Ecco perché ci vuole un processo
Il vacuo e il nulla

Ecco perché ci vuole un processo

Signor Presidente, 

ho letto con scarsa emozione, freddezza puramente pragmatica e distante, il suo resoconto, sia pure frammentario e divagante, della sua conversazione ad un noto quotidiano nazionale.

Ho letto, con disarmante e sconfortante a-patia, la messa in scena macchiettistica svoltasi poc’anzi in Parlamento di cui presiedeva la regia. 

Lei vi si esprimeva con l’ansia e il senso di impotenza di un qualsiasi cittadino italiano la cui visione delle cose non può che essere parziale, così come i pareri sprovveduti e alchimistici di comitati di bontemponi scienziati - burocrati, ma non le anticipo nulla, vi arriverò in seguito.

Nel periodo di chiusura totale (scelta puramente politica e per niente tecnica, benché probabilmente inutile) le sue comparsate televisive le hanno conferito un censo nobiliare “democratico” che la rendeva “uno di noi”; checché la sua reputazione pubblica, a detta di fantomatici sondaggi è aumentata verso un ateniese settanta per cento, ed è questa la ragione per cui le scrivo questa lettera.

Su due punti mi vorrei soffermare. E poi su un terzo.

Il primo riguarda la sua frase (conseguente la polemica verso alcuni grandi paesi europei), in cui l’Italia viene presentata come un paese ingiustamente considerato di “serie b”. A seguito della disfatta politica rispetto ad un momento storico estremamente pericoloso ha invocato la chance di ripresa per tutti gli stati membri dell’Unione (di cosa?), anche per quelli che hanno un debito pubblico molto elevato come l’Italia. La realtà è che l’Italia è un paese di “serie b”: e ciò risulta inequivocabile proprio dalle sue parole. Che sono prudenti, benché sincere. Io che posso permettermi di non essere prudente, le dico anzi che l’Italia è ben peggio che un paese di serie b; l’espressione calcistica (italiota e rappresentativa) non è che un eufemismo. L’Italia - e non solo l’Italia del Palazzo e del potere - è un paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche (l’elenco risulterebbe oltremodo lungo), vagamente imbrattate di sangue: contaminazioni tra Molière e Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti accalcarsi ai treni la fatidica, ormai lontana, notte per ritornare ai “paterni ostelli” rappresentando l’idiozia piccolo borghese della società italica, contraddittoria e pulcinellesca (utilizzo un neologismo macchiettistico che etimologicamente rimanda l’ossimoro del “pubblico segreto”). Li vedrò in folla a Ferragosto nell’immagine della frenesia più insolente. Porranno un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parranno in uno status di “raptus”: sarà difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti. Specialmente i giovani, dei quali mi riservo di approfondire in seguito.

Il secondo punto riguarda la sua frase “occorre smuovere l’anchilosato e burocratizzato sistema con un ventaglio di misure sblocca paese che andranno ad incidere su tutti i gangli più macchinosi dei nostri apparati pubblici e del nostro sistema economico”, delineare, pertanto, un’immagine del nostro avvenire, perché su di essa si attesti la fiducia del nostro paese. Ora, tutto il suo discorso “democraticamente” grigio e volutamente a-ideologico - la chiacchierata “civile” di un qualsiasi cittadino - non prevede la politicizzazione dell’espressione (dunque squisitamente morale) “immagine del nostro avvenire” (infatti ben se n’è guardato di pronunciarla ma lo ha già fatto per lei Aldo Moro).

La prima qualità di ogni scienza è quella di essere profetica. Ogni intervento scientifico, su qualsiasi problema, altro non è che una previsione del futuro. È la politica, nella fattispecie, la scienza che può fornirci una “immagine del nostro avvenire”. E, precisamente, è l’economia politica. Ossia in concreto l’esame del nuovo modo di produzione (nuovo s’intende per l’Italia: paese che non aveva mai subito alcun processo di unificazione, né attraverso la rivoluzione borghese, né attraverso la rivoluzione industriale): nuovo modo di produzione che non è solo produzione di merce, ma di umanità - come suona appunto la legge elementare dell’economia politica. Ed eccoci al terzo punto.

