la isla siguen sintiendo el océano, la tierra y las estrellas como entidades vivas. Las familias dan a sus hijos un animal con el que identificarse: unos el delfín, otros la tortuga marina, otros la gaviota. No se sienten individuos aislados, sino el fruto de una larga sucesión de antepasados, cuyo espíritu sigue presente en la naturaleza. La pregunta para nosotros, los visitantes, es: ¿cómo recuperar este profundo sentido de la sacralidad de la vida, en todas sus formas?

6. Salvar la lengua y la cultura rapanui

El pueblo rapanui se enfrenta al gran reto de preservar su lengua, que ha pasado a ser secundaria frente al español, y de conservar su cultura. Internet sigue funcionando muy lentamente en la isla y los jóvenes están menos tentados que en otros lugares a pasar gran parte de su tiempo encorvados sobre la pantalla de un smartphone. Pero ¿también será así en el futuro? ¿Conseguirá la isla modernizarse sin perder su esencia lingüística y cultural? Dependerá de la sabiduría de sus dirigentes y de la ayuda y el asesoramiento que reciba del exterior.  

7. El reto de la sostenibilidad

En última instancia, el reto de Rapa Nui es el de toda la humanidad: sobrevivir y prosperar sin agotar los limitados recursos disponibles. La apertura al turismo tras dos años y medio de cierre por la pandemia debe combinarse con la voluntad de hacer de Rapa Nui un modelo global de sostenibilidad: un ombligo del mundo que, habiendo estado cerca de la tragedia, sepa ofrecerse como ejemplo de sabiduría colectiva para hacer vivir al ser humano en simbiosis con la naturaleza de la que forma parte. ¿Podrá la isla reabrirse al mundo exterior sin sumirse en una nueva catástrofe ecológica dentro de décadas? Se trata de un reto que implica a todos nosotros, hombres y mujeres de buena voluntad, que compartimos el destino de este "puntito azul pálido" en la inmensidad del universo llamado Tierra.

¡Iorana!

EASTER ISLAND IN 7 QUESTIONS

On the slopes of Mount Terevaka, at the center of Easter Island, seven stone giants stare out at the blue immensity of the Pacific. Tradition has it that the seven Moai represent the seven explorers sent ashore by the great king Hotu Matu'a, at the end of a long navigation guided only by the celestial constellations, in order to find the best landing on the island. The landing did take place on the beach of Anakena, beginning the human colonization of the most isolated place on Earth.

My visit to the island opened my eyes to a world of its own, full of energy, fascination and mysteries. It posed a thousand questions that still challange me. I share here seven of these questions—seven like the first humans who set foot on the island.

1. The power of place

The island is imbued with a special, unique power. You can feel it. You can breathe it. Maybe because of the five-hour plane ride over the expanse of the Ocean, a distance almost equal coming from the Chilean coast or the islands of French Polynesia. Maybe because of the sight of this green triangle suddenly popping out of the blue, with its three extinct volcanoes. Or the brilliant, clear air that runs through its hills; or the millennial gaze of the stone giants that in various corners of the island tower near the sea, enigmatic. Where does this energy come from?

I'll venture an answer: the island is the summit of a great mountain of more than 3,000 meters that juts solitarily out of the Ocean. It looks like a perfect junction of sea, land and sky: Henua, Moana, Rangi. A navel of the world. Jovanotti's song comes to mind: 

This is where the energy is born / Nerve center of the new world/ From here every new way starts 

2. The moai

Lined up on long funerary platforms along the sea at the ends of villages, their eyes turned to the sky but their protective gaze directed at the locals, these basalt giants have embodied the spiritual energy of this place for centuries. Representations of the ancestors of royal families, the moai have concentrated the ingenuity of generations of islanders, engaged in sculpting and engineering transportation from the Rano Raraku quarry to all corners of the island. Of the more than 900 moai produced over the centuries, in the past seven decades many have been restored to upright posture through the work of great archaeologists. But the weather is corroding them; lichens and fungi are penetrating the surface. Will humanity be able to preserve this world heritage?

It gives me hope and pride to see Italians at the forefront of this effort. The Lorenzo De Medici Institute in Florence has been working pro bono for years to transpose conservation and restoration techniques developed in Italy onto moai. I found out that Mr. Lorenzo Casamenti, who is in charge of restoration at the Institute, is considered the "Lorenzo De Medici" of Rapa Nui: bravo! 

3. Ecological catastrophe

Rapa Nui experienced an ecological catastrophe that brought it to the limits of the destruction of the natural ecosystem and the near extinction of the Rapanui ethnic group; a catastrophe from which only today the island is slowly recovering. The rivalry between clans in building larger and larger moai and the inability to understand the finiteness of natural resources on the island led to deforestation and the depletion of flora and fauna. The moai were all toppled belly-down by rival clans. 

In the late nineteenth century, drama erupted into tragedy, with the mass deportation of the island's inhabitants for slave labor in Peru, the carnage generated by epidemics of communicable diseases, and the forced confinement of the survivors to a single location, to devote all the rest of the island to sheep farming.

