Lo sciamano e la Coppa della Roma, una grande storia di sport
di PAOLO ALLEGRI
Quando arrivò a Roma un'immagine più di ogni altra aveva colpito la fantasia, quel murales che ritraeva José Mourinho su una vespa tra le strade della Capitale. Sembrava un remake di un capolavoro del cinema, invece è stata, è e sarà ancora una grande storia di sport. Già, perché il successo nella neonata Conference League, con un capitano giallorosso che alza di nuovo al cielo un trofeo europeo - e non accadeva dall' 11 ottobre 1961, ritorno della finale di Coppa delle Fiere, era la Roma allenata dall'argentino Luis Carniglia dove giocavano Cudicini, Losi, Lojacono, Manfredini, Angelillo -, è la vetta di una stagione di sport e di amore. Di fare calcio con una società che lavora bene, che affida il progetto allo sciamano di Setubal, all'allenatore che nella contrapposizione tra giochisti e risultatisti è semplicemente altro: è il vincitore di titoli che con il suo personaggio ispirato e carismatico trascina le folle, una città intera innamorata di quei colori e della squadra che li indossa. Stagione vissuta da innamorati, da adesione totale al progetto Mourinho, al suo calarsi in questa sua avventura con l'entusiasmo e la scintilla di un adolescente che esplora il mondo. Terra di navigatori il Portogallo, terra di chi sa trovare l'approdo. Mourinho ha portato a Roma tutte le sue tavole di calcio, l'affabulazione, la sapienza calcistica, il portare tutto un team, società, giocatori, staff dentro al sogno del popolo. Chi lo aveva visto decadente, quasi bollito ha dovuto ricredersi. Roma si è innamorata follemente dello sciamano e José ha ripagato questo sentimento forte con una stagione dove, attraversando ostacoli, pur con un organico non all'altezza di compagini più titolate, ha portato la sua nave in porto. Ha deciso un tocco magico di Zaniolo, il talento fragile ma dirompente schierato quasi a sorpresa. Vittoria in stile Mou, quella della finale con il Feyenord, soffrendo e credendoci fino all'ultimo istante, dopo aver preparato mirabilmente con lo staff la partita nei giorni di vigilia. Quasi chiuso ventiquattrore nel centro di Trigoria. La dedizione assoluta di un professionista straordinario, non l'ego di un vincente ma il rispetto di chi ti ha dato fiducia, la società, i giocatori, una città e un popolo intero. Poi l'apoteosi al fischio finale: José ha alzato il pugno al cielo di Tirana, in un blu notte bagnato di qualche lacrima, gocce di sapienza di un uomo colto che nel tramonto si è addolcito. E' stata apoteosi, i suoi ragazzi, quei calciatori che ha migliorato nelle conoscenze e nelle qualità nell'arco di una stagione tra cadute e vittorie, abbracciati sul prato, indicati alla gente come gli eroi dell'impresa sul pulmann che girava nelle strade della Roma Imperiale. "Abbiamo fatto la storia ma adesso c'è da guardare al futuro", le sue prime parole. Lui che rilancia subito la sfida, lo sciamano di Setubal che chiede alla società di credere ancora di più nell'impresa: alzare l'asticella, la prossima sessione di mercato per costruire una squadra per obiettivi più sfidanti, un posto in Champions, lo scudetto; ecco che quell'estasi di una notte di maggio a Tirana e, il giorno dopo, quella festa magica sotto il sole di Roma in un'estate anticipata, sono il ponte verso il futuro. E' un 'SIAMO NOI' da dove far decollare nuove sfide. E' la capacità di visione di un leader, di un condottiero che da quel suo ingaggio di 7 milioni e mezzo l'anno ha portato alla Roma un valore di 100 milioni, tra introiti della competizione, valorizzazione del patrimonio giocatori, biglietti e abbonamenti, aumento di valore del brand. José è pronto a far sognare ancora quel popolo, con la sua sapienza calcistica, con quella sua formidabile capacità di far vedere ai ragazzi e a un popolo intero dov'è il sogno e come poterlo afferrare. Una grande storia di sport e di vita. Grazie Roma!