“La scuola riaprirà a Settembre” , in questa scelta puramente moralistica e per nulla profetica, nell’accezione che Pier Paolo Pasolini (credo l’avrà capito) dà al termine “profetico” rispetto ad una visione di futuro non del giorno dopo ma d’uno sguardo secolare, è la prova del grigio, volutamente a- ideologico della sua chiacchierata. Il comitato tecnico scientifico, così come erroneamente è definito, poiché ribadisco, di profetico in questa scienza non v’è nulla, sono soprattutto burocrati che ansimano una Edonè che è soltanto velleitarismo. “È in gioco la salute dei nostri figli, senza trascurare che l’età media del personale docente è tra le più alte d’Europa”, qui purtroppo mente, ingenuamente, ma spudoratamente è una costruzione puramente moralistica che rispecchia una fittizia salvaguardia della vita umana che di tollerante ha solo l’aspetto sinistro e grottesco cui faceva riferimento il poeta. Non le cito dati, abbiamo una sorta di ossessione erotica per il dato, che di profetico non ha nient’altro che un onanismo macabro di consenso. Così come non esiste e non può esistere l’evidenza scientifica (la scienza è sì profetica intesa come possibilità e non come fattualità) non ha alcun fondamento l’affermare che “è in gioco la salute dei nostri figli”, questa è soltanto la prudenza cattolica e fintamente moralista che le detta tale affermazione, la prudenza dell’approssimazione e del rischio di consenso verso la parte produttiva del mondo occidentale. Se probabilmente la storia non ha confermato (le profezie non si avverano ma si autocompiono) lo scenario marxista, allo stesso tempo ha però mutatis mutandis riportato alla realtà una nuova lotta di classe (Marx in ciò vi aveva ben visto) tra strutture di produttività legate solo all’età anagrafica. 

Da chi sono composti i comitati tecnico scientifici di cui parla? Quanti anni hanno? Su che potere o possesso di potere coniano la propria reputazione o credibilità? Il governare è un fenomeno strettamente legato, anzi, incorporato, con un altro fenomeno: quello del detenere il potere. 

Avevo lasciato in sospeso il discorso sui giovani. La scuola, benché inutile e dannosa, ha un punto che dopotutto continua, per un solo singolo aspetto, a renderla comunque necessaria: la socialità. I giovani che, mai e ribadisco mai, avranno accesso alla parte essenziale del tessuto produttivo, nella loro pura visione della storia, tirano, provandoci ma spesso scadendo nel qualunquismo (in questo sono innocenti), il filo della rappresentatività, sentono, come una sorta di primordiale istinto, che hanno un ruolo nella storia e lo rivendicano, e certamente ciò dissente dalla visione della classe elitaria che li vuole edonisti dediti al consumo immateriale di cultura o pseudo contenuti. L’istituzione scolastica, benché acculturatrice e conservatrice, inutile nella sua funzione di propaganda di modelli arcaici, nella sua dimensione sociale rappresenta ancora uno spazio di interazione e libertà, definirei un limbo critico ma necessario; l’evidenza vuole che fondamentalmente è un gingillo di vanità, un orpello di velleitarismo democratico che il potere dei prudenti concede soprattutto a se stesso.

Le crisi succedutesi nella storia (il punto è sempre politico) hanno evidenziato le contraddizioni sistemiche dei rapporti sociali, dei costumi, dell’accesso alle ricchezze (nessuna umanità). Ci si è accorti che nel mondo occidentale l’età media degli attivi al lavoro è di sessantacinque anni, un fardello dal punto di vista del progresso umano: vi è solo pragmatismo, mescolato diabolicamente coi modelli spirituali della Chiesa. 

Signor Presidente, benché io, abiurando valori e modelli fintamente democratici, rivendico una sorta di parsimoniosa previsione di un avvenire diverso, nell’accezione più positiva del termine, risulta estremamente chiaro che, sul piano dei fatti (e Lei stesso pare alluderlo) l’Italia del 2020 è molto simile all’Italia del 1945. È distrutta, e va quindi ricostruita. Ma mi sembra che non si possa delineare una coscienza politica “dell’immagine del nostro avvenire” se non si consolida una coscienza politica scandalosa e fuori da ogni conformismo, di ciò che è stato il recente passato.

Spero e credo che il poeta mi perdonerà se citandolo abbia potuto, certamente, non rendergli dovuto omaggio; lo consideri un atto di patriottismo letterario (benché la parola “patriottismo” assurge a cultura politica di becere destre pseudo fasciste), in memoria di un grande italiano.

Dott. Antonello Pesce


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