This island lost in nothingness, long without contact with the outside world, is a metaphor for our Earth, our "pale blue dot" in the immensity of the universe—as astronomer Carl Sagan had described it when looking at the photo sent by the Voyager spacecraft. For the world now experiencing a new ecological catastrophe and growing rivalry between geopolitical blocs, the lesson of Rapa Nui is unequivocal: shall we humans be able to learn from the mistakes and horrors experienced on Rapa Nui and avoid extinction?

4. Resilience and Wisdom

There are reasons for hope. From 111 survivors in 1877, the island has grown to about 5,000 inhabitants today, more than 4,000 of whom are ethnic Rapanui. It is a great example of resilience. 

I was struck to learn that, to put an end to internecine wars, the islanders entrusted a sports game with the task of deciding annually which clan would dominate the island for the following year. In early spring, clan leaders would gather in the village of Orongo, on the crest of a large volcanic crater overlooking the sea for the ritual of the birdman. As the seasonal arrival of the Manutara gullsapproached, athletes from their respective clans would swim to a small island and compete to find the first egg laid by the birds, a symbol of prosperity and continuity. The athlete who first found the egg would tie it on his head without trying to break it, swim back and ascend to Orongo, where he would be proclaimed "bird man." His clan would gain supreme power over the island.

Would it be appropriate to take Rapa Nui as a model for international dispute resolution?

5. A sense of the Sacred

Many on Rapa Nui still live symbiotically with their island and the elements. They have retained a sense of reverence for the nature that surrounds them and gives them life. We who live on the mainland have lost a sense of where we come from and where we are going. We think of nature as something separate from ourselves; we make it a mere object of consumption. Many of the islanders still feel the ocean, the land and the stars as living entities. Families give their children an animal to identify with: some the dolphin, some the sea turtle, some the seagull. They do not feel like isolated individuals, but the fruit of a long succession of ancestors, whose spirit is still present in nature. The question for us visitors is: How do we recover this deep sense of the Sacredness of life, in all its forms?

6. Saving the Rapanui language and culture

The Rapanui people face the great challenge of preserving their language, which has now become secondary to Spanish, and of preserving their culture. The Internet still works very slowly on the island, and young people are less tempted than elsewhere to spend much of their time hunched over a smartphone screen. But will this be the case in the future? Will the island be able to modernize without losing its linguistic and cultural essence? It will depend on the wisdom of its leaders and the help and advice it receives from outside.  

7. The challenge of sustainability

Ultimately, Rapa Nui's challenge identifies with that of humanity as a whole: to be able to survive and thrive without exhausting the limited resources available. The opening to tourism after two and a half years of closure due to the pandemic should be coupled with a will to make Rapa Nui a global model of sustainability: a navel of the world that, having come close to tragedy, offers itself as an example of collective wisdom to live in symbiosis with nature. Will the island be able to reopen itself to the outside world without plunging, as decades go by, into a new ecological catastrophe? This is a challenge that involves all of us, men and women of good will, who share the fate of the "pale blue dot" in the immensity of the universe called Earth.

Iorana!

Silvia Colitti

Didactic Coordination and Cultural Program @ Istituto Italiano di Cultura Santiago | Educational and Cultural Program Management. Cultural Diplomacy

2 anni

Complimenti per l'articolo Ambasciatore, pieno di importanti spunti di riflessioni e per le foto, davvero notevoli! Un caro saluto!

Orietta Maizza

Head of Consumer policies Division at Ministry of Enterprises and made in Italy

2 anni

Grazie! Con questo post sei riuscito non solo a farci viaggiare lontano con te, ma a farci sentire l'energia di un luogo unico, che pare simboleggiare un "metaverso" reale... un caro saluto, Orietta

Paolo Grigolli

Destination Management Expert | Attivatore di Territori | Destination Manager |Visitati 84 paesi del mondo

2 anni

Grazie per questo post, Mauro A 15 anni, durante il primo InterRail della mia vita, arrivai a Oslo, al Museo che ospita la zattera Contiki e girandomi fui affascinato da una gigantesca scultura, un Moai... A 50 anni coronai il sogno di visitare l'Isola di Pasqua. Condivido le emozioni e le riflessioni riportate e la necessaria dose di speranza, benchè proprio quella storia, così densa di significati a volerli ascoltare, a me oggi dice, purtroppo, che non impariamo abbastanza in tempo.... Grazie e buon lavoro nel meraviglioso Cile dove ho avuto la fortuna di contribuire a sviluppare qualche piccola inziativa di turismo tra Provincia di Trento e Araucania ! Ad maiora

Anna Paola Minervini

Head of Project Execution Planning & Control presso Enel Green Power

2 anni

Articolo poetico!

Bella testimonianza, anche del ruolo dell’Italia nella conservazione dei beni artistici in posto così remoto. Per chi ha avuto la fortuna di trovarsi in isole solitarie e così remote in mezzo al Pacifico posso confermare che la percezione dell’”energia” che citi è viva. Forse c’è un click che scatta in noi quando ci si trova a percepire immensità, singolarità, solitudine e unicità nello stesso momento.

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Mauro Battocchi

Altre pagine consultate