L'uscita "spintanea" del Ceo.
Premessa.
L’allontanamento di un Ceo è un evento che desta spesso scalpore. Esso suscita interesse entro i confini aziendali e al di fuori di essi. Alla notizia dell’uscita di un Ceo, investitori e creditori vogliono conoscerne le motivazioni. Vogliono comprendere se la decisione sia ascrivibile al mancato raggiungimento dei target. Diversamente, a problemi irrisolvibili di governance societaria. In caso contrario, se sia il risultato di un pianificato processo di transizione. Ebbene, a fronte di tutto ciò, la comunicazione resa dalle aziende è spesso lacunosa. L’informativa in merito all’uscita di un Ceo è scarsa il più delle volte. Essa rimanda a motivazioni generiche e mal circostanziate. Risultato? La società finisce per alimentare i rumours più disparati. E gli stessi, a seconda dei casi, possono generare conseguenze positive come catastrofiche. Mi sono quindi domandato giorni fa se esistesse il modo per stimare i driver dietro all'uscita di un Ceo. E, con sorpresa, ho scoperto che esiste una lettura sul tema. A seguire, quindi, le mie sintetiche considerazioni sul tema. Rimando i curiosi (e gli appassionati) ai testi originali riportati in calce.
Il passato.
Sino a pochi anni fa, i casi di allontanamento di un Ceo erano distinti in tre cluster. Il primo era quello della rescissione contrattuale unilaterale su volontà dell’azienda. Il secondo, unilaterale anch'esso, era costituito dai casi “Ceo-driven”. L’ultimo vedeva invece i casi di interruzione del rapporto consensuale. Tra il 2012 e il 2016 furono condotti numerosi studi accademici in USA su questo tema. L'obiettivo, modellare la probabilità che un Ceo fosse stato allontanato unilateralmente. Su tutti, il lavoro del 2016 di Larcker e Tayan di Stanford fu certamente uno tra i più completi. Tuttavia, alla luce dei suddetti lavori, emersero frequentemente risultati contrastanti. Al punto che questi ultimi si rivelarono nel tempo poco affidabili e mal comparabili. In sintesi, il caso di allontanamento unilaterale si presentava con probabilità tra il 3% e il 40%. Tale forbice probabilistica evidenzia ancora oggi come uno standard fosse ancora ben lontano dall’essere trovato. Non soltanto. L'assenza di risultati stava lentamente facendo decadere l'attenzione sull'importante tema qui trattato.
Il “Push-out”.
Nel 2017 il giornalista Daniel Schauber ha creato un modello che ha definito “Push-Out”. Diversamente dai precedenti, esso assegna un punteggio a 9 distinte variabili. Uno score di una variabile pari a 0 indica una scarsa probabilità di allontanamento unilaterale. Altro estremo, uno score di 10 indica la possibilità di un allontanamento unilaterale. Le peculiarità del Push-Out sono state essenzialmente due (per lo meno a mio avviso). La prima è stata quella di coinvolgere variabili estranee al comunicato emesso dalla società. La seconda, quella di prendere le distanze da un modello binario (dipartita unilaterale/bilaterale). In questo il Push-Out difficilmente ha restituito risultati certi al 100%. Diversamente, ha fornito output più omnicomprensivi per via dell'eterogeneità di variabili in gioco. E per questo ritengo abbia apportato una forte innovazione rispetto alle tecniche utilizzate in precedenza.
Le dimensioni del Push-Out.
Il modello del Push-Out si basa sull’assegnazione di un punteggio da 0 a 1 a 9 dimensioni oggetto d’indagine. Sintetizzando, si va dal lessico all'organizzazione dei contenuti e alla struttura del testo rinvenibile nel comunicato aziendale. Dalle ragioni ufficiali e addotte dall'azienda al tono e al rigore del comunicato. Si analizza l’età del Ceo allontanato e la modalità di successione del medesimo. Quindi, il periodo di preavviso tra la pubblicazione del comunicato e l’uscita del Ceo. Dopodiché, fatto ciò, a ciascuna variabile viene assegnato uno score individuale. Uno score pari a 1 fa intendere che la dimensione oggetto di indagine è "a rischio elevato". Ad esempio, per un Ceo con età prossima ai 60, lo score della variabile in oggetto potrebbe risultare prossima all'unità. Diversamente, alla presenza nel comunicato di un percorso pianificato di transizione manageriale, conseguirebbe un punteggio prossimo a 0. La somma di tutte le variabili, come ovvio, restituisce il Push-Out Score.
L’importanza - in my opinion - del tema.
Aver scoperto che altri prima di me hanno indagato il tema in oggetto, me ne conferma l’importanza. E di questo sono assolutamente convinto. Il Ceo è un ruolo chiave in azienda. Comprenderne l'uscita è essenziale per il decision making di investitori e creditori. Per quanto mi riguarda, la mia opinione sul Push-Out è positiva. Non tanto per la bontà del modello, che ancora oggi manifesta alcune "falle". Piuttosto, per aver per la prima volta approcciato al problema in modo diverso. Per aver compreso che, ad insistere sul risultato concorrono numerosi fattori. Che questi ultimi solo in parte hanno natura analitica. E che, per di più, solo una parte di questi rientrano nella comunicazione resa dall'azienda. Mi piace pensare al Push-Out, quindi, come all'ulteriore avvicinamento a modelli di full-transparency. Perché è vero che dietro all'uscita di un Ceo possono celarsi le cause più disparate. Ma ritengo altrettanto vero che, salvo rari casi, non vi sia nulla di male a condividere tali cause con chi nell'azienda crede e investe tutti i giorni. Ma su questo tema si potrebbe certamente scrivere un ulteriore articolo. Io per ora, tuttavia, mi fermo qui.
Enjoy e a presto!
Heber Caramagna
Bibliografia.
- Larcker, Tayan | "Corporate Governance Matters" | 2011
- Larcker, Tayan | "Ceo Turnover" | 2016
- Gow, Larcker, Tayan | "Retired of Fired" | 2017