Lo spartano Leonida ed il CSR: un binomio possibile.

Durante la mia carriera professionale spesso mi sono sentito rivolgere la domanda :”Ma in termini di investimento a cosa servono le attività di responsabilità sociale? Che beneficio possono portare al business dell’azienda?”. Come altresì non posso dimenticare l’espressione, quasi di sufficienza, da parte di alcuni colleghi durante i vari seminari e convegni a cui ho partecipato come relatore. I loro volti sembravano dire : ” sì tutto bello, ma la mia azienda deve confrontarsi con il mercato e con budget risicati, non può certo investire questi soldi in beneficenza: beati voi che potete farlo! Il business è un’altra cosa…”.

Sarei ipocrita se non dicessi che anche io, quando ero giovane responsabile del personale, non riuscivo a vedere un nesso diretto tra attività di responsabilità sociale e profitto dell’azienda. Semplicemente pensavo che esistevano aziende buone ed altre più…spietate. O meglio finivo con l’identificare le aziende con determinati imprenditori illuminati che le guidavano (es. Olivetti, Marzotto, etc.) con competenza, passione e profonda attenzione al sociale.

Se poi ritorniamo alla fine degli anni 80 in cui questi stessi imprenditori precedentemente elogiati per il loro impegno sociale, venivano ribattezzati “paternalistici” e liquidati con sufficienza come refusi storici rispetto allo yuppismo avanzante, l’equivoco azienda buona (sociale) ed azienda cattiva (unicamente basata sul profitto), raggiungeva la sua massima espansione.

La verità l’ho capita più tardi:  non esistono aziende buone o aziende cattive, bensì esistono aziende che perseguono il giusto profitto pur avendo un taglio etico o,  se preferiamo, socialmente sostenibile. Ma la cosa più sorprendente è che l’essere buoni o cattivi non conta assolutamente nulla, semplicemente e cinicamente essere etici conviene all’azienda.

Resterete ancora più sorpresi che a questa conclusione non ci sia arrivato in base ad indagini socio/economiche o allo studio di pratiche eccellenti da parte di altre aziende, ma riflettendo su di un episodio della storia antica: la battaglia delle Termopili, combattuta dai 300 spartani di Leonida contro i persiani di Serse.

Mi rendo conto che mettere a confronto delle gesta belliche con attività di responsabilità sociale è arduo; è come cercare di mettere insieme “il diavolo con l’acqua santa”. In verità chiarisco subito l’ apparente paradosso: il massimo comun denominatore tra i due esempi è il fattore Motivazione.

Dovrò dunque esporre come sono giunto a questa conclusione che, al di là di qualsiasi valutazione etica che rimane comunque afferente alla sfera personale di ognuno di noi e che spesso può coincidere con i valori aziendali, mi ha portato a considerare il CSR (Corporate Social Responsibility) uno strumento potente di implementazione del business.

Nel corso della mia vita lavorativa come Direttore del Personale, spesso sono stato chiamato a gestire processi c.d. di Change Management. Mi veniva chiesto di essere agente di cambiamento lavorando su una serie di leve gestionali quali: l’organizzazione aziendale, i processi funzionali e gli strumenti necessari a far funzionare di conseguenza i vari processi (ad es. sistemi di selezione, sistemi di valutazione, sistemi premianti, etc.). In tal modo diventavo uno dei principali responsabili del CAMBIAMENTO CULTURALE del sistema azienda.

Come tutti noi sappiamo,  l’azienda è un complesso organismo fatto di anima (visione, missione, valori e storia) e corpo (organizzazione del lavoro, risorse, strumenti, processi e sistemi e le persone). In un processo di Change Management la cosa più difficile non è promuovere ed applicare strumenti e processi nuovi, ma far accettare in modo positivo il cambiamento, catturando il cuore della popolazione aziendale che deve diventare portatore sano dello stesso.

Nel libro di Spencer Johnson “ Chi ha spostato il mio formaggio” si evidenzia quanto sia difficile “cambiare” soprattutto quando le cose vanno bene: perché affrontare un futuro incerto e probabilmente periglioso se oggi sono comodo e sicuro?

Infatti il vero punto nodale è la tipica attitudine umana ad adattarsi ed a consolidare una situazione di successo o, semplicemente di benessere. Ne consegue che,  se voglio spingere qualcuno ad uscire dalla sua zona di conforto devo motivarlo in modo tale che nel cambiamento trovi una leva potente che lo porti non solo a superare l’incognita del nuovo, ma che al contempo consideri questo “passaggio di condizione” necessario, migliorativo ma soprattutto raggiungibile.

Ecco entrare in campo il fattore Motivazione: non basta avere la consapevolezza della necessità del raggiungimento di un determinato obiettivo, ma bisogna essere sicuri che questo sia da noi realizzabile al di là di ogni ragionevole dubbio.

Tornando ai processi di Change Management, al piano di cambiamento era sempre abbinato il raggiungimento di obbiettivi di performance impegnativi. Ovviamente per realizzare tutto questo ho messo in campo una serie di strumenti motivazionali quali: nuovi sistemi di valutazione e nuovi sistemi premianti e di valorizzazione delle persone. Ma nel corso dei progetti mi rendevo conto che quanto più la sfida al cambiamento era alta, tanto più gli strumenti che mettevo in campo sembravano insufficienti o quasi frenati nel loro effetto realizzativo.

Sembrava che le persone, assolutamente competenti e brave, quasi non volessero “giocare fino in fondo” la loro partita: mancava  l’elemento qualificante della motivazione.

Cosicché un giorno, mentre cercavo di capire come stimolare la performance dei dipendenti in in un processo di cambiamento, la storia mi venne in soccorso con Leonida ed i 300. Cosa aveva permesso agli spartani di compiere un impresa al di là dell’immaginazione? La loro competenza tecnica? Ma questa era indiscutibile ma non sufficiente, in quanto i persiani non erano certo degli sprovveduti. Allora pensai alla motivazione: combattevano per la loro patria. In realtà c’era qualcosa di più: avevano dei valori in cui credevano, in cui si riconoscevano e ne andavano fieri. Qualcosa di assolutamente unico: la loro bandiera.

Quando proposi in Vitecgroup “Picture of Life”, eravamo al secondo anno di un processo di Change Management epocale che aveva cambiato letteralmente l’organizzazione ed il modo di lavorare di tutti noi: il mercato era cambiato in modo radicale. Nonostante gli sforzi volti a migliorare l’ambiente di lavoro ed il ben-essere del personale attuati dal dipartimento Risorse Umane, la prestazione complessiva dei dipendenti non aveva quella forza necessaria a dare la svolta. Mancava qualcosa, mancava quell’afflato che avrebbe dato spessore ed orgoglio al tutto, mancava la bandiera da seguire.

A questo punto è intervenuto il progetto di “Picture of life”: la fotografia come riscatto sociale. L’aver offerto la possibilità ai ragazzi della comunità Jonathan di potersi affrancare nei confronti di una vita avara e senza futuro, ed il tutto attraverso il frutto del lavoro quotidiano di tutti noi, ha dato un significato ed un valore al lavoro di tutti i giorni, un senso al nostro lavorare quotidiano, fatto di forecast, margini e quote di vendita: ci ha dato una bandiera da seguire e di cui andare orgogliosi. Così come i 300 di Leonida la prestazione delle persone di Manfrotto ha avuto una svolta inaspettata: siamo stati capaci di portare dei risultati inaspettati, addirittura in controtendenza ad un mercato in caduta libera. Se poi aggiungiamo la ricaduta in termini di immagine che questa attività sociale ha avuto per il nostro marchio, posso dire che l’investimento è stato più che redditizio. Se aggiungiamo ancora che il progetto POL è stato esportato da Napoli a Verona, Vicenza, New York e Londra, ha dell’incredibile.

°In conclusione, al di là della valenza etica del progetto,  del tutto evidente, alla domanda se un’attività di Responsabilità Sociale sia conveniente per il business, la risposta è assolutamente positiva,  perché non esistono aziende etiche contrapposte ad aziende ciniche, ma esistono solo buone aziende.


Marcello de Martino Rosaroll

Business Management & Education Consultant at GO Digital School and Freelance

8 anni

Grazie, Marco. Un'utilissima riflessione che fa luce sulla domanda, spesso inespressa, come sottolinei giustamente in apertura al tuo articolo, sul "perché dovremmo farlo?". Era anche la domanda che avevo posto io, al seminario di Intoo, dove ci siamo conosciuti.

Bella testimonianza Dr.Scippa, è la dimostrazione reale e concreta di quanto sia discriminante essere realmente "open mind" ed andare oltre i puri "tecnicismi".

Luciano Cipolla

Industrial manager - Retired

8 anni

Marco well done & well said! Un abbraccio.

PIERLUIGI CARUSO

“Non vedrai mai un arcobaleno se guardi verso il basso.” Charlie Chaplin “Un giorno senza sorriso è un giorno perso.”

8 anni

Bravo davvero

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